In altri tempi non mi sarei mai ritrovato a festeggiare per la vittoria calcistica della Germania. Ma nelle ultime settimane qualcosa è cambiato. Innanzitutto c’è stato un campionato mondiale che ha ribaltato molti luoghi comuni sulla fantasia e sulla classe di certi campioni. Poi, soprattutto, ho fatto un viaggio in Baviera. E lì ho scoperto perché la locomotiva tedesca non è solo un’invenzione dei giornali, perché la Merkel ci implorava di toglierci Berlusconi dai piedi, perché la qualità è frutto della furbizia e non solo della mera abnegazione, perché si può offrire eccellenza a prezzi competitivi e perché la dieta mediterranea non è affatto l’elisir di lunga vita se vivi in città sporche e inquinate. È vero, i tedeschi vivono meglio di come mangiano (mai come gli inglesi), ma sono un popolo dritto, fiero e lungimirante. Riescono a farti pagare il biglietto persino per far visita a un quartiere dormitorio – e tu paghi volentieri – e ti trattano da re anche nelle bettole.
La loro leva calcistica viene da decenni di errori e da secoli di crauti, la loro prospettiva e la loro strategia sono però sempre rinnovate e rinnovabili, perennemente in cerca di un nuovo punto focale.
Mentre noi cicaleggiamo, loro pedalano a testa bassa. Mentre noi ci incantiamo dietro al primo pifferaio stonato che promette chissà che, loro cambiano organici, rinnovano vertici, guardano tutto tranne il proprio ombelico.
Ecco perché se vincono il campionato mondiale di calcio non c’è da stupirsi, ma da gioire. Una volta tanto i più forti onorano la legge di natura, che impone loro di vincere e mandare affanculo tutti gli altri.