Cose che resteranno di questi Campionati europei 2020/2021.
Il trionfo di una squadra senza prime donne. Probabilmente segno dei tempi, in cui la condivisione più utile è quella che passa dalle coscienze e non soltanto dai polpastrelli.
La vacuità di un progetto di nazione salviniana costruito sui luoghi comuni. L’Italia che vince è meridionale, settentrionale, immigrata, chissà ariana, che aiuta gli altri a casa loro ma che non dimentica il campanile.
La gentile discrezione colta di Chiesa, che segna in italiano e parla una lingua straniera con un garbo a noi sconosciuto.
La freddezza di Donnarumma che para il rigore decisivo e si rialza come se avesse finito un esercizio in allenamento.
La genialità di chi ha cambiato “It’s coming home” in “It’s coming Rome”.
L’ubiquità di Tom Cruise, dappertutto in diretta in mondovisione ovunque ci fosse una palla/pallina da seguire.
Il rimedio della Rai per sostituire i telecronisti bloccati dal Covid: potere al non-pensiero, e non aggiungo altro altrimenti dobbiamo aprire un dibattito antipatico.
Mario Draghi che dice: “Lo sport è un ascensore sociale”. Che non significa escludere altre discipline o arti, ma cominciare a mettere dei punti fermi in un Paese che vive di sabbie mobili sociali.
La sportività degli spagnoli, latini non per caso.
L’antisportività e il razzismo di alcuni inglesi, ex barbari non per caso.