Gli intoccabili

Tira una brutta aria per i giornalisti. L’ultimo episodio, la bagarre politica nata dopo le accuse di Travaglio a Schifani in tv, è un raro esempio di follia liberticida. Vediamo perché.
Travaglio cita il neo presidente del Senato, pezzo da novanta del centrodestra, per stigmatizzare alcune sue amicizie con personaggi in odor di mafia. Si rifà anche alla ricostruzione fatta da Lirio Abbate e Peter Gomez nel libro “I complici”. Dà cioè uno spaccato di cronaca: accanto a Schifani, in alcuni atti societari, ci sono delle persone condannate per associazione mafiosa. E’ vero, manca la controparte, regola essenziale di un buon giornalismo. E questo è l’unico punto debole della posizione di Travaglio (e di Fazio che ha organizzato l’evento televisivo). Però non facciamo gli struzzi. La regola della controparte serve innanzitutto a garantire i deboli (mediaticamente parlando), cioè i cittadini che non hanno mezzi d’immagine, economici, di consenso per avere una visibilità pari a quella del loro accusatore. Schifani può essere considerato un debole, in quest’ottica? In realtà chi lo difende, più che debole lo considera intoccabile. Senza censure o mannaie è giusto che gli sia data la possibilità di replicare, nel medesimo spazio e col medesimo tempo a disposizione. Stop.
Il rischio è che, a questo punto l’unghia del potere laceri le carni dei cronisti, imponendo la seguente regola (peraltro già in vigore presso alcuni quotidiani, ne so qualcosa…): se non c’è la controparte la notizia non si dà.
Morale: se volete bloccare una notizia che vi riguarda, non fatevi trovare.

Tony Gentile, il mago del tempo

C’è una foto simbolo di Falcone e Borsellino che ci racconta la rabbia, la sconfitta, la rivincita e la primavera della speranza. Quella foto l’avete vista sui giornali, sui muri, sui lenzuoli, su internet. L’autore è un grande fotografo al quale mi legano affetto, stima ed esperienze comuni: Tony Gentile, oggi staff-photografer dell’agenzia Reuters di Roma.
Vi do un suggerimento con ampio anticipo. Il 20 maggio si inaugura a Roma, al centro Luigi Di Sarro, la sua prima mostra personale. Se volete fare un salutare bagno di memoria o se, più semplicemente, il bello vi appassiona ancora, fateci un salto. Vi troverete davanti un lucido narratore di immagini, pacato e sorridente, che ha saputo fissare in uno scatto vite troppo brevi e drammi troppo lunghi. Un mago del tempo, uno scrupoloso artigiano, un vero artista.

Un post al sole

Palermo 2038

Il primo ad arrivare è il Cacciatorino. Non sono neanche le sette e trenta del mattino e si è già incazzato otto volte: inveisce contro Bush IV e la regolamentazione dell’antropofagia nelle regioni a statuto speciale. Ha settant’anni, vive con la moglie e una madre di 176 anni che beve Coca Cola, compra occhiali da sole come se fosse adolescente ed ha un blog con milioni di contatti al giorno. Il Cacciatorino passa le sue giornate seduto qui, nel bar “By Geryyy” , un ex giornalista, ex scrittore, ex maratoneta, ex fumatore, ex cuoco, ex enciclopedico dell’insulto gratuito che ha messo questo nome al locale per battere il record mondiale di ipsilon. Di lui si racconta che a 45 anni si dimise dal giornale dove lavorava e guadagnava bene per vivere di stenti, chinotto e fantasia (più chinotto, a dire il vero). Nessuno ci crede, ma quando si siede ai tavoli e racconta con dovizia di particolari della sua lettera di dimissioni, i giovani sghignazzano. Lui, che è quasi cieco, crede che siano risate d’approvazione ed è felice.

Alle otto giunge, “Abbatt”. E’ una donna senza un’identità precisa. Un giorno si fa chiamare “abbattiamo i termosifoni”, un giorno “abbattiamo i mesi caldi”, un altro “abbattiamo il muro”. Di certo ce l’ha col caldo. Si siede accanto al Cacciatorino e insieme ordinano il quindicesimo caffè della giornata. Gli altri arrivano alla spicciolata.

Sta arrivando.. il passo è lento, la protesi al ginocchio lo costringe a fermarsi ogni cinque passi. Doveva essere un bell’uomo questo Roberto Torta, detto “il Presidente”. Ogni giorno la solita solfa: “Sono io il Presidente della Regione”. Anni fa, eludendo la sorveglianza irruppe nella sala gialla di Palazzo dei Normanni e iniziò a urlare: “Sicilianiii!! Sono io il vostro Presidente. Sono io!”. Lo internarono per cinque anni. Fa sempre la corte a Jana, la splendida signora che con fare felino, la voce sensuale e tacchi vertiginosi si unisce alla compagnia. Ha anche lei la sua età, ma le cosce marmoree non la tradiscono mai. Ogni giorno viene in questo bar e ricorda a Gery la sua affinità elettiva. Ma Gery da quest’orecchio – e anche dall’altro, vista l’età – non ci sente.
Ecco Rocco Siffredi. Ancora bello come il sole. Ha aperto una scuola professionale dove insegna come fare una lunga, lunghissima carriera. E’ miliardario, continua ad andare su e giù, giù e su: Roma – Palermo, Palermo – Roma. E non dimentica gli amici, anzi viene sempre più spesso…
Preceduta da un profumo, che manco Padre Pio, arriva Verbena che nel frattempo ha aperto un supermercato di cioccolato, nel senso che tutto, dai carrelli alle casse è fatto del dolce commestibile. Lei adesso è una donna appagata. Ha ritrovato tutti i protagonisti – fino alla settima generazione – della trilogia del sesso perduto: zucchine, colleghi normodotati e trombamici.
Piano piano il bar si sta riempendo. Ecco Iko, Lesandro, la Contessa, Matt, Ste, Ro, Ultraman, Cinema and cigarettes (che ha osato taroccare l’immagine del Beato Schifani e poi si è reso conto che l’originale è molto meglio).
 Si siedono tutti.
Arriva Gery, fresco di pannolone nuovo, prende la sua sedia a dondolo e raggiunge gli amici. Lui, illuminato e riscaldato dal sole, ha un “post” a parte.
“Allora… ci siete? Oggi parliamo di come friggere l’aria senz’olio”. 
Jana sospira: “Dio mio, quanto è bravo ‘sto Gery!”

Cinque istantanee per un governo

Cinque istantanee per una panoramica sul nuovo governo Berlusconi.
Sandro Bondi, ministro ai Beni culturali. Uno di cui persino Sgarbi ha dovuto dire: “E’ un misto tra Don Abbondio e Massimo Boldi, un misto di ipocrisia e comicità”.
Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità. Una che ha un curriculum di questo tipo: “Nel 1997 ha partecipato al concorso di Miss Italia piazzandosi al sesto posto. Dal 2000 al 2006 ha partecipato al programma La domenica del villaggio condotto da Davide Mengacci, in qualità di valletta. Nel 2006 ha condotto il programma Piazza grande. Nel 2007 ha partecipato con un cameo alla serie tv Boris, impersonando il ruolo della cuoca Matilde, lavoro da lei realmente svolto in passato”.
Roberto Calderoli, ministro alla Semplificazione (di che? Del pensiero breve? Dello sputo dei semi di zucca?). Uno che ha detto, tanto per fare un minuscolo esempio: “La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni. Qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni”.
Elio Vito, ministro ai Rapporti col Parlamento. Uno che a 25 anni era nel consiglio federale dei Radicali con Rutelli, poi diventato suo acerrimo nemico, e a 32 era deputato di Forza Italia in quello che sarebbe passato alla storia come il Parlamento degli inquisiti. Non potevano farlo ministro all’Equilibrismo?
Umberto Bossi, ministro alle Riforme (mi vergogno a usare la maiuscola). Uno che la scorsa settimana ha detto: “Abbiamo pronti 300 mila uomini. I fucili sono sempre caldi”.
P.S.
La Carfagna pero è bona e si merita la foto nel post.

Calci in faccia

I cinque sciagurati del branco di Verona hanno ucciso il povero Nicola Tommasoli a calci in faccia. Calci in faccia.
Quale attenuante giudiziaria, quale ipotesi di omicidio preterintenzionale, quale dibattito politico possono recintare la violenza che spinge un branco di ventenni ad agire in modo così selvaggio e insensato?
Ho immaginato più volte questa scena in questi giorni e ogni volta ho interrotto il pensiero al contatto tra i piedi scarponati dei carnefici e la faccia incredula della vittima. C’è in questa scarica orribilmente muscolare un che di medioevale. Questi ragazzi vedevano pur essendo ciechi, succhiavano l’esistenza altrui prosciugando la propria. Se fosse un romanzo horror chiederei un feroce ed eterno contrappasso per loro: in catene a raccogliere coi piedi ciò che coi piedi hanno tolto – cibo, respiro, vita – in una contorsione di corpi prigionieri che sia specchio della loro insulsa mente.

La classifica di Fini

Gianfranco Fini ha stabilito la sua classifica: è più grave incendiare bandiere di Israele davanti alla Fiera di libro di Torino che massacrare un giovane a Verona perché non vuole sganciare una sigaretta. Le priorità dell’onorevole Fini, e del governo in cui si è incarnito, sembrano chiare: tolleranza zero contro certo dissenso “politico” (sui cui limiti si è espresso mirabilmente, ieri, Giacomo Cacciatore), sculacciate ai naziskin che seminano sangue per le strade. Il dilemma è: la pena della tirata d’orecchi sarà la pena prevista per i mafiosi oppure per i corrotti, dato che si tratta di due tipologie ben distinte di criminali?
Non voglio pensare che sulla trovata di Fini abbia pesato l’ideologia (ultrasinistra in campo nei fatti di Torino, destra nazista nelle vene degli sciagurati assassini di Verona), ma ciò che mi turba è che tutto il centrodestra abbia fatto quadrato attorno al leader di Alleanza nazionale, nel segno di una volgare blindatura di coalizione. Le scemenze non hanno partito e dovrebbero essere arginate prima di tutto dagli stessi compagni (o camerati) d’avventura del propalatore. Sarebbe un gesto non bello, ma umano, e contribuirebbe a dare alla politica italiana la dimensione che le manca: quella della realtà. Se io sparo una cazzata in pubblico, spero che siano i miei amici a correggermi ancor prima che lo faccia qualcuno del pubblico. E io non ho uno stipendio da parlamentare, non rappresento niente e nessuno neanche nel mio condominio e non sturo il mio esofago blaterando a Porta a Porta.
Fini invece stila la sua classifica. Ovviamente dando i numeri.

Una volta si chiamavano ebrei

È apparsa da qualche anno sui vocabolari una brutta parola: “tempistica”. I manager la usano in senso positivo: chi rispetta una tempistica prestabilita vince l’eterna lotta fra produttività e lancette dell’orologio. I poliziotti, invece, ne fanno largo uso per descrivere la concatenazione di atti criminosi in un arco temporale delimitato, che si conclude con il reato “principe”. In entrambi i casi, l’analisi della tempistica che regola o ha regolato un determinato evento permette anche di formarsi un giudizio sullo stato d’animo, l’intelligenza, l’efficienza, la chiarezza di idee e la competenza dei soggetti che lo hanno posto in essere. La tempistica esula persino dal tempo, volendo: è anche successione di luoghi, di scenari, elementi costitutivi del corso dell’azione e del pensiero che la sorregge. È logica.
Provo anch’io – malissimo, ne sono cosciente – il mio calcolo della tempistica, prendendo spunto da una notizia apparsa ieri sull’edizione online del Corriere della Sera. Siamo a Torino. C’è il festeggiamento per il primo maggio 2008 a piazza San Carlo. Tra qualche giorno si aprirà la Fiera del libro, sempre edizione 2008. Quest’anno la fiera ha scelto – non ora, mesi fa – Israele come paese ospite (o meglio: ha scelto di ospitare gli scrittori israeliani). Al corteo del primo maggio ci sono alcuni giovani dei centri sociali e – riporta il Corriere – dell’associazione Free Palestine. I ragazzi bruciano due bandiere: una americana, l’altra israeliana. Le ragioni sono quelle di cui abbiamo già discusso qui in casa Palazzotto. Siccome i militari israeliani bombardano la Palestina, ne consegue che Torino non deve ospitare gli scrittori d’Israele. Ne consegue? Un attimo: ma la tempistica dell’evento? Ripetiamo: primo maggio, festa dei lavoratori. Diritti, rispetto dei. Corteo. Fiera del libro tra poco. Torino. Israele. Bombardamenti in Palestina. Aguzzini israeliani. Scrittori israeliani. Libri. Bombe. Proiettili. Parole. Bandiere bruciate. Diritti dei lavoratori. Oh, cavolo…
Un minuto. Ripetiamo. Dunque: logica, tempistica. Primo maggio. Diritti dei lavoratori. Libertà. Romanzi. Parole. Scrittori. Libertà, ancora. Espressione. No. Militari scrittori. No. Scrittori militari. No, scrittori aguzzini. No, scrittori sono i palestinesi. Gli israeliani sono militari. No, ci sono scrittori israeliani. Militari romanzieri. Bombardamento sulla Palestina. Di libri. No, di bombe. Vabbè, fa lo stesso. Centri sociali torinesi. Bruciamo le bandiere. Fiera del libro di Torino arsenale dei libri – ooops – delle bombe degli scrittori israeliani. Militari. Aguzzini. Israeliani. Ma non erano anche ebrei? No, ormai sono israeliani. Sì, ma sempre ebrei. Boh, che ne so, fa lo stesso. Anzi no. Gli israeliani sono cattivi, gli ebrei erano buoni. Cioè, praticamente è così. Che facciamo? Abbasso Bertinotti. Anche. Bruciamo ‘ste due bandiere, va’. Prima quella americana o quella ebr… israeliana? Boh, che ne so. È uguale. No alle morti sul lavoro! Abbasso Israele. Abbasso la Palestina! Cretino, la Palestina sono i buoni! Vero-vero-vero… Scusa, compa’.
Prendi lo zippo, cioè. Che giorno è? Il primo maggio. La festa dei lavoratori? No, l’ante ante vigilia della fiera del libro. E pure la festa dei lavoratori. Abbasso gli Stati Uniti!
Inutile. Non ci riesco. Non capisco. E quasi mi importa poco di capire. La tempistica va a farsi fottere. La logica peggio.
Non mi resta che leggere un libro di qualche israeliano, che una volta era da tutti conosciuto come ebreo.

Rime utili

Ma che c’avete da nascondere? Forse non lo sappiamo quanto guadagnate? Voi che ululate contro la pubblicazione dei redditi online siete i più ricchi: credete che sia una vergogna? Lei, Beppe Grillo, che ha sempre lodato il mezzo internettiano, come mai alza la cresta contro un atto puramente telematico solo perché si rende pubblico quanto guadagna (senza colpe, immagino)? E lei, garante della privacy, che ha bloccato tutto in nome della tutela della riservatezza, crede che siccome segreto fa rima con divieto il suo provvedimento sia consono, indiscutibile? Le do io qualche suggerimento per rime utili: milioni-marpioni, Agenzia delle entrate-finanze malate, libertà-disparità, evasione-pubblicazione, dipendenti-perdenti, politicanti-troppo distanti, Grillo-brillo.

Quiz

Chi sono questi due signori? E dove sono?

Il sindaco di tutti

A parte il “chi non salta comunista è!” canticchiato gioiosamente nel quartier generale di Alemanno, mi ha colpito ieri la seguente dichiarazione del neo sindaco di Roma: “Sarò il sindaco di tutti”.
Ho un’età e per molto tempo mi sono occupato, per mestiere, di elezioni. Il sindaco di tutti… il presidente di tutti… un classico nel riciclaggio dei luoghi comuni. “Sarò il sindaco di tutti” è una frase che è cartina tornasole della coscienza civica offuscata e, al tempo stesso, indicatore del livello dell’olio della fantasia.
Esiste un sindaco di alcuni? C’è una carica elettiva e istituzionale che preveda una franchigia di servizio? L’intorpidimento mentale avvolge – ed è questo il dramma – non solo chi stupidamente pronuncia ancora questa frase, ma chi la diffonde, chi la amplifica, chi ne fa resoconto, titolo. Una frase che non significa niente al pari di: “Sarò un sindaco bipede”; oppure “Sarò un sindaco che respira” (anche se questa potrebbe nascondere una notizia); o, udite udite, “Sarò un sindaco onesto” (altra notizia, azz!). Ok, basta esempi.
Comunque, sfogliate i giornali e ditemi se trovate una sola voce critica contro una simile insensatezza. Dovremmo cominciare a pensare che buon governo e buona creanza non hanno in comune solo un aggettivo.