Bestiario

Qualche giorno fa, il mio amico Tony Gaudesi mi spronava a raccontare qualcosa di divertente del mio passato giornalistico. Premesso che non tutto ciò che è divertente è anche interessante, ho ripescato dal caos della mia memoria due episodi, o meglio due esempi che riguardano la parte più delicata di un articolo, cioé l’attacco.
Incidente mortale nel Trapanese: due auto si scontrano in modo frontale. La dinamica accertata è drammatica e semplice. I due conducenti, ognuno nel proprio senso di marcia, hanno effettuato in contemporanea un sorpasso azzardato, senza riuscire a rientrare in tempo nella propria corsia. Il pezzo iniziava così: “Morti perché la pensavano alla stessa maniera”.
Altro incidente stradale, stavolta nell’Agrigentino. Una strage. Quattro giovani muoiono carbonizzati. Il corrispondente inizia il suo articolo così:” Quando si dice gioventù bruciata…”.

PS. Il giornale per cui lavoravo partorì titoli del tipo: “Si è spento l’uomo che si era dato fuoco”, e “Ventimila invalidi in corsa per un lavoro”.

Se Dio si incazza

Con un’entrata a gamba tesa sul tema della bioetica, il Vaticano afferma che la morte cerebrale non basta per sancire la fine della vita. L’editto, pubblicato sulle sacre tavole dell’Osservatore Romano, tradisce un’inclinazione, quasi un vizio: l’attaccamento ai valori terreni è più manifesto nei prelati (alti, altissimi) che, come invece sarebbe stato più scontato, nel gregge dei fedeli, delle pecorelle smarrite.
L’argomento non è da poco.
Spostare il confine tra la vita e la morte è compito arduo, da semidei (praticanti). C’è, in questo impeto sprecato in nome di Dio, una muscolarità molto politica. C’è l’inseguimento irreale di una preda che non bazzica quelle lande: gli esseri umani non si dividono in laici e religiosi, come fossero due razze, una eletta, l’altra succube. Chi caccia chi? Chi deve affermarsi su chi?
I tromboni del Vaticano che si fanno biologi, medici, filosofi, legislatori sono solo l’ombra deforme di un consesso che tende a espandersi per smania di conquista, per occupare senza godere, per comandare al posto di altri.
Dopo la morte cerebrale – qualcuno potrebbe sommessamente spiegarlo a quei porporati che non arrossiscono – c’è solo lo stato di decomposizione. Rimandare un espianto di organi a quando è troppo tardi – cioè a quando la carne marcisce e l’anima chissà – è un atto incivile.
Sono un cattolico non praticante, ma per quel che so del mio Dio ritengo che, alla prima seduta del Consiglio di amministrazione, si incazzerà parecchio. E, come sempre, quaggiù faranno finta di non sentirlo.

Il tifoso e il poliziotto

Sul sito della polizia di stato era stata salutata come la “stagione del dialogo”. Uno pensa a chissà che, invece si parla di calcio. Ora, un Paese in cui l’istituzione della pubblica sicurezza deve auspicare un felice rapporto con i seguaci di un giocoso sport mi pare che abbia qualche problema. Uno si augura il dialogo tra forze politiche, tra entità contrapposte, tra nemici. Ma tra poliziotti e tifosi, no. Perché, se ci pensate bene, è come augurarsi il dialogo tra il panettiere e il salumiere: lavorano ognuno per conto proprio e se tutto fila liscio in una bottega (del panettiere, ad esempio), anche l’altra (quella del salumiere) ne gode. Il benessere e la serenità sono contagiosi.
Mettiamola così. Tifosi e poliziotti non dovrebbero essere forze contrapposte. Un poliziotto può essere tifoso, un tifoso può fare il poliziotto. L’agente è lì per difendere la moderna sacralità del tifo, il tifoso per goderne.
Invece, in questo Paese, si verifica un aberrante cortocircuito: il divertimento diventa occasione di scontro; il superfluo sconfina nel rigore del necessario. Serve una gigantesca mano che stacchi l’interruttore generale dell’energia elettrica per poi riavviare tutte le macchine, azzerando contatori, macchinette obliteratrici, partite.
Il vergognoso spettacolo, anzi la delinquenziale esibizione, dei tifosi napoletani – in occasione di Roma-Napoli, ieri – deve finire nel cesso di un oblio finto-sportivo. Con stadi chiusi, squadre retrocesse in serie Z, sciarpette dimenticate nell’angolo di una cella d’isolamento.
La tolleranza zero, in un Paese che non è l’Italia, serve per questioni importanti. Una partita di calcio può servire, tuttalpiù, per dimenticarsi (almeno in quei 90 minuti) delle questioni importanti.

Divieti solo per i turisti

L’Indipendent critica l’eccesso di inutili divieti che finiscono per ammazzare il turismo in Italia: i massaggi cinesi sul lettino della spiaggia, gli zoccoli a Capri, i piedi sulle panchine a Viareggio…
Ho un’esperienza personale recente, che però va fuori tema. In un’isola siciliana sono stato multato perché rientravo a casa con la moto in un orario non consentito: le 23 mica le tre di notte. Direte: vabbè, te la sei cercata. Infatti non ho protestato, anche se ho fatto notare che non potevo rientrare con lo scooter in spalla, aggiungendo (fuori verbale) che ero lì in vacanza e non per una condanna ai lavori forzati. L’indomani e l’indomani ancora, lo stesso vigile urbano ingannava il tempo, mentre fingeva di essere in servizio, agganciando gli amici che passavano in moto. Tutti senza casco. Mai una multa.
Rientro in tema. L’Indipendent, il prossimo anno, farebbe bene a dedicarsi ai divieti che in Italia valgono per i turisti e non per gli amici. Del resto siamo il Paese in cui, come si dice, la legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale.

Agenti alla fame

C’è un dato, nelle notizie di ieri, che mi ha fatto pensare. E’ un numero: 1.200, gli euro dello stipendio medio di un appartenente alle forze dell’ordine. Nel paese dei ricchi fatui, delle carriere misteriosamente fulminee, delle caste (inteso come sostantivo), delle liquidazioni paperonesche e degli sprechi da sultanato, c’è una truppa di fessi che rischia la vita ogni giorno per una manciata di lenticchie. Ho amici tra le forze dell’ordine e, nel corso degli anni, mi è capitato di raccogliere più di uno sfogo. Ma qui, più delle loro parole, contano la loro mortificazione personale, il loro corredo di rassegnazione, le loro tasche semivuote.
Il principio di incorruttibilità passa attraverso la cruna di un ago che non vogliamo guardare, per ignoranza o per egoismo. Chi svolge un mestiere complesso deve essere ben retribuito non solo per la sua professionalità, la sua preparazione, la sua rappresentatività o il rischio che corre. E’ un principio ben noto ai padri costituenti che, proprio per questo motivo, decisero di dare ai parlamentari uno stipendio molto alto: più hai, meno tentazioni insane ti vengono. La storia (e la cronaca) ci hanno insegnato che spesso non è così. Ma l’idea di un poliziotto che rischia di farsi ammazzare per meno di quaranta euro al giorno, mi lascia attonito. Se c’è il rischio di apparire populista a gridare “vergogna” contro uno Stato che affama i suoi servitori più umili, allora credo che questo rischio debba diventare una missione di tutti i cittadini pensanti e, soprattutto, onesti.

Il paziente padano

Non voglio pensare male. Quindi immagino che quando l’hanno fatto ministro, Bossi era – com’è adesso – nel pieno della sua incapacità di intendere e di volere. Però se qualcuno tra i medici, gli infermieri e i parenti in visita postprandiale, gli potesse spiegare che non può dileggiare i simboli che è (inopinatamente) chiamato a difendere, farebbe una cortesia a me e a qualche decina di milioni di italiani.
Sentitamente ringrazio.

Il sindaco che non c’è

Gentile sindaco della città di Palermo,
le scrivo a distanza di un anno e passa certo che non troverà né modo né tempo né voglia di leggermi. Però le scrivo lo stesso perché, per stirpe, per domicilio e per residenza sono palermitano: insomma, se mi consente, sono uno dei suoi datori di lavoro. E’ questo il punto. Troppo spesso gli amministratori pubblici, su qualunque poltrona, strapuntino, gradino siano seduti, si dimenticano di “essere al servizio” e di avere obblighi inderogabili nei confronti di chi paga loro lo stipendio.
Partiamo dalla fine. Nell’ultima festa per la patrona (o matrona come incautamente la definì in tv un noto direttore di giornale) della città lei ha stravolto – e non per la prima volta – un rito secolare. Quello secondo il quale il tenutario del civico consesso (mi perdoni l’ironia) deve scalare il grande carro dei festeggiamenti e gridare: “Viva Palermo e Santa Rosalia!”.
Non l’ha fatto, secondo quanto leggo, per evitare polemiche in un giorno particolare. Gentile sindaco della città di Palermo, le chiedo: se io, per evitare polemiche in un giorno particolare del mio ufficio, non vado al lavoro oppure non svolgo il compito che mi è stato assegnato avrò qualche possibilità di non essere sanzionato?
Lei non mi legge quindi rispondo io.
No.
Come la legge non ammette ignoranza, la difficoltà nello svolgere un compito, specie quando questo è di alta responsabilità, non ammette furberie. O si è in grado, o non si è in grado: con quel che ne consegue.
Gentile sindaco della città di Palermo, non voglio dilungarmi nel ricordare la serie di lavori rabberciati che lei e la sua giunta avete spacciato per opere o, peggio, operazioni. Il pasticcio della Ztl (la riscossione di una tassa per circolare con l’auto in città giudicata illegittima dal Tar ma ormai effettuata, nota per i lettori di altre città) da solo basta per incrinare la credibilità di una giunta in un comune qualunque. Invece lei è sempre lì, ben saldo nella sua invisibilità.
Non ho nulla di personale contro di lei, gentile sindaco della città di Palermo. Abito di fronte a casa sua, godo della manutenzione che operai del comune hanno effettuato di recente nel marciapiede di fronte a casa sua, e assisto allo sfacelo di una città che si spegne (anche) di fronte a casa sua.
Lei non c’è, gentile sindaco della città di Palermo. Non c’è nelle strade di gente qualunque, nella mera rappresentatività, nell’alito di un presente, nell’impronta di un passato, nella presunzione di un futuro. Lei non c’è nei dibattiti che non siano pettegolezzi, nella veemenza di uno sfogo, nella sacrale tutela dei vecchi simboli e nella sacrale demolizione dei simboli vecchi.
Come sindaco, lei non vive, vivacchia. E, senza offese, a me non piace che i miei dipendenti lavoricchino. O sono in grado, o non sono in grado: con quel che ne consegue.
Cordialità.

Ai lettori: il sindaco di Palermo si chiama Diego Cammarata ed è quello nella foto.

Il quale

Copio e incollo, senza fare alcuna modifica ad eccezione dei dati personali, una e-mail giunta a un’importante casa editrice italiana. Potrebbe sembrare una di quelle bufale che girano nel web. Invece è, seppur in modo grottesco, vera.

Salve, sono un autore V. M.
Sono un ideatore di un libro Magie d’arte con oltre 120 tecniche d’abilità per i disegni per tutti gli appassionati, professionisti e anche per gli alunni delle scuole medie e d’arte.
Disegneranno con 2,3 biro tra le dita: con precisione,velocità e semplicità su molti disegni. Il quale per i disegni tecnici geometrici oltre 1500.000 di alunni usano il compasso, la riga, la squadra ecc. Il testo offre la tecnologia superiore a questi strumenti perchè, esempio: il cerchio si fa con una biro oppure con 2 biro disegnando il cerchio con qualsiasi sfera e colore ed è più divertente del compasso. Inoltre ci sono 35 pagine per le forme geometriche e 50 pagine per gli altri disegni utili, stimolanti e divertenti per gli alunni. Il quale comunque possono acquistare il testo per avere una tecnologia in più da utilizzare, ma forse il testo va distribuito in volta in volta. E’ un testo di circa 115 pagine facile da leggere e capire (1,2 giorni), ricco di tecniche stimolanti anche per scrivere e cancellare utili sia per oggi sia per il futuro. Molti diventeranno dei maghi: da una biro si passa subito a 2 biro e poi a 3 biro in un secondo cambiando la direzione delle biro ecc. possono usare anche i pennarelli, le matite, i pastelli o i pennelli. Sono tecniche nuove che con quelle attuali messe assieme arricchisce l’arte d’oggi.
E’ molto adatto soprattutto per le cartolibrerie perchè dopo venderanno più biro ecc, comunque e da vedere e valutare il quale è meglio guardare il testo il quale non costa nulla come tempo, cioè inviandovi una una copia è in più vi darò ulteriori informazioni per poi decidere se pubblicarlo. E in attesa di una vostra risposta vi invio i miei distinti saluti.

Prendetevi un appunto, troverete presto questo manuale in libreria.

Intercettazioni

Ho ascoltato le nuove intercettazioni telefoniche di Silvio Bellico. A parte il rigurgito di cialtroneria del soggetto, non mi pare che meritassero una diffusione urbi et orbi.
Il personaggio in questione è uno che dà del tu a tutti e che riscuote un devoto “lei”. E’ già una consolazione: coi tempi che corrono, mi aspettavo che qualcuno gli desse del voi, anzi del vossia. E poi che maleducazione: fa chiamare le segretarie e lascia in attesa l’interlocutore per minuti interi. Lo scandalo vero è che nessuno, nel frattempo, abbia riattaccato.

Silvio bellico

Non c’è da dilungarsi sul significato politico delle ultime dichiarazioni di Silvio Berlusconi contro certi giudici “metastasi del Paese”. Si sa – è cronaca – che queste particelle tumorali in circolo per la nazione sono in realtà gli anticorpi che cercano di immobilizzare e disinnescare i virus che lo stesso Berlusconi ha inoculato.
Ciò che mi preoccupa di più è lo stato psichico di un premier che mostra, giorno dopo giorno, un pericolosissimo e rapido decadimento. D’accordo, non ci si aspetta da lui una posizione super partes neanche se c’è da discutere sul sesso degli angeli. Un presidente del Consiglio non è il presidente della Repubblica: è espressione di una maggioranza politica e ha un mandato complesso da portare avanti. Segue le regole della democrazia, almeno teoricamente. Perché, anche se il premier è ontologicamente di parte, deve agire nell’interesse di tutte le parti, compresa la mia e quelle degli altri che non lo hanno votato. Quando le parole, specie in un’occasione di pubblica rappresentanza, diventano cazzate immense (se non offese da denuncia penale) bisogna allarmarsi. Al capo del governo non si chiede equidistanza, ma ragionevolezza.
E Berlusconi – diciamolo chiaramente – ormai sragiona.