Zanzare e onanisti

Se c’è una parola di cui negli ultimi due anni abbiamo abusato, quella parola è resilienza. Nelle strettoie del lockdown e nelle torture sociali della pandemia ci abbiamo messo dentro tutto quello che probabilmente non conoscevamo e che eravamo costretti a far finta di conoscere, ob torto collo. Solo che in realtà quella non era resilienza, ma semplice scelta obbligata. Perché mai un trauma e un periodo conseguentemente traumatico era mai stato così globale. Banalmente era così per tutti. Quindi la diluizione del mal comune abbatteva i pilastri dell’essenza di quella resilienza che in qualche modo richiama una sorta di eccezionalità nel saper resistere a ciò che è duro, difficile, arduo.
La conferma a questa tesi viene dalla semplice constatazione del dopo.
Chi resiste davvero si fortifica?
Ne usciremo migliori. Ricordate?
È andata com’è andata. E ne siamo usciti ben peggiori.
Quelle difficoltà non ci hanno insegnato un bel nulla. Probabilmente perché erano difficoltà spalmate su un pianeta che le trasformava istantaneamente in consuetudine.

Il preambolo – troppo lungo, ma non mi va di accorciarlo – mi serve per agganciarmi all’esperienza di questo agosto 2022: Via Francigena, Italia, uno zaino, un cristiano, una giovinezza perduta, una tappa al giorno, una scoperta continua, un futuro da trattare con rispetto.
La resilienza che sto collaudando, in questo momento, ha a che fare con un tavolo sgangherato in un paese che si chiama Roveleto e che, così a botto, vi pare un refuso.
Invece in questo viaggio a tappe in un’Italia senza vetrina, sto imparando che noi siamo i narrati e i narratori e che aspettando il giorno in cui qualcuno dovrà prendere carta e penna in mano per scrivere, nessuno narrerà. E questo non va bene in questo paese distratto, più onanista che autoreferenziale.
Comunque, dopo una giornata di cammino non troppo impegnativo (19 chilometri in pianura sono poco più di una passeggiata in questo frangente), stasera mi nutro di una pizza stracotta – io la preferisco poco cotta ma vabbè – e più di me si nutrono le zanzare che se ne fottono di Vape, Autan e altri rimedi la cui efficacia rimanda alle sanzioni europee contro Putin: molta réclame, nessun effetto visibile.
Ecco, il vero paradigma sul quale tarare un modello eterno di resilienza non è un virus, ma un insetto. Un minuscolo essere vivente che tu vorresti estinto ma che gli scienziati proteggono come totem della biodiversità, o come cazzo si chiama. Il Coronavirus ci ha insegnato che siamo fragili, la zanzara che siamo abnegati.
Domanda. Perché mai dovremmo stare in una terrazza o su un balcone vista qualcosa a scegliere tra lo spolpamento a carne viva e l’intossicazione da Zampirone?
Risposta. Per allenare il più nascosto e complicato dei nostri muscoli: quello della resilienza (io da maschio so dove si trova ma non lo dico per decenza, le femmine ci pensino loro…).

In questa Francigena la zanzara è l’apostrofo rosso (sangue) tra le parole “mi gratto”. Dite che l’apostrofo non ci va manco spingendo a spalla?  Vabbè ne avanzate uno, o più di uno, come bonus per tutte le volte che scrivete po’ con l’accento, facendovi prendere in ostaggio dal T9.
Resilienza dalle minchiate, oh yeah.     

5-continua 

Le altre puntate qui.

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.