Rattrap-Pina, una storia vera

Pina, la mia parrucchiera, a vent’anni era una bella ragazza. Lo dice lei, sì, perché adesso di anni ne ha cinquantadue e io l’ho conosciuta che ne aveva quarantasei, quindi non sono testimone diretta. Però che era bellissima si capisce lo stesso. E’ molto alta, è bionda e truciolata (anche se ora il biondo è frutto di tintura), ha una taglia smilzissima da indossatrice e gambe interminabili.
Ventenne, appunto, lavorava da un parrucchiere. Il solito Salvo, detto anche Tony. Insomma, un nome statisticamente classico per un coiffeur. I mariti e i fidanzati delle clienti, il ragazzo delle pulizie e i rappresentanti di shampoo e caschi la corteggiavano tutti. Ma Salvo-Tony le faceva da padre: “Pina, occhi bassi, ’un taliare a nuddu, niente confidenza ai masculi”. Siccome il padre di Pina era morto che lei era ancora piccola, Salvo-Tony aveva deciso di sostituirlo e si era preso, più che altro, un’arbitraria patente di scassacazzi. Però, con questo bodyguard sempre intorno, Pina – chiusa tutto il giorno in bottega, a smanettare con bigodini e permanenti – un maschio non sapeva proprio dove trovarlo. Si rifaceva la sera, quando usciva con tacchi alti, top e “fuson” (come li chiamava allora e li chiama anche adesso), con le amiche, per andare al cinema. Niente discoteca, per carità, che se la beccava Salvo-Tony era una tragedia. Anche al cinema, i ragazzi la notavano: Pina era tanto bella che al buio sembrava fosforescente. Al “mi posso sedere accanto a te?”, Pina era entusiasta. Al “ti posso offrire una bomboniera?”, sorrideva e apprezzava. Al “ma ci vieni a casa mia, dopo”, il ragazzotto di turno non riusciva nemmeno a finire la frase: guardava il posto accanto a sé e lo trovava vuoto. Da Pina nemmeno un bacio, figuriamoci tutto il resto. “Ci arrivo vergine al matrimonio”, diceva alla sua amica Rosy. “E’ una cosa troppo importante. Quindi se uno mi vuole, mi aspetta”. Aspetta oggi, aspetta domani, si dileguavano tutti. E si vede che la voce girava: il numero dei corteggiatori, negli anni, calava drasticamente. Una vera moria.
Pina attribuiva la cosa al fatto che, stanca com’era, usciva sempre meno e le otto ore con le mani in testa alle clienti non le lasciavano il tempo di una pausa per cercare l’uomo giusto.
Dopo vent’anni e più di quella vita, Pina, ormai superati i quaranta, pensò di aver capito. “Rosy, se mi metto in proprio, mi resta più tempo libero, posso circolare e finalmente quello giusto lo trovo e mi sposo”. Lasciò la bottega di Salvo-Tony. Da allora, Pina è una sacca piena di bigodini, cerette, coprispalle di plastica e balsami districanti che vaga dentro una Panda blu per servizi a domicilio. Il tempo libero ce l’ha. Gli uomini li incontra: il benzinaio, il suo meccanico, il cameriere di una vecchia cliente, il portiere di un’altra, il nipote di un’altra ancora. E, smesso il grembiule da impiegata di Tony-Salvo, ancora oggi – a 52 anni – la vedi spuntare con minigonne zebrate che non sai dove cominciano né dove finiscono, reggiseni imbottiti da cocomeri di gommapiuma, calze a rete guarnite con cuoricini di velluto rosso, tacchi di metallo a stiletto e chioma alla Enzo Paolo Turchi dei tempi d’oro. E per convincere tutti che è ancora giovane ha rinnovato anche le acconciature dei clienti: se ti distrai per un secondo, ti ritrovi con un taglio arruffato stile Amici di Maria De Filippi. Ma con gli uomini, niente da fare. Pina ancora non capisce cosa non ha funzionato. Intanto la pelle casca, la tinta bionda lascia scoperte tempie più sale che pepe, l’artrosi la fa zoppicare sui tacchi e il borsone che si porta sempre dietro le ha regalato una pericolosa pendenza verso il basso della spalla destra. Però Pina, imperterrita… non la dà. “Sono una ragazza seria”, continua a dire. Ragazza? Insomma. Ormai, quando torna a casa la sera, i bambini del suo quartiere le urlano dietro: “Bentornata, Rattrap-Pina”.

Il partito dei vescovi

Il partito dei vescovi italiani chiede di cambiare la legge elettorale. In un recente comizio, il segretario della Cei, Giuseppe Betori, ha chiesto agli italiani cattolici di “votare con discernimento” e ai futuri onorevoli del suo stesso medesimo partito (sempre cattolici, of course) di richiamarsi, nella loro azione, ai “valori fondamentali della Chiesa”. L’organo di stampa dei Bagnaschiani e Betoriani Uniti, Famiglia Cristiana, ha bombardato a tappeto l’intera classe politica italiana, dal Pdl al Pd (gli altri manco li caga), bollandola come inadeguata.
La costruzione di un nuovo sistema Italia prevede programmi blindati e benedetti: la famiglia è solo una (ad eccezione delle famigghie), la vita è sacra (anche se è di merda), i gay sono malati gravi e peccatori (all’inferno sì, ma in camere separate), Cuffaro si può candidare come e dove vuole (“non è un problema della Chiesa”, nonostante l’ex governatore sia un testimonial sfegatato di ogni modello di Madonna in simulacro).
Al partito dei vescovi manca insomma solo la distribuzione dei normografi davanti ai seggi elettorali. Il resto lo farà il crocifisso. Che, se ben brandito, fa miracoli…

Chi brucia i miliardi?

Ieri è stata l’ennesima giornata nera per le borse europee. Giornali e tv dicono che sono stati bruciati centinaia di miliardi. Siccome non capisco niente di economia, ma sono un discreto esploratore del mio portafoglio, vi metto al corrente dei dubbi e delle domande che mi assillano.

  • Dove finiscono questi soldi bruciati? E soprattutto chi è il fuochista?
  • Perché se lo sfintere anale di Bush ha un problema di tenuta ne risente il mio conto in banca?
  • Se la guerra fa bene alle borse, le borse tifano per la guerra?
  • Quando la lira non valeva niente eravamo nei guai, ora lo siamo ancora di più perché l’euro vale troppo: com’è possibile?
  • Il petrolio sfonda un record al giorno. La sede dell’Opec è a Vienna, l’Austria non potrebbe aumentare l’affitto di qualche miliardo di miliardo?
  • La Fed taglia i tassi perché sono lunghi o per favorirne la ricrescita?

Condivisione forzata

Di questi tempi condividiamo tutto. O almeno crediamo di farlo. Sino a qualche anno fa ci sarebbe sembrato quantomeno eccentrico presentarsi a uno sconosciuto consegnandogli una nostra foto, o quella dei nostri figli mentre fanno l’altalena. E magari, pure la lista dei marchi preferiti. “Io adoro i formaggini della Kraft. E lei?”
In rete, invece, siamo pronti a farlo perché i pixel ci rassicurano. Sarà perché non hanno odore.
Poi arriva il giorno che ti iscrivi a Facebook e diventi uno dei suoi 59 milioni di utenti che hanno fornito dati anagrafici e preferenze d’acquisto ad un’azienda. Con Facebook è possibile essere chi si vuole a patto che si accetti il bombardamento pubblicitario. Soliti marchi di grandi ditte, nulla di strano. In fondo, anche con la tv è lo stesso, no?
Leggo sul prezioso settimanale Internazionale un servizio di The Guardian firmato dallo scrittore Tom Hodgkinson sul sito di social networking più famoso di Internet. Scopro alcune cose che non meravigliano ma che, per fortuna, riescono ancora ad indignare.
Per esempio che “dopo aver costruito questo immenso database di esseri umani, Facebook non deve far altro che rivendere le informazioni agli inserzionisti” o, come ha spiegato Zuckerberg sul suo blog (l’ideatore di Facebook ndr) “aiutare le persone a condividere con gli amici le informazioni sulle loro attività on line”. Appena quattro mesi fa Facebook ha annunciato che alcune multinazionali – Coca Cola, Blockbuster, Sony – sono interessate al progetto. In che senso? Risponde Blockbuster: “Non si tratta solo di convogliarli sulla nostra pubblicità. Vogliamo partecipare alla comunità dei consumatori e sfruttare un meccanismo che li spinga a condividere i vantaggi del nostro marchio con gli amici”. Come in qualunque altro sistema di community on line Facebook fa firmare un contratto che implica il via libera al trattamento dei dati. Facebook scrive che, usandolo, “acconsentite a far elaborare negli Stati Uniti i vostri dati personali” e che “questo può comportare la trasmissione delle informazioni ad altre aziende, studi legali o agenzie governative”. Leggasi Cia, sottolinea The Guardian.
Cosa vi viene in mente? Che sia tutto banalmente vero? Che invece sia un complotto contro la modernità?
Un’ultima cosa. Il vero volto di Facebook pare sia quello di Peter Thiel, un miliardario neocon che – fa notare Tom Hodgkinson – adora Renè Girard. Girard è un filosofo che analizza impietosamente il desiderio umano. Un desiderio (amoroso, estetico, intellettuale) che non è frutto di una lineare autodeterminazione, ma di un’imitazione dell’altro-da-te che passa per l’invidia e approda all’oggetto finale. Si chiama “desiderio mimetico”. Come quello che spinge una pecora a seguire il gregge senza capire bene il perché.

Invece

E’ tutta colpa di Silvio Berlusconi.
Oggi, durante una giornata caotica e snervante, mi ero preparato una cosetta da scrivere: buone intenzioni, un po’ di geriatrica nostalgia, due o tre comandamenti sul “come affrontare i cambiamenti climatici al di sotto della cintola”. Una specie di bignamino della sopravvivenza nel millennio del condominio globale. Avrei voluto raccontarvi cosa succede nella minima quota attiva degli emisferi cerebrali di un ultraquarantenne quando le cose cambiano velocemente e gli unici strumenti per inseguirle sono le proprie gambe. Mi sarei inerpicato sui sentieri dell’amor proprio, schivando le frane dei sensi di colpa e ristorandomi nei ruscelli del menefreghismo. Avrei imbastito tesi fragili come un pensiero trasversale e controdeduzioni da Nobel per la bugia. Mi sarei mostrato nascondendomi, avrei confessato con reticente sincerità, avrei riempito queste righe svuotandomi. Invece…
Invece ho visto Silvio Berlusconi in tv che diceva a una studentessa: “Chi non ha un posto fisso sposi un milionario come mio figlio”. Allora mi sono incazzato e mi sono inghiottito tutto.

Maiuscolo

«Ciarrapico è un indipendente che non conterà niente nella politica del Ppe, che è anticomunista, antifascista e antitotalitario. Ciarrapico è solo uno dei mille candidati del Popolo delle libertà». Parola di Silvio Berlusconi.
Insomma il Pdl mette in lista uno che pensa quello che pensa senza condividere quello che gli altri pensano. Uno che è solo uno del mucchio. Un fascista nostalgico (per sua stessa ammissione) in un partito che sbandiera il suo antifascismo.
Scusate il maiuscolo. MA ALLORA PERCHE’ LO CANDIDANO?

Forza Ciarra, viva il duce!

La tentazione di tifare per Giuseppe Ciarrapico è forte.
La pervicacia con cui quest’uomo ha trasformato l’acqua in petrolio e la carta in cemento – per bruciare gli avversari e per consolidare il proprio conto in banca – è, in essere e in divenire, un nuovo miracolo italiano.
Ciarrapico ha la lungimiranza politica di una porchetta di Ariccia. Gli basta recitare mezzo alfabeto coi rutti per scatenare un dibattito tra i suoi stessi alleati. Non è meraviglioso?
E’ il compagno di classe che molti vorrebbero e che nessuno confessa di aver invitato alla festa del sabato pomeriggio. Temuto come un ducetto, schifato dai fascisti perché apertamente fascista, Ciarrapico era l’ultimo capomastro rimasto fuori dal cantiere politico italiano: ora chi gli ha aperto ha nascosto mano e catenaccio.
Lui però è già dentro, affaccendato nell’ordinare operai e picconi, parole e badili, programmi e nostalgie.
E’ l’uomo che ci meritiamo, e vincerà. Tanto vale farsi trovare con la bandiera in mano (di carta): forza Ciarra! Viva il duce!
Forse sarà meno doloroso.

Al seggio con la suocera

Dato l’apprezzamento riscosso dalle valutazioni sanremesi di mia suocera (nella foto), domenica – approfittando di un pranzo a casa sua – l’ho interrogata sulle imminenti elezioni politiche. Ero certa che avrebbe avuto qualcosa di pregnante da dire. Ma lei ha anche divagato e, parlando parlando, mi ha dato modo di aggiungere nuove voci al suo stralunato dizionario. Voci che vi offro in coda a questo post prevalentemente elettorale.

Politica

“Io le cose politiche le so perché guardo sempre Porta e Porta”.
“Bellusconi, anche ammaccatello così com’è, però le cose le fa”.
“Gli elettori a Bellusconi lo avevano mandato via dal governo, ma lui non ha fatto incandescenze” (leggasi, “non ha dato in escandescenze”)
“Come si chiama quello alto con i capelli bianchi? Missini? Bissini? Fasini?”. (Casini, per intenderci)
“Rotelli è calmo, non si piglia mai di nervi. Però non lo scrivere che secondo me è figlio di Alberto Sordi e che gli somiglia moltissimo. Sennò mi arrestano”. (vedendomi con il taccuino in mano, intenta a prendere appunti, si è cautelata così)
“Se Rotelli diventa sindaco di Roma allora significa che Alberto Sordi lo protegge”.
“Prodi? E chi è? Me lo sono scordato. Ah, ma è quello con la funcia (per i non palermitani, “musone”) e i mezzi baffi?”. (chissà per chi lo scambia…)
“Ma Di Pietro l’hanno levato? Non c’è più in televisione”.
“Andreotti? E chi l’ha visto più in giro?”.
“A me mi è simpatico pure Vetroni”. (senza la elle)
“La Russa no. Mi fa paura. Pare proprio uno che russa… insomma, russo”.
“Nella politica, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e anche la terra”.
“Come andrà a finire con la politica? Mah, siamo nei mani di Dio”. (leggasi “nelle”)

Dizionario – nuove voci e nuove frasi

Alba Poiatti: Parietti
Arietta Berti: Orietta
Latrìce: l’attrice
Davero: davvero
Sarde allignate (sarde “allinguate”, ricetta palermitana a base di pesce)
Molechine: mollichine
Orsoporosi o oltreporosi: osteoporosi
Ipocreto e ipocressia: ipocrita e ipocrisia
“Quello è così sporco che ti imbischia i pidocchi” (leggasi “contagia”)
“Per compagnia, mi piacerebbe avere una terterughina” (“tartarughina”)
“Lo vedi che anche oggi ho mangiato poco? Ho una appetenza. Anzi, forse due, tre o quattro appetenze, dato che sono tanti giorni che mangio pochissimo” (leggasi “inappetenza)
“A quel tuo amico ci posso venire madre, anzi doppia madre, perché sua madre è molto giovane. Giovanissima”.

Il governo di tutti

“Governerò per tutti, ma in primo luogo per chi non ha tutto”. Zapatero manda a dire che la sinistra, quando sta ancora a sinistra, ha ancora una certa ragione di esistere. La politica reale ha spigoli e impone con grida e grugni messaggi e significati. Un ideale si sostenta della sua continuità, Zapatero lo ha fatto valere con durezza logica, che non è mai violenza ma lotta di argomenti. E con scelte, scelte, scelte.
Italia, Sicilia, Palermo. Un manifesto elettorale chiama gli elettori a raccolta per sostenere un candidato del Pd (sinistra, sinistra, eh) in occasione delle prossime Regionali. Quest’uomo, che chiameremo per convenzione Picchiuso, ha un passato politico di tutto rispetto. Fascista e picchiatore fin dall’adolescenza, è fratello di fascisti e picchiatori (una famiglia di solide tradizioni). Ha militato nell’Msi per poi approdare ad An.
Ora è un alfiere della sinistra.
Gli suggerisco di parafrasare il collega Zapatero.
“Governerò per tutti, ma in primo luogo per chi non ricorda tutto”.

Peana per l’autostrada Palermo-Catania

Cinzia Zerbini è una giornalista etnea che lavora da tempo a Palermo. E’ corresponsabile di alcune delle idee più balzane che si sono materializzate in questo blog. Ma è soprattutto una divoratrice bulimica di libri.

di Cinzia Zerbini

Questa è una difesa (di cui, temo, l’umanità non sentiva il bisogno) dell’autostrada Catania – Palermo A/R.
 Solo chi la percorre più volte al mese o alla settimana sa quanto questi 190 chilometri che separano le due etnie siciliane siano dense di significato. Io la difendo perchè ritengo che abbia un panorama unico, assolutamente spettacolare, variopinto, mutevole, romantico, lunare. 
Il periodo più bello è marzo: adesso. Il grano, che accompagna quasi tutto il tragitto, sta crescendo. A voler usare un tocco di sentimentalismo c’è un mare ibrido di spighe verdi che si colora ad ogni passo del sole. Ci sono distese che sembrano piste da sci scavate, però, da solchi millenari dove una volta cresceva il grano ed adesso, già a febbraio, nascono margherite ed altri fiori di campo. Ci sono case che sembrano quelle disegnate dai bambini: una porta, due finestre e un albero davanti. E’ una tessera di un puzzle che potrebbe incastrarsi in qualsiasi altra parte del mondo e comunque rimanere unica. 
Ogni tanto si vedono mucche nere e pecore che pascolano. Diventano il quadro di un passato trapassato.
Ci sono pezzi di colline uguali da sempre, come se contenessero dei confini invisibili che impediscono una devastazione simile a quella che vedi subito uscendo da Palermo: filari di villette a schiera con piscine costruite in pochi mesi. E salici piangenti. 
Ci sono interruzioni diventate certezze. Una dura da anni, almeno dodici. Un restringimento di carreggiata incomprensibile, diventato un elemento naturale. Non ci fai più caso, anzi, metti la freccia, scali la marcia e sai che sei arrivato a Polizza Generosa, che sta lì, in alto a destra, sulla roccia rotonda. Se si beccano l’orario e la serata giusti, c’è un momento in cui la luna piena sembra immobile, come se fosse adagiata accanto. Chi è dotato di un animo particolarmente sensibile può anche commuoversi; altri si possono concedere una visione onirica.
Così come quando si esce dalla galleria di Enna e c’è un’altra certezza: l’Etna. Maestoso, fumante. D’inverno il bianco della neve che lo ricopre si mescola ai chilometri del giallo e l’arancione degli agrumeti. L’odore di zagara riempie l’abitacolo dell’auto. Perché l’odore di zagara c’è ancora. 
Difendo quest’autostrada denigrata da chi non ha mai attraversato di notte la Salerno – Reggio Calabria. Difendo il mare che si apre all’improvviso ad Altavilla Milicia e il sole che infilza i suoi raggi tra onde che sembrano prive di respiro. 
Difendo l’arrivo a Palermo e a Catania. E’ come arrivare a Rio de Janeiro durante il carnevale dopo una traversata in solitaria dell’Oceano. 
Lo so, è un’esagerazione. Ma solo per rendere l’idea del grande casino che accomuna l’ingresso in queste due città. Gemelle diverse.