Il blog di Vallanzasca

Renato Vallanzasca, il bandito Renato Vallanzasca, ha deciso di aprire un blog in cui racconta dalla cella la sua verità. Il signore in questione è stato condannato a quattro ergastoli e duecentosessanta anni di reclusione. Nel suo curriculum ci sono gli omicidi di due preti, quattro poliziotti, un vigile urbano, un medico e un impiegato di banca (e forse mi dimentico di qualche altra povera vittima). Sullo sfondo – si fa per dire – quattro sequestri di persona, una settantina di rapine, un paio di evasioni, risse e sommosse in carcere. Lo scorso anno sua madre ha chiesto per lui la grazia, che però è stata negata.
Uno dei motivi ispiratori di questa sua esperienza di comunicazione via internet è, come lui stesso scrive nell’editoriale d’inagurazione, prendere a bersaglio i giornalisti, anzi “ i pennivendoli” che gli hanno riversato “addosso delle belle camionate di cacca”. Cosa si aspettava? Petali di rosa sotto i piedini? Applausi sul divano di”Porta a porta”? Il milione del signor Bonaventura?
E’ davvero uno strano Paese l’Italia, basta leggere i commenti al primo post del criminale in questione.
Vallanzasca è, come si è impegnato a dimostrare in anni di scorrerie e di morte, una persona molto pericolosa. Facciamo pure lo sconto dei quattro ergastoli, ma per i restanti duecentosessanta anni possiamo pretendere di non sentirlo blaterare di giustizia e di insegnamenti di vita?

La croce delle farmacie

Ditemi la verità. Sono io che sto rimbecillendo o questo Papa non perde occasione per rendere la Chiesa sempre più distante dai cattolici meno fanatici?
Abbiamo più volte discusso sui pericoli di una Chiesa che vuole farsi parlamento, corte costituzionale, ministero delle Finanze, eccetera. Se non ci fosse in ballo la religione si potrebbe parlare di furberie da bagarini…
Adesso quest’allergia alle leggi dello Stato comincia seriamente a preoccupare. Ieri, ad esempio, il Pontefice ha detto ai farmacisti di non vendere le pillole anticoncezionali. Lo ha fatto nel sofismo stilistico che contraddistingue certi politicanti abili nel mandare a dire. Non c’è da aprire dibattiti, diciamolo chiaramente. C’è da armarsi di coraggio e parlare: Santità, pensi al suo ruolo e la smetta, per certe cose ci sono norme scritte.
Qualcuno, che ha i titoli per farlo, dovrà pur affrontare l’argomento. Altrimenti sulle insegne delle farmacie troveremo presto un’altra croce.

Il mare d’inverno

Le vite degli artisti sono invidiate e mai troppo capite. C’è sempre quell’effetto flou che ce le rende sfumate, agognate e distanti. Nella buona e nella cattiva sorte esercitiamo nei confronti di queste esistenze, che ci piace immaginare come superiori e comunque irraggiungibili, una sorta di salvifico distacco. Vorremmo essere loro, i vip, i ricchi, i famosi, ma senza le loro responsabilità. Vorremmo il loro conto bancario, ma non i loro impresari. Vorremmo danzare\cantare\recitare\giocare come loro, ma non essere braccati come loro. Vorremmo la loro fama, insomma, rimanendo noi stessi.
E’ così che quando li vediamo in rovina peschiamo dal nostro bagaglio di convenienza quel sollievo egoista che rende apprezzabili pure le vite più miserabili: noi non siamo loro, per fortuna. D’improvviso il nostro paesino diventa il luogo ideale in cui vivere, la nostra casa una reggia, le nostre beghe familiari piccoli dazi da pagare per garantirci una falsissima aurea mediocritas. A questo pensavo ieri seguendo la parabola (anche familiare) di Loredana Bertè. Cercando di trovare il bandolo di una matassa, la sua, che sembra fatta ormai esclusivamente di nodi, mi sono reso conto di quanto le vite illustri possano essere indifese davanti ai rigori del mare d’inverno. Più si ha e meno si è disposti a rinunciare, quasi una legge contronatura. Più si è avuto e meno si tollera ciò che ci è stato tolto. In realtà il segreto della resistenza e della tolleranza – è un’esperienza personale – sta in una formula che prevede più sottrazioni che addizioni.
Imparare a vincere è molto più difficile che saper perdere. Perché è il dopo che conta. E se vinci, prima o poi, dovrai avere a che fare con un futuro, nel migliore dei casi, peggiore.

Berlusconi e Berluschino

Sono tentato di scrivere qualcosa di profondamente impopolare tra i frequentatori di questo blog. E siccome ho imparato che cedere alla tentazione è una ginnastica fondamentale per la psiche (e non solo), mi butto.
Un nome: Berlusconi.
Un fatto: Berlusconi assolto dalla Cassazione.
Un ambito: il processo Sme.
Il leader dell’opposizione esce pulito da una grave vicenda giudiziaria. E – siamo all’impopolarità – ritengo che sia una buona notizia. Non siamo stati talmente fessi da farci governare da un corruttore di giudici. Il nostro avversario politico lo battiamo nei seggi delle scuole, non nelle caserme della Finanza. Ci sono giudici, che pur essendo “mentalmente disturbati”, emettono sentenze ponderate.
Ci sono altri argomenti per parlare male dell’ex premier, ma in uno stato di diritto le sentenze devono lasciare il segno. E se – come chi scrive – si è garantisti per indole e non per riflesso politico non si può non tenere conto che esiste un livello di giudizio dinanzi al quale la chiacchiera, l’antipatia e persino il libero convincimento personale devono fare un passo indietro.
Non so se sia stato fatto un uso politico della giustizia, capisco solo che l’inchiesta primordiale non aveva il peso per portare a una condanna: e questo non mi sembra uno scandalo. In un sistema giudiziario ordinario ci sono due parti che si scontrano, quella che apporta gli argomenti più vicini alla verità ha la meglio: consideriamolo come un assioma, altrimenti saremo sempre barche in balia del vento. Mi fa sorridere l’uscita di uno dei difensori di Berlusconi, l’avvocato Pecorella: “E ora chiedetegli scusa”. In un Paese normale bisognerebbe sì chiedergli scusa, ma per un motivo che l’avvocato-consigliori non ha menzionato: un processo – contro Berlusconi o contro Berluschino – non può durare dodici anni.

Amore e psiche (labile)

Sono uno che tende a essere ordinato. E che cerca perennemente di organizzarsi un archivio. Ieri sera, mentre davo una riordinata ad appunti sparsi e file volanti, mi sono imbattuto in una cartella (particolare) del mio schedario. A come amore. Ecco un sunto.
I bisticci degli amanti rinnovano l’amore (Terenzio). Poi uno impara ad apprezzare le cose antiche.
I baci sono le monete spicciole dell’amore (Baci Perugina). E le banconote di grosso taglio?
Il flirt è l’acquerello dell’amore (Bouerget). Non oso pensare all’olio su tela…
La civetteria è lo champagne dell’amore (Thomas Hood). Ecco perché molti preferiscono il vino.
Il vero amore non ha mai conosciuto misura (Properzio). Infatti è tipico che si ingrassi.
La gelosia è il pepe dell’amore: un pizzico gli dà più sapore, troppo rende il piatto immangiabile (Anonimo). Errata corrige: anonimo cornuto.
La gelosia nasce con l’amore, ma non muore con lui (François de la Rochefoucauld). Muore solo dopo l’amante.
La luna e l’amore, quando non crescono calano (Proverbio cinese). Mai conosciuto un licantropo innamorato.
La ragione e l’amore sono nemici giurati (Pierre Corneille). Il sonno della ragione segna quindi il risveglio dei sensi…
L’amore è la saggezza dello sciocco e la follia del saggio (Samuel Johnson). Alla fine il cretino vince sempre.
L’amore è un potere troppo forte perché lo si possa vincere altrimenti che con la fuga (Miguel de Cervantes). Basta essere ancora vivi.
Mai nessuno è tradito dall’amore puro (Jaufre Rudel). Dall’amore puro no. Dall’idraulico, dal migliore amico, dal finto cugino, dal vicino di casa, dal collega di lavoro, dall’istruttore di tennis, dal…
Non c’è erba che possa guarire l’amore (Ovidio). C’è, c’è!

L’immagine è rubata al mio disegnatore preferito, Mordillo.

Lo sfogo di una editor

Affrontiamo una questione seria, la questione linguistica. Non bisogna avere una laurea per parlare e scrivere in modo corretto. Esprimersi in un italiano accettabile è segno di civiltà, di amor proprio, di buona creanza. Le coloriture dialettali, le licenze e le invenzioni sono belle e divertenti se spontanee o se ben orchestrate. Mi sembra utile pubblicare lo sfogo di una illustre editor.

Caro Gery,
ti sottopongo una questione per proporti, se e quando ti andrà, di affrontarla nel tuo blog. Dato che, come sai, lavoro per una casa editrice e mi occupo (almeno nelle intenzioni) di buona scrittura, non posso più sopportare di sentire utilizzare sempre più spesso l’avverbio “dove” – che, come tutti dovremmo sapere, significa “in quale luogo” – a sproposito in qualsiasi tipo di frase. Accade in tv, ma anche in giro. Qualche esempio: “Quello è un uomo dove ci si può fidare”; “giugno è stato un mese dove mi sono divertito molto”; “le tre del pomeriggio è un orario dove sono abbastanza libero”; “il pomodoro è un ortaggio dove lo puoi cucinare come vuoi”. E via bestemmiando. Non uso a caso il verbo bestemmiare. Certe costruzioni ardite (giusto per non dire bestiali) mi sembrano proprio un insulto alla lingua italiana, orale e scritta (sì, perché c’è anche chi queste cose le scrive). Non mi risulta che un uomo, il mese di giugno, le tre del pomeriggio o il pomodoro siano dei luoghi. Quel “dove”, allora, che ci sta a fare? Immagino che il disastro sia partito dalla tv, visto che proprio negli studi televisivi questo benedetto “dove” si usa nella maniera più funambolica e scorretta. Di certo so soltanto che – facci caso – ha cancellato ogni “che”, “in cui”, “nel quale”, “con la quale”, e via dicendo. La lingua, si sa, cambia e, cambiando, a volte cresce, si adegua alla realtà, talvolta diventa più funzionale. Ma se è questa del “dove” a tutto spiano la presunta evoluzione più recente, io voglio senz’altro combatterla.

Raffaella Catalano

Governo spa

Mettiamo che uno decida di fare una società. Come se li sceglie i soci? Magari li conosce e si fida quindi il problema non esiste. Oppure confida nelle capacità imprenditoriali o nelle conoscenze specifiche dei soggetti. Inoltre uno guarda l’aspetto umano delle persone: se sono coerenti, oneste, equilibrate, geniali. Poi pensa anche al patrimonio e a quanto i soci possono mettere nell’affare, se sono solidi economicamente.
Il governo di un Paese è come una società. Con quali requisiti Prodi e i suoi accoliti hanno scelto uno come Mastella? Si (lo) conoscevano già. Avevano cognizione diretta delle sue capacità. Si erano imbattuti più volte, nel corso di svariate legislature, nelle sue qualità umane. Eppure lo hanno preso come socio, è il caso di dire, di maggioranza.
Si sono lasciati sedurre dal suo patrimonio (di voti). Ora non resta che andarsi a rifugiare dal giudice fallimentare.
Prodi si dice fiducioso. Molti di noi no.

Un pizzino

Ricevo un biglietto, quasi un pizzino.

Gentile dottor Palazzotto,
di questi ultimi tempi non sono stato molto bene che mi sono operato alla tiroide. Che macello dietro la porta dell’ospedale.. almeno 50 cristiani con i mitra spianati? E dove dovevo andare con la flebo attaccata? Per non parlare del catetere che proprio impedisce ogni movimento.
A uno di questi carabinieri ho pregato di scriverci queste quattro parole che spero le risulteranno chiare (questa frase l’ho aggiunta io, il carabiniere, perché non è che sono molto pratico con l’italiano).
Comunque io non le scrivo per questo ma per sottoporle una vicenda che mi sta facendo saltare i nervi. Lei lo sa quanti libri hanno scritto su di me? Ma lei lo sa che in poco più di un anno dalla mia cattura (su cui stendo un velo pietoso perché sono momenti molto tristi) tutti e dico tutti, tranne forse lei e altri due tre scrittori e giornalisti di Palermo, hanno scritto solo su di me?
Hanno detto di tutto. Sui pizzini persino le barzellette c’hanno fatto. Ognuno ha una storia da raccontare sulla stessa cosa. E Provenzano di qua, e Provenzano di là. Il fatto è che ci hanno guadagnato tutti. E a me, che sono vero il protagonista, niente. Manco un centesimo. Dico io, è giusto questo? E’ giusto che tutte le case editrici pubblicano cose che sono tutte uguali uguali?
Io dico, e va bene un libro, perché è giusto che tutti si ricordano di un uomo come a me. Va bene due, va bene quattro, cinque, tiè. Ma quanti ce ne sono in questo momento in commercio?
E lei come mai non l’ha scritto??????????????
Ma poi, tolti gli altri giornalisti che si leggono i libri degli amici, cu minchia si leggi ‘sti libri (scusi dottor Palazzzotto ma proprio questa parola, minchia, lui ha voluto mettercela – il carabiniere).
Lo ringrazio per l’attenzione e mi raccomando, se sente qualcuno che deve scrivere un libro su di me, ce lo dica lei: e bastaaa!

Provenzano Bernardo

Il mestiere degli scrittori

C’era uno splendido editoriale ieri sul Corriere della sera, firmato da Claudio Magris (se ve lo siete persi, lo trovate qui). Il tema è quello del ruolo degli scrittori, del valore della letteratura nel destino degli uomini. Da più parti e in varie epoche si è invocata, temuta o combattuta una politicizzazione dell’arte. Da anni, specie nei dibattiti sul cosiddetto romanzo sociale, si chiedono ai narratori strumenti e modi per risolvere i misteri del nostro tempo. Spesso gli si imputa di frequentare un’ideologia piuttosto che un’altra. Ancor più spesso di non sposarne una. Una variante più perniciosa di polemisti addirittura si spinge ad accusare una classe (intesa in senso anagrafico) di scrittori di tradire le proprie origini geografiche e culturali, di debordare rispetto all’orticello nel quale sono nati e cresciuti. E via criticando.
La statura intellettuale di Claudio Magris è tale da togliermi ogni possibilità di manovra nell’adoperarmi per dargli ragione, applaudire e sorridere quasi commosso. Perché chi vive di scrittura sa quanto sia difficile la scelta di questo non mestiere che riempie e svuota al tempo stesso. Lo scrittore non è una persona giudiziosa che pianifica, risparmia, investe. No, è un dannato nato per la sua dannazione che non sa fare altro, e se lo sa fare non gliene frega niente. Vive per le sue storie, che risultino belle o no, che siano pubblicate o cestinate. Si sveglia nel cuore della notte con un’idea in testa e corre ad appuntarsela prima che svanisca a causa della piena coscienza. E’ talmente abituato ai fallimenti che quando inanella qualche successo si chiede dove stia il trucco. Presuntuoso per quanto sia, si sente nudo davanti ai suoi personaggi, che sono la vera incarnazione del suo paradosso: un creatore condizionato dalle vite riflesse che lui stesso ha generato.
Gli scrittori, famosi e sconosciuti, conclamati e in pectore, hanno il compito di inventare un mondo sempre nuovo, pagina dopo pagina. Molti lo fanno gratis, altri lo farebbero gratis. Se non sognano nuove storie, sognano che qualcuno li legga. Invecchiano così, e non chiedetegli altro.

Cose strane


Una roba domenicale. Rilassiamoci un po’.