Il guinzaglio di Dio

Mamma mia quanti arretrati.
Ci eravamo lasciati in a sentimental mood e, tralasciando il mero contingente, avevo diluito sudore e progetti in una accattivante minestra di buone intenzioni.
Bene, vi do una notizia. La minestra è finita. Si torna al vecchio, caro cinismo che, come la dinamite di certi film hollywoodiani, abbonda ma non colpisce mai le persone che se lo meritano.

Riassunto veloce: la parte succosa sta dopo.

Ho mangiato gricie rivisitate con la “gola” al posto del “guanciale” e il parmigiano al posto del pecorino (conto di rimettere le tessere al loro posto a Roma tra qualche giorno, se Dio vuole). Ho assaggiato prototipi di salumi stagionati col vino per cui mi è stato chiesto anche un parere sul nome da registrare (un onore!). Ho bevuto Gutturnio fermissimo ed evitato come la peste ogni forma di Lambrusco. Ho fatto aperitivo con un’indimenticabile crema di parmigiano e miele. Insomma ce l’ho messa tutta per far diventare questo blog una guida enogastronomica, ma il peccato originale di difficoltà/capricci alimentari del titolare minano alle fondamenta ogni ottimistico progetto in tal senso.
Ho evitato branchi di cani, quasi rincoglionendoli tipo incantatore di serpenti. E quando uno di questi animali incurante di sussurri rassicuranti stava per azzannarmi, mi ha colpito il grido disperato della padrona, a distanza di (in)sicurezza: “Stia attento, quello è sordo!”. Un cane non udente rischiava di farmi diventare camminatore non deambulante. Ma Dio, evidentemente, oltre a vedere e provvedere ha anche un guinzaglio lungo: e se lui, anzi LUI, strattona sono cazzi. Sempre sia lodato.
Ho dormito in posti quasi senza luce (e mi meraviglia non tanto il buio delle stanze quanto la presunzione di chi pensa che le persone non leggano) e in altri che brillano di luce propria come La locanda nel vento a Calestano con una titolare appassionata di cammini e di umanità: un dialogo di un quarto d’ora con lei vale già il prezzo del soggiorno.
Sono finito in un agriturismo nei pressi di Pontremoli che è un postaccio per colpa di chi lo gestisce. La struttura è bella, c’è pure la piscina. Ma il titolare è uno che sta lì a sbuffare e pare che gli state rompendo i coglioni: per non sbagliare si fa pagare il triplo di un B&B in zona, eh. Ma per quest’argomento rimando a recensioni in spazi appropriati.
E poi ho camminato, camminato, camminato. Lasciata la pianura, è iniziata la salita dell’appennino. Ma questa è roba di ordinaria fatica.

Invece andiamo alle cose serie.

Stasera in quest’angolo di mondo che è Toscana, ma è soprattutto strada di passaggio (sulla Francigena, sulla via per il mare, per i grandi itinerari turistici) si è verificato un bug non inconsueto per il camminatore seriale: capire dove cazzo mangiare senza doversi consumare i sandali in una marcia olimpica.
Il simpaticissimo titolare dell’agriturismo annodando addirittura una mezza dozzina di monosillabi, che probabilmente metterà sul conto come extra, ha indicato una pizzeria dopo il passaggio a livello, a meno di un chilometro di distanza (questo lo aggiungo io perché per lui era un’informazione bonus). Mi sono incamminato con auricolari e playlist serale a palla, as usual. Dopo i primi passi ho iniziato ad avvertire un ronzio. Dopo un po’ il ronzio è diventato un ingombrante rumore di sottofondo. Ho alzato lo sguardo al cielo pensando: un aereo o chessò, dati i tempi, un meteorite. Niente.
Ho tolto gli auricolari e sono stato colpito dal beat di una musica da discoteca che mai avevo sentito. Prima che cominciate a sfottere è bene che vi ricordi che il sottoscritto in discoteca ci ha lavorato per anni. Certo era il 1981, ma la militanza resta, chiaro? Un microfono è come un diamante, è per sempre. Anche se costa e impegna meno… ehm.
Comunque mi sono lasciato guidare dal batticuore per trovare la fonte di quel suono assordante. Quando sono arrivato all’origine di tutto, del male e dei decibel che da esso promanavano credevo di avere sbagliato.
Una pizzeria!
Nel cratere di quell’esplosione di suoni? Ma chi ci sopravvive lì senza adeguato supporto lisergico?
Invece sotto un palco di amplificatori alti quanto un palco appunto, c’era un pizzaiolo che con un forno elettrico montato su un’Ape Piaggio sfornava pizze per la popolazione inebetita che gli girava attorno. Sembrava un film con spunti rubati a Kubrik, Brass e Sorrentino. Musica, rossetti, l’Ape, vecchi, pomodoro, ragazze, telefonini, sudore, urla.
La pizzeria, o quel che voleva essere, soggiaceva secondo uno schema orwelliano a regole ferree: si paga prima di mangiare, non è detto che ci sia dove sedersi, si divora senza posate, non si fanno domande perché non si possono avere risposte per via del frastuono, mica per sgarbataggine degli addetti (probabilmente tutti sordi).
Ho pagato 15 euro per una pizza e una birra. Ma la pizza era, lo giuro, un boccone in più e una tonnellata di gusto in meno di una pizzetta di Graziano. Soldi ben spesi però per lo spettacolo che non era sul palco degli indemoniati, ma tra i tavolini di plastica ingiallita popolati da anziani in cerca dell’evasione del sabato, tra famiglie rincoglionite dai decibel, bambini inutilmente urlanti e sadici come me, drogati di cinismo e attrazione per l’orrido.
Forse domani il tizio dell’agriturismo me lo abbraccio. Quantomeno per sfregio.  

9-continua  

Le altre puntate qui.

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.