L’altro giorno su Facebook ho accennato a una questione che mi sta a cuore, la presunta superiorità del centro, come posizione politica equidistante e come oggetto di elogi non appena qualcuno delle periferie (di destra o di sinistra) fa qualche minchiata.
C’è un concetto che mi insegue da molto tempo. E qui vi propongo la short version: poi magari la questione la approfondisco altrove, dove il tasso di concentrazione richiesta va oltre le sette righe.
L’idea che tutte le opinioni, i punti di vista, le posizioni (anche fisiche) siano deviazioni impazzite rispetto all’imparzialità del centro.
Il centro.
Lo si elogia spesso, soprattutto in Italia, quando ci si deve contrapporre agli estremismi di vecchi e nuovi banditi. E lo si usa per indorare la pillola di chi non sceglierebbe mai un estremo: il centrodestra appare meno estremo della destra, il centrosinistra meno oltranzista della sinistra.
Invece c’è un errore di fondo in tutto questo ragionamento: pensare che destra e sinistra siano estremiste in modo simmetrico.
Non è vero.
Ma per questo ci vorrà la long version.
Ed eccoci qui per la versione estesa, ma non troppo.
Il concetto che sta alla base di questi ragionamenti è che le opinioni di parte siano di per se stesse meno attendibili delle altre. E allora chiediamoci: delle altre, quali? E soprattutto di parte, in che senso?
Per molti decenni la polarizzazione politica ha giocato a contrapporre idee giuste a idee sbagliate e ha trovato nel centro il rifugio del cosiddetto campo neutro, come quando da ragazzini si andava a fare una partita all’oratorio per sanare le rissose divergenze tra squadre di quartiere. L’oratorio era il campo neutro, soprattutto il mio dove c’era pure un prete intransigente e manesco (un salesiano che ci accoglieva dicendo: “Il primo che alza le mani se la dovrà vedere con me”).
In realtà non esistono opinioni di parte, esistono opinioni che si possono condividere o no: facile a dirsi, difficilissimo da spiegare a un politico contemporaneo, uno scelto a caso in un catalogo che va da Salvini a Renzi, da Crimi a Meloni.
E in questo corto-circuito logico rientra un vizio che ha insanguinato le strade della nostra logica: le persone stentano a (ri)conoscere ciò che non viene abbracciato nella loro visione del mondo. Il che significa che tendono a sottovalutare pericoli reali (tipo, il figlio bianco della mia vicina non può molestare mia figlia) e a sopravvalutare situazioni in cui la minaccia sono sempre “loro” e mai “noi” (tipo, il figlio nero della mia vicina potrebbe essere un problema per mia figlia).
Nessuno o pochi hanno il coraggio di confessarselo, ma il succo di questo ragionamento, che è politico, civile, sociale, culturale, è la difesa ossessiva dello status quo.
La sopravvalutazione del centro compie, di rimbalzo, un’altra ingiustizia: che destra e sinistra siano simmetricamente distanti da esso. Come se, nei secoli, le voci della sinistra abbiano raccontato o svelato storie minimamente comparabili alle fandonie della destra, come se gli ideali della sinistra possano avere un degno contraltare in quelli della destra, come se i crimini con fondamento ideologico commessi dal comunismo (che tutto era tranne che qualcosa di affine alla sinistra che conosciamo) fossero comparabili con le ripetute e attualissime violazioni dei diritti umani perpetrati dalla destra.
Il pregiudizio centrista è un pregiudizio di carattere istituzionale e, diciamolo, stupido. Nella storia il centro ha pesato come destra e sinistra nel preservare le disuguaglianze e anzi, specialmente in Italia, ha salvaguardato trame e segreti che da quegli estremi provenivano.
Se una verità cerchiamo davvero sul centro, è che il centro è di parte. Anzi è di una parte che non ha parte. Il peggio del peggio per cercare un alibi politico, insomma.