Non sono riuscito a vedere per intero lo spezzone dello Speciale de La7 in cui il senatore di An Gustavo Selva ammette con candore di aver finto un malore e approfittato di un’autoambulanza per dribblare il traffico di Roma pur di arrivare in tempo per una trasmissione televisiva. L’imbarazzo per un uomo di 81 anni, che millanta di aver usato un trucco “da vecchio cronista”, è stato tale che mi è bastato leggere le cronache delle sue annunciate dimissioni per provare vergogna – in un solo colpo – al posto suo, della sua famiglia, dei suoi elettori, del suo partito, dell’ordine dei giornalisti, del Senato della Repubblica, della città di Roma e delle persone civili tutte.
C’è poco da dire quando la tracotanza si miscela con l’incoscienza, se resta fiato è solo per una solenne pernacchia. E a poco vale l’interrogazione annunciata dallo stesso Selva in cui si chiede per giunta conto di un ritardo del presunto soccorso. La pernacchia per un finto navigato come lui è l’unico linguaggio universale per fargli sapere quanto è sgradevole la sua presenza tra i rappresentanti di quello che una volta si chiamava popolo. Un esperanto riabilitato per un politico da non riabilitare.