A proposito di Cesare Battisti

Ci sono casi in cui la virtù letteraria diventa vizio. E ciò accade quando un criminale svela il suo lato intellettuale e di successo.
Cesare Battisti, terrorista condannato in via definitiva per quattro omicidi commessi in Italia negli anni Settanta, ha ottenuto la protezione del Brasile (dopo quella, fondamentale, della Francia) che ci ha anzi additati come fessi, retrogradi, incivili ma che ci ha evitato, almeno per ora, il gesto dell’ombrello.
La difesa istituzionale di un assassino ha molte chiavi di lettura, soprattutto in questo caso. Per brevità, ne voglio prendere in considerazione una sola: quella che conduce (o parte?) dall’ignoranza.
Nel 2004, un giornalista del settimanale Marianne, dopo aver scritto che la condanna di Battisti era stata emessa “per fatti non commessi”, confessò a Panorama “di sapere ben poco del dossier giudiziario di Battisti”. Nello stesso periodo Erri De Luca scrisse (sempre sui giornali francesi) che Battisti apparteneva a una “generazione di vinti”, saltando a piè pari la considerazione che il tizio in questione faceva parte in realtà di un sodalizio di criminali. Costoro, con acrobazie illecite ed evasioni, si erano sottratti al destino che madre natura, religione, buona politica e norme civili hanno in calendario per chi ha una colpa: espiare la pena.
Il terrorismo ha fatto in Italia quasi 350 morti e circa 750 feriti (cifre dell’Associazione vittime del terrorismo). Le pallottole sono di piombo e, anche se accompagnate da una citazione filosofica, da una frase di Bernard-Henri Lévy o da una semplice preghiera, generalmente uccidono. Gli ideali non sono né giubbotto antiproiettile né lasciapassare.
Non era stata dichiarata una guerra negli anni Settanta: che senso ha parlare quindi di vinti?
Chi ha voglia di approfondire le radici di un certo atteggiamento francese – perché è dalla Francia che parte il caso Battisti – si documenti sulla dottrina Mitterand che ammetteva l’asilo per i terroristi italiani purché rinunciassero alla lotta armata. Il cardine di tale linea di pensiero (ineluttabilmente politica) era la certezza che in Italia non fossero possibili processi giusti. Una generalizzazione che fa a pugni con la statistica: come dire che tutti i terroristi subiscono ingiustizie nel nostro Paese e nessuna corte giudiziaria azzecca un verdetto che ben si abbini a una Raclette e a un bicchiere di Bordeaux.
L’intellettuale Battisti, autore di decine di volumi (mi dicono ben scritti), secondo quest’ottica inaccettabile, non può che essere innocente. Il mondo della cultura è il peggiore tribunale che si possa incontrare. Perché inventa intoccabili nel nome del corporativismo.
No, no e no.
Nel cielo dell’arte, le nuvole non si spostano per avere un’ombra di comodo.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

60 commenti su “A proposito di Cesare Battisti”

  1. @lorenzo: Ok. Ma le confesso che non ho capito che cosa vuole fare lei. Come intende agire? Mi faccia un esempio concreto. Lorenzo si alza la mattina e, stando così le cose,… ? Mi interessa, davvero.

  2. Mi perdoni, sig.cacciatorino, ma per quale motivo devo spiegare tutto io, dalla problematica alla soluzione, e da parte vostra devo accontentarmi di non ricevere alcuna risposta?
    E’ così complicata, o fuorviante rispetto al caso-Battisti, la domanda che ho posto, complice il sig.Puglisi? Non è ancora abbastanza chiaro che nelle parole del democratico-tipo, così come in quelle del servetto Bolton al servizio del colonialismo capitalista, C’E’ una contraddizione disumana contenuta nell’ostinata convinzione che la morte per terrorismo VALGA DI PIU’ rispetto alla morte causata ‘per giustificati o giustificabili motivi’ dallo Stato?
    Non nego che alcuni tra quei “ragazzi che volevano cambiare il mondo” abbiano infine dimenticato, nella guerra all’epoca effettivamente in corso, “l’aspetto umano – cioè essenziale – della faccenda”; faccio umilmente notare però che tale problematica investe per primo lo stesso Stato che abbiamo comunemente (?) deciso debba ergersi a giudice degli umani errori e debolezze: e vi chiedo allora dove stia “l’aspetto umano” della faccenda Abu Omar, della faccenda Aldrovandi, della faccenda Giuliani, della faccenda Alexis, della faccenda Alpi, della faccenda Pinelli, della faccenda Masi, della faccenda Thyssen-Krupp, della faccenda Biagetti, della faccenda G8, e potrei andare avanti per pagine intere, lavororepresssioneguerraprofittosfruttamentomorte. Siamo concordi nel valutare che in tutti questi casi lo Stato ha una COLPA che spesso e volentieri rimane coperta e impunita, una vergognosa RESPONSABILITA’ CRIMINALE? Bene. E intendiamo assolverlo per quale motivo? Forse perchè coerentemente lo Stato non intende cambiare alcunchè, ma soltanto autoconservare se stesso? E’ questo l’alibi che gli concediamo, pensando forse di preservare il nostro stesso spirito di autoconservazione? Ma se è l’esatto opposto: quella stessa istituzione che crediamo salvifica è la catena che ci mantiene schiavi! Che ci fa pensare che sia in qualche maniera “migliore” il delirio criminale di Cossiga, che ancor oggi vorrebbe fare infiltrare i cortei e far manganellare studenti e professori ‘dissidenti’, rispetto al delirio ideologico del terrorista che vorrebbe opporsi a tutto ciò e non trova altra soluzione che la violenza. Ma “violenza” è una parola che non ha più alcun significato nel momento in cui l’uomo decide di dividerla in due: la violenza accettabile, giustificabile, tollerabile o quantomeno opinabile (quella dello Stato, cioè ‘nostra’: proprio PER QUESTO evidentemente la tolleriamo! Quella che – carcere, guerra, repressione che sia – colpisce sempre GLI ALTRI, PERCIO’ A NOI CHE CI FREGA?! Ah, quanto insegna De Andrè a chi lo vuole ascoltare…), e quella al contrario inaccettabile, da perseguire, condannare ed indicare al pubblico ludibrio.
    Se qualcuno ancora non l’avesse capito, non sto santificando i violenti (sebbene riconosca la legittimità dell’utilizzo della forza da parte delle masse oppresse o sfruttate, cui la legge non sa rispondere adeguatamente); sto invitando ad una riflessione sulla violenza scatenata proprio da quello Stato che vorremmo stanasse quei violenti (veri o presunti).
    Lorenzo non ha facili soluzioni populiste, comuniste nè leghiste: si alza la mattina e, stando così le cose, non può far altro che riflettere criticamente sulle fesserie che la società dei consumi e della repressione della diversità, del dissenso, del pensiero critico quotidianamente impone a lui e a tutti gli altri che non se ne rendono conto e perciò sono come lui e più di lui compartecipi del massacro, d’una violenza indescrivibile che nessuno ha mai inteso giudicare o vendicare, se non qualche folle che – reali o no che siano le sue colpe (la Baradini non uccise nessuno, fu tolta a lei parte di vita) – chiamiamo per comodità “terrorista”. In sintesi: fino a quando esisteranno i massacri “inevitabili” di Gaza, le bombe “giuste” sul Libano o i segreti di Stato di quest’Italietta delle bombe e delle banane, il terrorismo vecchio o nuovo per me non costituirà un problema, poichè IL PROBLEMA E’ IL SISTEMA CHE LO GENERA.

    Rachel Corrie, 23 anni, non era formalmente una terrorista, ma come tale è stata trattata: l’attivista statunitense è infatti stata assassinata il 16 marzo 2003, schiacciata da una ruspa israeliana. Queste le parole che scriveva ai genitori poco prima:
    “Bisogna che finisca. Credo che sia una buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare le nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che sia una cosa da estremisti. (…) Quello che provo è incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi rendo conto che questa è la realtà di base del nostro mondo e che noi ne siamo in realtà partecipi. Non era questo che avevo chiesto quando sono entrata in questo mondo. Non era questo che la gente qui chiedeva quando è entrata nel mondo. Non è questo il mondo in cui tu e papà avete voluto che io entrassi, quando avete deciso di farmi nascere. Non era questo che intendevo, quando guardavo il lago Capital e dicevo, “questo è il vasto mondo e sto arrivando!” Non intendevo dire che stavo arrivando in un mondo in cui potevo vivere una vita comoda, senza alcuno sforzo, vivendo nella completa incoscienza della mia partecipazione a un genocidio.”

  3. Cito: “Lorenzo non ha facili soluzioni populiste, comuniste nè leghiste: si alza la mattina e, stando così le cose, non può far altro che riflettere criticamente sulle fesserie che la società dei consumi e della repressione della diversità, del dissenso, del pensiero critico quotidianamente impone a lui e a tutti gli altri ”
    Ecco, anch’io. Ma credo ancora- stupidamente, “conigliescamente” – che l’unico strumento che abbiamo per cambiare le cose sia il voto. E allora prendiamo atto di una realtà: le “masse oppresse”, almeno alle nostre latitudini, non sanno più né vogliono servirsi bene di questo prezioso strumento. Vivono di Maria De Filippi e di Grande Fratello. Il resto lo dimenticano, o se lo fanno scivolare addosso. Quella parte di massa “oppressa” italiana che saprebbero capirla o sarebbero disposti a seguire un ragionamento complesso, non è la maggioranza. Sono i cassintegrati, i parenti dei morti sul lavoro e dei morti per mala “giustizia” , ma il resto? Lo dico per il semplice fatto che al governo c’è chi c’è. Perché il sussulto della coscienza sociale degli italiani si riduce alle chiacchiere da bar sull’ultima puntata di Bruno Vespa. Perché anche le situazioni più degradanti, o ridicole, che dovrebbero far alzare barricate oggi stesso, si riducono a un format a puntate, che si avvoltola, innocuo, nella scatola televisiva, fino alla prossima “trovata” di sceneggiatura. Per ora vanno i trans. Domani, un altro “giallo dell’estate”. Ecco qui. Abbiamo risolto una serata e un pomeriggio. E perché, se così non fosse, ci sarebbe già stata una rivoluzione: ce ne sarebbe motivo. Forse ci sarà, ma solo quando avremo toccato il fondo. Ma per ora, il mito delle masse oppresse che si ribellano, previa una guida ideologica (e ci sarebbe da discutere anche sul ruolo e la vanagloria e l’istrionismo e l’inevitabile complesso di onnipotenza dei cattivi maestri che hanno risolto in passato e risolverebbero ancora oggi tutto con la classica democrazia “dall’alto”. Vedi “Giù la testa”, citazione colta…) è solo un altro capitoletto da manuale. Bello, esaltante, carico di speranze, ma irreale. Bisogna riprendere contatto con la realtà. Conoscerle bene, queste masse. Non un campione ideale delle masse, ma le masse vere, quelle che affollano le strade la mattina, quelle di cui si colgono scampoli di discorsi “qualunque” al bar. Lo sa in Sicilia chi elegge i cattivi amministratori (e non solo quelli dell’isola)? Le masse. E lo sa perché? Perché sperano nelle briciole di assistenzialismo, il contentino che li ripaghi del loro atavico qualunquismo, alla faccia della collettività e della coscienza sociale. E lo sa chi sono i capopopolo delle masse siciliane, quelle che hanno la famiglia numerosa e, da soli, possono spostare il voto, quelle che vivono in tuguri al confronto dei quali una cella di carcere è il grand hotel? I boss grandi e piccoli, di quartiere e di mandamento. E lo sa in che cosa si risolverebbe un movimento rivoluzionario composto da siffatti “combattenti”? Lo si può immaginare. Si è mai sentito parlare di “lotta armata” e “sovversivi” in Sicilia tranne quando si è dovuto trovare una spiegazione comoda e becera all’uccisione di Peppino Impastato? E anche qui: che dicono le masse di Impastato, ammesso che ricordino chi era, tranne che si doveva fare i fatti suoi? Come Falcone. Venga in Sicilia. O in Calabria. Perché qui trova lì il serbatoio di voti sbagliati e di indifferenza più significativi, regola di vita delle masse (e le due cose coincidono, sotto una sola bandiera: disagio, sottosviluppo, voluto, sostenuto, garantito, perché utilissimo).
    E per quanto mi riguarda, tornando alla sua domanda clou, mi piacerebbe immensamente che in galera non ci finisse soltanto Battisti o soltanto Cossiga, se vuole sapere come la penso. Dovrebbero andarci tutti e due. Anche per rendere giustizia a uno come me, forse come lei – e come mille altri – che non hanno mai pensato di conservare delle pistole in casa o filtrare con i servizi segreti.

  4. Gentile sig.cacciatorino, ho letto con piacere la Sua risposta, che senz’altro sancisce una vicinanza nel comune sconforto socio-politico-culturale, e perciò mostra pure la possibilità d’una parziale reciproca comprensione. Ma credo che più profonda debba essere la nostra riflessione.
    Io mi rendo benissimo conto della tragicità quasi surreale della situazione attuale, e della difficoltà che si ha nel volerla cambiare. Ma nessuno qui ha sostenuto che bisognerebbe rifondare le BR, per la miseria! AL CONTRARIO, chi difende Battisti dall’attacco (vendicativo, più che giudiziario) dello Stato basa la difesa PROPRIO sulla distanza tra i periodi storici, sulla necessità di contestualizzare e di superare tale sanguinosa contrapposizione. Sa quale è il problema, però? Che UNA SOLA delle due parti ha abbandonato le armi, abbandonandosi allo pseudo-pacifismo bertinottiano. E che la lotta di classe continua, ma da una parte sola: la conducono i padroni, a danno d’una classe lavoratrice, come dice, assopita e d’una nuova generazione deideologizzata e confusa, cosicchè tutti si brancola nel buio tra leghismo, populismo, giustizialismo, senza che nessuno conosca più le ragioni di fondo di tanto inaccettabile orrore quotidiano. Non a caso Battisti o Curcio oggi scrivono libri, mentre il governo “democratico” – prima Prodi e poi Berlusconi, uguali uguali – pone il segreto di Stato sul caso Abu Omar. Lo vede dunque che la guerra, oltre ad essere impari, è unilaterale? Lo scorge il controsenso della rabbiosa richiesta di legalità d’un sig.Gasparri ( http://www.apcom.net/newspolitica/20091124_210901_1712937_77004.html ) che ai tempi degli scontri pre-G8 di Napoli, come ho già ricordato, ebbe la faccia tosta di voler difendere le forze dell’ordine “a prescindere”, esattamente come fece poi il governo Berlusconi per il G8 genovese, come fece quello Prodi con le “promozioi indecenti” di De Gennaro & soci, e come oggi fanno La Russa e Giovanardi per il caso Cucchi? Io questo sto dicendo: che la storia ha fatto il suo corso, ci sono stati arrestati, pentiti e fuggitivi, ma l’essenza autoritaria – più o meno “democraticamente” legittimata – dello Stato non è mai mutata, e non si può far finta ipocritamente che non sia vero; così, a ben poco serve augurarsi che “in galera non ci finisse soltanto Battisti o soltanto Cossiga” poichè “dovrebbero andarci tutti e due” (anche se è pur sempre un apprezzabile passo in avanti rispetto alla posizione inquietante del sig.Puglisi che assolve i crimini di Stato proprio in quanto tali e perciò ‘PIU’ giustificabili’…allucinante), dal momento che sa bene Lei come lo so io che il sig.Cossiga in galera NON CI FINIRA’ MAI. E come la vogliamo chiamare questa esplicita mancanza di uguaglianza di fronte alla legge? Scelga Lei. Io ritengo che l’impunità per i servi dello Stato, in cravatta o in divisa, faccia parte di una strategia di guerra ben precisa; e di fronte a questo non esulto per chi allora scelse la strada della lotta armata, ma neppure m’indigno definendo tale scelta “aberrante” (raffaella, 31 gennaio 13:43) quando tutti sappiamo che le guerre “giuste” dei paesi occidentali fanno molti più morti del terrorismo – perciò dovrebbero essere giudicate ancora più “aberranti”, mentre si fa a gara per giustificarle – eppure nessuno muove un dito per fermarle. Le chiedo allora: fu davvero così “aberrante” ed incomprensibile la decisione, ad es., dei Weathermen ( http://it.wikipedia.org/wiki/Weather_Underground , Le consiglio pure il film-documentario http://en.wikipedia.org/wiki/The_Weather_Underground ) di protestare violentemente contro la guerra del Vietnam allora in corso? Le chiedo di riflettere sulla dichiarazione d’intenti di Naomi Jaffe, una dei componenti del gruppo: “Sentivamo che non fare nulla in un periodo di violenza repressiva fosse essa stessa una forma di violenza. Questo è proprio il punto che credo la gente fatichi di più a capire. Se te ne stai seduto a casa, vivendo la tua vita di bianco e svolgendo il tuo lavoro di bianco, e permetti al tuo paese di assassinare persone e di commettere dei genocidi, e te ne resti seduto lì e non fai nulla al riguardo, quella è violenza.” Si può certamente riflettere sul presunto controsenso del reagire alla violenza con altra violenza, ma lo stesso Gandhi venne arrestato e Le ho già ricordato il tragico destino di Rachel Corrie, attivista pacifista. Morale: lo Stato è il primo a non farsi scrupoli a reprimere, ammazzare, torturare; chi ad esso si ribella, spesso, lo fa per una giusta causa, che ritengo più comprensibile del silenzio-assenso delle masse o della complicità criminale dei media nei confronti dei crimini di Stato: QUELLO SI’ è aberrante! Affermare questo, ed affermarlo per sostenere l’incoerenza di fondo del comportamento dello Stato ANCHE nel caso Battisti, è forse “qualunquismo confusionario”, è negazionismo (tutte cose di cui mi accusa il sig.Palazzotto, 20 novembre 13:26)? Oppure è un tentativo di collegare gli avvenimenti per comprendere come funzionano le cose?
    Andrebbe inoltre sottolineato che sia l’autoimmolazione volontaristica pacifista sia l’aristocratica scelta della lotta armata c’entrano poco o nulla con il mito comunista – di cui parla Lei – “delle masse oppresse che si ribellano”, il quale prevede appunto non una una rivoluzione impossibile di pochi ma una insurrezione preparata e coinvolgente di una intera classe consapevole del proprio ruolo e del proprio comune destino. Andrebbe considerato che quello che Lei definisce “complesso di onnipotenza” è piuttosto la disperazione di chi ritiene non sia rimasto più altro di ‘giusto’ da fare, come un Arrigoni che rimane a Gaza a documentare l’olocausto palestinese e viene tacciato di collaborazionismo con Hamas: cosa è più coerente allora, la scelta coraggiosa di chi alla guerra in un modo o nell’altro (Arrigoni è pacifista, ma NON è un palestinese) si oppone oppure la scelta servile di chi colpevolizza qualunque forma di dissenso come terrorismo? Si rende conto che la questione della coerenza riguarda una parte soltanto – la sinistra radicale/estrema/extraparlamentare, costretta a mostrarsi pacifica poichè pacifista (mah!) e a ricercare il bandolo della matassa tra le proprie infinite, poichè umane, contraddizioni – mentre l’altra può permettersi di compiere impunemente i peggiori disumani misfatti trovando scuse democratiche ed appoggio bipartisan? Lo Stato insomma non si pone problema alcuno di coerenza, ed invece è PROPRIO QUELLO che pretendo io!

    La soluzione a tutto questo? Una presa di consapevolezza generale – che però giudico del tutto irrealistica – che non si limiti alla superficiale definizione di ‘giusto’ e ‘sbagliato’ (la quale cambia a seconda della convenienza della classe al potere), ma che includa la conoscenza delle debolezze dell’essere umano (e perciò dei “fattori socio-psicologici che hanno consentito più volte alla personalità autoritaria di prendere il posto della personalità individualistica, autodeterminata e democratica”, come analizzato dalla Scuola di Francoforte) e di quelle dell’istituzione alla quale egli si aggrappa acriticamente e fideisticamente per condurre la propria vita sociale.
    Quando vi arriveremo, io credo, il fondo l’avremo già toccato.

  5. certo è che se fosse stato un attivista di destra l’avrebbero incarcerato a vita anche solo per delle scritte sui muri…ma essendo BATTISTI un comunista rimarrà impunito,come tanti suoi compagni ASSASSINI

  6. Battisti, il Brasile e l’Italia: principi

    Occorre ripeterlo ancora una volta?
    La persona di Cesare Battisti non è qui in questione. Ignoro se abbia commesso o no i crimini che gli sono imputati, e che lui nega strenuamente dall’inizio. E odio in generale tutto quel terrorismo di cui egli si fece propagandista e per il quale non trovo, né mai troverò, circostanze attenuanti.
    Detto questo, vedo le reazioni della stampa da quando il ministro brasiliano della Giustizia, Tarso Genro, ha deciso di accordargli l’asilo politico nel suo Paese.
    Osservo, in Italia, uno strano clima d’isteria all’idea di veder fuggire un uomo che abbracciò, come migliaia di altri, la tesi imbecille della «lotta armata», ma di cui si sta facendo – sic – il peggior criminale degli anni di piombo, l’incarnazione del loro orrore, la personificazione del male, il diavolo.
    E credo che occorra riaffermare ancora una volta – a qualunque costo, e anche se la faccenda sembra marginale o secondaria rispetto alla crisi sociale, alla povertà in aumento o all’esplosione di proteste in Guadalupe – un certo numero di principi.

    1 L’Italia è, senza possibile dubbio, une grande democrazia. Ma anche alle più incontestabili democrazie accade di nascondere punti d’imperfezione e zone d’ombra. Gli Stati Uniti e la pena di morte… La tortura, in Francia, all’epoca della guerra d’Algeria… L’Inghilterra minata, per decenni, da una guerra civile irlandese che sembrava non potesse risolversi se non nel sangue e nelle leggi d’eccezione… Ebbene, proprio allo stesso modo l’Italia, nell’urgenza della lotta antiterrorista degli anni 1970, si è dotata di un arsenale legislativo in cui figurava, in particolare, una legge sui pentiti capace di far acquistare a un uomo tutta o parte della sua impunità caricandone il peso su qualcun altro. E’ quanto è accaduto a Cesare Battisti. E’ sulla parola di pentiti (tra cui il capo del suo gruppo, il torbido Pietro Mutti) che è stato condannato vent’anni fa al carcere a vita. E a distanza, ora che si è usciti dallo stato d’emergenza ed è giunto il momento di lenire le ferite, vi è qui qualcosa di inaccettabile.

    2 Tra i punti critici della democrazia italiana c’è un’altra stranezza, quella legge sulla contumacia che fa che un imputato, condannato in sua assenza e poi catturato dalla giustizia, vedrà applicarsi meccanicamente la pena pronunciata allora senza avere la possibilità, come in Francia o in Brasile, di essere giudicato di nuovo. Fu Battisti, durante quel processo in contumacia, rappresentato da un avvocato che avesse egli stesso, dal suo esilio messicano, doverosamente incaricato a tale scopo? No, dice giustamente Fred Vargas, che con l’ausilio di perizie grafologiche ha mostrato ai Brasiliani che sussiste più di un dubbio sull’autenticità di quel mandato. E, soprattutto, la difesa di un avvocato non potrà mai sostituire completamente la comparizione davanti a un giudice – faccia a faccia, parola contro parola – di un uomo su cui pesano presunzioni di crimini così terribili. Qualsiasi cosa abbia fatto o potuto fare, trent’anni fa, il futuro autore di «Cargo sentimentale», aveva anche lui diritto, almeno una volta, di incontrare i propri giudici. Ed è perché quel diritto non gli era stato offerto, e che il codice penale italiano stabilisce che egli sarebbe andato, in caso di estradizione, direttamente alla casella “prigione a vita”, che sarebbe stato giusto accordargli – anche se il termine sembra improprio, anche se può apparire scioccante – lo statuto di «rifugiato politico».

    3 Non si affronta un problema così enorme come quello degli anni di piombo italiani fabbricando un mostro, incollandogli sulla schiena la totalità dei crimini della sua organizzazione, cucendogli addosso, sulla pelle, l’intero ammasso dei peccati di un’epoca di cui fu solo una pallida comparsa, producendo insomma un capro espiatorio la cui esecuzione giudiziaria darebbe il sentimento di essersi sdebitati e assolti, con poca spesa, dal lavoro di rimemorazione e di lutto. Tuttavia è ciò che ha fatto Silvio Berlusconi facendo uscire dal cappello, cinque anni fa, quel nome di Battisti che tutti o quasi avevano dimenticato. E’ ciò che fa quella parte dell’opinione pubblica italiana che preferisce cancellare, accusando il solo Battisti, la terrificante complessità di un’epoca storica in cui si affrontarono i terrorismi di estrema sinistra, i terrorismi di estrema destra, e gli intrighi mafiosi di uno Stato che strumentalizzava gli uni e gli altri (si veda il film Il Divo, che Paolo Sorrentino ha appena consacrato all’inossidabile Presidente del Consiglio di quelli e degli anni successivi, Giulio Andreotti). Tutto questo non fa bene né all’Italia di oggi né alla lotta contro il terrorismo di domani, né, infine, alle vittime che non hanno niente da guadagnare, niente, a veder gettare in pasto, a saldo di ogni conto, dei colpevoli incerti.

    Non so se sia questo a essersi detto, e in questi termini, il ministro della Giustizia del Presidente Lula. Ma credo che la sua decisione sia stata saggia. Credo che sia irragionevole scatenarsi contro un Brasile trasformato (e con quale disprezzo!) in una repubblica delle banane più nota «per le sue ballerine che per i suoi giuristi». Perché la verità di ciò che non sarebbe mai dovuto diventare «l’affare Battisti» è questa: poco importano, in questo ambito, le persone; poco importa che abbiano un bell’aspetto, buona stampa, buona reputazione, e che ispirino o no simpatia; i princìpi sono i princìpi solo se non ammettono eccezioni.
    Bernard Henri Lévy
    (traduzione di Beppe Sebaste)

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