Fino a quando non capiremo che il vero nemico da combattere in modo globale è l’intolleranza come risultato della somma di incultura e pregiudizio, perderemo il nostro tempo. Meglio abbassare la testa, piegarsi aspettando che la piena passi. Ma non è trattenendo il fiato o confidando nel fato che si può andare avanti in un’epoca di connessioni ultraveloci e di reazioni sociali ultralente. Dalla strage in Florida alle nuove ondate reazionarie che, dalla politica alla cultura, cercano di imporre un ordine, anzi un “ordine” che esiste solo nelle fissazioni di menti farneticanti, è evidente una chiave di lettura univoca: la resistenza al nuovo, l’opposizione verso il differente sono le micce di chissà quanti ordigni pronti a esplodere dentro e fuori i nostri esercizi di metafora.
Il fanatico dell’Isis si differenzia dall’accoltellatore di prostitute albanesi (tanto per andare un po’ indietro nel tempo e dimostrare che la storia non è una perdita di tempo) solo per l’arma utilizzata: lo schema mentale è lo stesso. E poi c’è l’odio indiscriminato per i giovani, l’invidia per l’innocenza delle fantasie, per la gioia altrui. Tutto questo è intolleranza e non riguarda solo ciò che non ci riguarda: terre lontane, continenti imperscrutabili, civiltà altre.
No, riguarda tutti noi. A cominciare dal condomino dello stesso pianerottolo, dal vicino di poltrona al teatro, dal passeggero di fronte a noi sul bus.
Sorridere e mostrarsi felici è l’offesa più grave per chi vive nell’incultura e nel pregiudizio. Verrebbe da dire: attenzione, gioire con cautela.