Provocazioni

In Belgio una candidata (forse) al Senato promette sesso orale (forse) a tutti quelli che la voteranno. E’ una campagna elettorale surreale sponsorizzata da un movimento di protesta, il Nee, che ha spesso usato la provocazione per colpire la politica stantia. Quella di Tania Dervaux è comunque una trovata furba per finire sui giornali di mezzo mondo senza fatica. Il sesso e le nudità sono argomenti che non necessitano di trattamenti editoriali, di traduzioni. Bastano una foto e una didascalia ed è fatta. Se ne può ridere.
In Italia, qualche anno fa, i radicali portarono in parlamento una pornostar. Il senso della provocazione, se di provocazione si trattò, non fu mai chiaro. Di certo non ci fu nulla da ridere.

Al mancato sindaco di Palermo

Gentile professore Leoluca Orlando, sono uno dei suoi elettori e non posso che scriverle. Ho appena finito di visitare il suo sito e alla voce “ultime notizie” proprio nella home page si rimanda ai risultati dello spoglio in tempo reale che in realtà non ci sono e a una sua dichiarazione su Prodi e Cuffaro datata 6 maggio. Sa com’è, volevo aggiornarmi prima di metterla al corrente delle mie perplessità. Pazienza, la rete (minuscola) non è il suo forte.
Le indagini sulle sue denunce faranno il loro corso. Lei parla di brogli, i giornali testimoniano un clima pesante persino nei quartieri che dovevano essere le sue roccaforti, i vincitori gioiscono per gli esiti del loro “ottimo gioco di squadra”. La verità è sabbia tra le dita, un po’ scorre, un po’ dà fastidio.
La distanza di punti percentuali tra lei e Cammarata è notevole. Lei non ha perso sul filo di lana, ha perso e basta. Servivano più voti, più partecipazione.
Lei, gentile professore, ha creduto troppo in se stesso, troppo poco in un supporto politico di largo consenso. Traduco: ha fatto da solo ciò che doveva fare in gruppo. E’ sempre andata così da quando la conosco (e la voto). Lei è un solista, non ha delfini, non vuole eredi, brucia idee in varie lingue, è un tritasassi delle parole, un erogatore di programmi ambiziosi, un pessimo tattico.
Della Rete (maiuscola), che da semplice movimento era diventato imponente soggetto politico, non è rimasto un solo nodo utile, solo pesci morti. Eppure noi c’eravamo, gentile professore, noi eravamo quella marea silenziosa che inondava le strade per seguirla nei cortei antimafia. Noi la sorreggevamo nel duello cruento con una parte dell’estabilishment cittadino (imprenditori, giornalisti, magistrati) che brandiva un garantismo peloso quantomeno sospetto (per non parlare d’altro). Noi facevamo il tifo per lei come se fosse un campione sportivo, l’ascoltavamo come un mahatma.
Lei ha creduto di poter continuare a correre da solo. E ha sbagliato per nobiltà d’animo e triste presunzione. Adesso non so quali siano i suoi progetti, immagino che voglia giocare un ruolo da protagonista nel Partito democratico. Le do il mio modesto consiglio: si faccia moltitudine, deleghi, distribuisca fiducia, mandi qualcuno in giro a parlare per suo conto. S’inventi gli orlandiani e dimentichi l’orlandismo.
Buon lavoro

Al sindaco di Palermo

Gentile sindaco Diego Cammarata,
non sono uno dei suoi elettori ed è per questo che le scrivo. Credo che uno degli impegni politici più difficili per un primo cittadino sia quello di dimostrarsi affidabile agli occhi di chi non fa parte del suo schieramento.
I suoi primi 5 anni a Palazzo delle Aquile non mi hanno convinto, non mi piacciono la sua gestione prêt à porter dei consensi, il suo esserci dove è bello essere, il suo non esserci dove sarebbe giusto essere. Non ho i suoi gusti in tema di locali pubblici e di arredi urbani, non mi piace la politica delle stabilizzazioni elettorali, né gradisco che un autista di bus guidi senza patente.
Lei ha riconquistato il posto a Palazzo delle Aquile con una vittoria netta. E a poco valgono gli isterismi di chi chiama al telefono il ministro degli Interni per urlare di brogli e schifezze, anziché preparare un regolare ricorso: chi perde può non rassegnarsi, ma non può pretendere di essere teletrasportato (da un giudice o da un ministro) sul trono che non ha conquistato.
Insomma, gentile sindaco, lei ha un’occasione irripetibile, quella di dimostrare coi fatti che sono i fatti che l’hanno portata avanti rispetto agli altri concorrenti. Ho letto i resoconti del suo “buongoverno” della città e, mi perdoni, li trovo per certi versi ingenui. Lei loda i cantieri che hanno trasformato la città. Prenda una bicicletta o un motorino e faccia un giro delle periferie per vedere come i cantieri hanno trasformato le strade della città. Lei parla di una città più vivibile. Vada a piedi sul lungomare di Mondello ora, adesso e inorridisca per il tappeto di immondizia sui viali e sui marciapiedi. Lei parla dello snellimento della burocrazia comunale. Io da due mesi non riesco a cambiare il domicilio.
C’è poi una questione di linguaggio. Finiamola con le dichiarazioni di amore quando si parla di politica, perché inevitabilmente si finisce a parlare – per contrapposizione – di odio. E in questa lotta tra il Bene e il Male, il suo referente sommo è specialista. Io non l’ho votata, ma non la detesto. Io non sono di Forza Italia, ma non sono uno scemo. Io sono un cittadino ordinario, ma non voglio essere etichettato da Alberto Statera (oggi in prima pagina su la Repubblica) come uno di quelli che non “ha veramente a cuore la cosa pubblica” sol perché la mia città va a destra anziché andare a sinistra.
Ecco gentile sindaco, faccia di Palermo una città che non può essere dileggiata per un voto in controtendenza. La renda inattaccabile, preziosa per i suoi talenti inespressi. La vera scommessa è portare alla luce e valorizzare ciò che rimane nascosto. Faccia meno inaugurazioni e più passeggiate. Ascolti la musica che suonano i suoi concittadini, legga le loro parole, corra con loro se corrono, li aiuti se inciampano. Se io fossi lei vorrei conoscerli tutti, proprio tutti.

Buon lavoro

Le prossime elezioni

Mentre ci si arrabatta con schede, scrutini, dichiarazioni di voto, previsioni e scampoli di risultati provo a guardare oltre. Penso alla prossima campagna elettorale. Molti giornali, blog, televisioni vi hanno mostrato il mondo variopinto dei candidati con gli slogan più acrobatici e gli impegni più divertenti. Benissimo. Ci siamo (anche) divertiti.
Adesso mi piacerebbe che fosse approvato un codice aggiuntivo del candidato con le seguenti regole.

  • Il c. deve dar prova di conoscere il trapassato remoto di un verbo a piacere.
  • Il c. deve fornire la propria dichiarazione dei redditi e la mappa delle proprie abitazioni (roulotte e camper inclusi): i certificati devono combaciare se non aritmeticamente per logica.
  • Il c. deve sapere quanto costa in modo approssimato un normale panino (scarto ammesso 50 centesimi!).
  • Su ogni singolo manifesto, volantino, banner, per non parlare degli spot televisivi e radiofonici, il c. deve indicare costo e nome e cognome del finanziatore.
  • La lingua ufficiale del c. (scritta e parlata) deve essere l’italiano, altrimenti si paga pegno. Il c. che stampa un inglesismo accanto al suo faccione, ad esempio, deve sostenere una conversazione nella medesima lingua davanti al comitato elettorale di un concorrente diretto.
  • Il c. si impegna a non inviare stampati, lettere o altra cartaccia a casa di persone che non conosce.
  • Il c. si dichiara al servizio dei suoi elettori e non degli amici (degli amici).

foto Romina Formisano

Fotofinish

Comunicazione di servizio. Da oggi a domenica sarò alla Fiera del libro di Torino per presentare l’antologia “Fotofinish” che porta la mia firma a fianco di quella di Giacomo Cacciatore e Valentina Gebbia. S’inaugura così, insieme al libro di Sandrone Dazieri “Bestie”, la collana VerdeNero. L’iniziativa è frutto di una collaborazione tra Edizioni Ambiente e Legambiente e ruota su un tema fondamentale come la lotta all’ecomafia. Il piano dell’opera è ricchissimo: oltre agli scrittori di cui sopra hanno aderito Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini, Massimo Carlotto, Piero Colaprico, Marcello Fois, Giancarlo De Cataldo, Niccolò Ammaniti, Luca Rastrello, Simona Vinci, WuMing. Se volete venirci a trovare, sabato alle 17 siamo nel padiglione V, sala Book, al Lingotto. Se volete ascoltarci per radio, siamo –sempre sabato – ospiti dalle 13 alle 13,30 della trasmissione “Tutti i colori del giallo” (Radio Due), condotta da Luca Crovi.
A lunedì!

Giornali in rete (faranno gol?)

Secondo Bill Gates il futuro di tv e giornali è prevalentemente online. Direte: certo, il padrone della più grande azienda enologica del mondo non può che indicare nel vino la strada maestra per la verità. Fatta la tara sul personaggio, che (antipatie a parte) qualcosa da dire ce l’ha, la questione è seria.
Il consolidamento della presenza sul web di quotidiani e televisioni non può che seguire il progressivo traghettamento di pubblico dai mass media tradizionali verso internet. Già l’inventore di Skype, Niklas Zennström, ha aperto una via con Joost, la via gratuita alla tv on demand. Già i maggiori quotidiani del mondo offrono contenuti interattivi sui loro siti per diversificare il prodotto cartaceo da quello digitale. Abbiamo assistito alla fine degli anni Novanta alla Prima Grande Illusione della New Economy: il miraggio dei guadagni facili attirò imprenditori di ogni genere, soprattutto quelli che non avevano mai acceso un computer nella loro vita. Bastò poco tempo perché se ne tornassero con le pive nel sacco alle loro industrie, ai loro mattoni, ai loro ingranaggi da oliare, alla loro politica di contributi. Conosco una persona che in un pubblico consesso a quei tempi dichiarò: “Propongo di non scrivere mai più la parola Internet sul giornale”. Oggi probabilmente, in ossequio alla sua lungimiranza, ha più di un’azione investita in aziende che operano su e grazie a internet. E sul giornale quella parola la lascia scrivere molto volentieri. Nel web per fare sul serio ci vogliono altre carte e soprattutto ci vogliono idee. Non è una visione da “nudi e puri”, bensì una semplice regola di sopravvivenza. Nell’epoca del Web.02, dove i contenuti saranno sempre più quelli degli utenti, i padroni (lasciatemi usare questo termine desueto che rende bene il concetto) potranno solo veicolare al meglio le idee degli altri, tramite idee proprie per fare soldi. E questo non sarà uno scandalo.

Letteratura di serie Z

Giacomo Cacciatore, uno scrittore che ammiro e che ho la fortuna di trovarmi come (raro) amico, mi segnala una intrigante polemica letteraria. Sul Corriere della Sera Giovanni Mariotti risponde alle provocazioni di Roberto Saviano sul ruolo della letteratura. La questione, in parole povere, sta tutta nella secolare distinzione tra letteratura di serie A e letteratura di serie B, nell’impegno e nel ruolo quasi taumaturgico che un libro deve assolvere.
Il progredire negli anni ha un suo vantaggio: fornisce sempre più cose da raccontare, senza timidezze. Ricordo che alla vigilia della pubblicazione del mio primo romanzo scrissi, in preda a un’atavica grafomafia, a Mauro Covacich per complimentarmi a proposito di un suo libro che avevo appena finito di leggere e per parlargli di me (vedi grafomania e passione per la maratona). Mi rispose coi ringraziamenti di rito aggiungendo che uno scrittore è tale perché è nato così e che non esistono aspiranti scrittori, esistono scrittori che riescono a pubblicare e scrittori che non ci riescono. Tutto qui. Spazzò così il campo da una distinzione genetica tra narratori. Chi racconta fa qualcosa che nessuno gli ha insegnato, che è dentro di sé, che è tormento e gioia, chiave e catenaccio. L’idea conseguente è che le storie narrate hanno tutte una propria dignità e che – per citare la polemica del Corriere – se esistesse il dio dei letterati avrebbe la medesima clemenza per Saviano e Bufalino, Palazzotto e Covacich, Cacciatore e King (mi perdoni Cacciatore!). L’unico argomento che deve animare uno scrittore di serie A, B o Z – classifica in ossequio al pensiero di Saviano – è la consapevolezza di essere un ladrone graziato che ruba a sé, agli altri e a quelli che devono ancora venire.

Le cassette nel cassetto

Un ricordo bello e uno brutto.
Ho 19 anni, sono in nave con un paio di amici. E’ inverno e il mare è calmo, Genova è a due ore da noi, stiamo arrivando, c’è il sole. Esco sul ponte, mi chiudo nel piumino rosso, inforco le cuffiette e schiacciò il tasto del mio walkman nuovo, regalo di compleanno. Nelle orecchie si accende la magia degli Spyro Gyra.
Ho 42 anni, sono a casa e ho voglia di ammazzarmi di nostalgia. Tiro fuori dallo scaffale la cassettina con la musica degli Spyro Gyra, la infilo nel registratore e schiaccio il tasto play. Ne viene fuori un suono orribile dove il fruscio a tratti copre la musica. Mi incazzo e vado a letto con la tv accesa per punirmi.
A questo ho pensato mentre leggevo ieri la notizia del ritiro dal mercato delle audiocassette. Nessuno le vuole più, sono state mandate in pensione da mp3 e cd.
Tutti quelli che hanno più di 15 anni e che amano la musica avranno qualche ricordo legato a queste trappole di plastica. Le Tdk, le Philips, le Scotch, i modelli CrO2, quelli Metal, LH, LN… C’erano sigle che sembravano complesse formule fisico-chimiche che alimentavano speranze di longevità e resa sonora. Eppure si sfasciavano tutte alla stessa maniera. Avevamo affidato alle musicassette il compito di conservare i ricordi senza renderci conto che i ricordi non sono indelebili: personalmente il nastro magnetico si è dimostrato più stabile dei miei neuroni. Adesso guardo con malinconia le mie trecento e passa cassette. Non le butterò mai e forse non le farò nemmeno suonare. L’importante è che ci siano state.

Il governo strabico

Intervengo su un argomento che, per mere questioni di cronaca (nera), rischia di passare in secondo piano: lo strabismo del governo Prodi. A ricordarmi l’argomento ci ha pensato lo stimato blogger Lesandro’s che nel suo antro internettiano ricorda come la questione dei Dico sia cruciale per l’unità di un esecutivo. In parole povere il ministro Mastella fa la parte del libero protagonista adducendo questioni di ordine morale o, ancora peggio, di sesso.
Letterariamente ministro è chi si fa carico di compiere un’azione, di portare a compimento un progetto per ordine o per conto altrui. C’è in Italia un’odiosa dimenticanza nei confronti della base elettorale. Insomma noi votiamo per un programma, poi alcuni degli esecutori di questo programma decidono di fare quel che cazzo vogliono nel nome di convincimenti etici, religiosi, atavici o condominiali. Non è la prima volta che discutiamo di questi argomenti. Ma il problema resta uno, solo e unico: a me non me ne frega un tubo di quale sia il raptus che spinge Mastellone a fare muro contro qualcosa, l’importante è che lo faccia nell’ambito del manifesto di un’alleanza politica che ho votato. Perché lui sarà padrone di fare quelllo che crede (e di risponderne) solo quando non sarà più al mio servizio di cittadino elettore. Fino ad allora risponderà a me e a quegli altri malati di mente che li hanno votati.

Siccità

Questa storia della siccità rischia di diventare una miccia accesa. Si scopre che il Nord ha un problema in tal senso (di acqua, non di micce) e scatta, con rullio di tamburi e squilli di trombe, un Piano Di Emergenza.
Vivo in una regione e soprattutto in una città dove ci si è dovuti abituare a fare la doccia con un secchio d’acqua. Fino a tre anni fa nell’elegante centro di Palermo dove (per una fortunata serie di concause) abitavo, l’erogazione idrica avveniva una volta ogni due-tre giorni e per poche ore, di notte. Contro la siccità i governi siciliani le hanno provate tutte. Si pensò persino di sparare alle nuvole come facevano gli israeliani: il progetto fu accantonato subito nel timore che il fai-da-te prendesse il sopravvento, balcone per balcone.
Si appaltarono lavori miliardari per dighe, dissalatori, condotte. Scese in campo l’esercito che, conclusa l’operazione Vespri siciliani, non vedeva l’ora di rendersi utile. Qualcosa si è fatto, molto altro no. Soprattutto ci si è arresi all’idea bipartisan che l’acqua in realtà c’è, ma che si perde nel colabrodo delle nostre reti cittadine. Se un giorno qualcuno dalle mie parti si accorgerà che al Nord per qualche goccia in meno e qualche fiume ristretto hanno adottato un Piano Di Emergenza Nazionale dove il presidente del Consiglio ha preso in mano personalmente la situazione, allora saranno guai. Perché a quel qualcuno dovranno spiegare perché l’acqua in Italia non bagna tutti alla stessa maniera.