Poi sono successe due cose

Comincio dalla fine. In una di quelle chiusure inaspettate che ti segnano perché dobbiamo smetterla di vivere d’impeto e ci tocca imparare che la realtà ha tanti strati, come un tiramisù o come una lasagna, a seconda della propensione (io sono per il salato, forever).
Dopo una giornata di pioggia e vento infernali – ho preso più acqua di quando ero semi-annegato in moto alle Lofoten – sono arrivato nella tana di oggi, a Fornovo. Ed è stata la tempesta dopo la tempesta. La persona che doveva ospitarmi, in un posto peraltro molto bello, non si è fatta trovare: ha detto, via sms, di non essere in Italia, di non sapere nulla della prenotazione, ma che comunque avrebbe cercato di risolvere. Non sapeva nulla poveretta, ma il corrispettivo per la stanza se lo era incassato da una settimana. Insomma, come immaginate, ero pronto a dar fuoco alle polveri.

Poi sono successe due cose.
La prima è che un signore spaurito mi è venuto ad aprire, quasi in coincidenza con l’abbattimento del cancello a suon di mie imprecazioni. Non sapeva nulla, era diffidente e ciò aumentava il mio stato d’ira. Poi, illuminato da un raro lampo di lucidità, ho intuito.
Quell’uomo mi seguiva confusamente, aveva sbalzi di umore, cercava una complicità muovendosi a una distanza che definirei onirica.
Ci siamo seduti al riparo dalla pioggia e ha cominciato a raccontarmi la sua vita: la famiglia, il Cabernet che coltiva, il tempo che cerca di far passare. Tutto in una macedonia di frasi, silenzi, occhiate, passi incerti, ammiccamenti e sguardi ostili.
Il disagio degli altri ha questo di taumaturgico: se lo fai tuo – senza aspirare a premi e cavalierati vari – ti eleva al livello dell’altro anche se è più basso. Quando unisci con un filo due persone che per via dei nodi – più cappi che scorsoi – della vita non potrebbero unirsi mai, hai fatto bingo, hai raggiunto un minimo di scopo.
Nel frattempo la padrona di casa dall’estero telecomandava una persona per cercare di sistemare le cose: lenzuola, asciugamani, kit bagno, eccetera.

In serata è accaduta la seconda cosa.
Mentre ero in veranda a scrivere (tipo una stroncatura del posto in cui mi trovavo) è arrivata una signora molto distinta e di garbo stratosferico: la mamma della padrona di casa, quella in vacanza che ha incassato a sua insaputa. Si è scusata per il disagio, si è sorbita una mia tiritera tritacoglioni e solo dopo, dal nulla, ha tirato fuori un vassoio di dolci. Lì ho sorriso e le ho chiesto di sedersi.
Abbiamo chiacchierato al fumo di uno Zampirone, mangiando dolci e mettendo da parte le mie rimostranze.
Poi mi ha domandato: com’è andata stamattina con mio marito?
Lì sono sprofondato improvvisamente negli strati di una realtà che avevo azzannato senza criterio.
E li ho visti lei e lui, una bellissima coppia, magri, raffinati, benestanti, colti, lui – ho appreso – con una decina di brevetti. Ho messo insieme i puntini e mi è venuta fuori quest’immagine di marito e moglie felici, in una fetta d’Italia non ancora inquinata dalle porcherie che noi, di altre latitudini, ben conosciamo: vita di campagna, Emilia buongustaia, aria pura, futuro accessibile.
Li ho visti così mentre lei mi raccontava dell’Alzheimer di lui e ringraziava il cielo che non avesse combinato sfaceli con me. E nel farlo, nascosta nella penombra della sua tenuta inutilmente grande, stringeva con una mano il bracciolo della sedia e con l’altra faceva finta di togliersi qualcosa da un occhio.
Mi sono sentito una merda, mentre trangugiavo dolci e cancellavo di gran fretta il file per Tripadvisor, davanti a quella donna che continuava a scusarsi per qualcosa di cui non c’era giustizia che si scusasse. Quando se n’è andata ho scritto queste righe.
Viviamo d’impeto e ce ne compiacciamo, sputiamo giudizi come ossi di olive senza piattino, togliamo tempo all’esperienza e non riusciamo a capire che ogni minuto rubato a una riflessione è un lustro regalato alla dissennatezza.

Ecco, oggi avrei voluto raccontarvi delle mie avventure con uno zaino, due gambe e mezzo cervello in giro per l’Italia a piedi.
Invece chiudo qui. Ci sono storie a lunga lievitazione e io ora devo dedicarmi a quella che vi ho appena narrato.
A domani.

8-continua

Le altre puntate qui.

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.