L’esperimento

Ho trascorso un periodo relativamente lungo in una località di mare nella quale ho portato anche i miei strumenti professionali: un computer e un iPad. E in questo periodo ho provato a gestire la mia vita in modo diverso dal solito: lavorare quando si è in continua tentazione vacanziera è una costante prova di resistenza.
La notizia è che credo di avercela fatta.
Il nostro sistema di relazioni, di convenzioni, di schemi rigidi, prevede il riposo come alternativa netta al lavoro. In realtà – e questo è stato l’esperimento che ho condotto su me stesso – si può diluire il dovere nel piacere a patto di rinunciare a un po’ di quest’ultimo. Al posto di una settimana di completo relax, se ne possono fare tre di parziale relax.
Badate, è una scelta che non è priva di controindicazioni. Ci sarà sempre un momento in cui invidierete gli altri, i vacanzieri veri, quelli che hanno optato per la linea tradizionale, e questo rischierà di pesare sul vostro rendimento. Non dovrete cedere alle tentazioni di allungare gli spazi di riposo a discapito dei momenti dedicati ai committenti. La missione è essere diversi pur garantendo ai vostri datori di lavoro il normale rendimento.
Alla fine della giornata non sarete proprio riposatissimi come tutti gli altri, ma di certo sarete più felici di quelli che hanno esaurito la vacanza prima di voi e che vi mandano sms di nostalgia dall’ufficio.

Stress

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La foto è di Daniela Groppuso

A luglio mi tocca lavorare qui.

Il mio ufficio infelice

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di Quarant’Ena

Tutti gli uffici felici si assomigliano, ma gli uffici infelici sono infelici a modo loro. Quello in cui lavoro io ha il seguente organigramma:
1) Il capo. Affetto dalla sindrome del Messia, quando arriva non saluta perché “salutare i dipendenti  – sono parole sue – può dare adito a una forma di confidenza”. Entra  nella sua stanza, chiude la porta, e mi chiama col telefono. Il mio capo è un genio perché sta lavorando seriamente a importanti cambiamenti della grammatica italiana. Lui che detesta le e-mail perché vuole le cose “cartacemente”. Lui che, anziché indossare un camice bianco e togliere i calli alle persone anziane (anche quelle col piede diabetico), è il mio capo.
2) Collega Munzone Giuseppe campione mondiale di adulazione del capo. Tutt’e due rappresentano una molotov contro la costruzione linguistica. Di qualsiasi lingua.
3) Collega Di Grazia Assunta, alta 1,80,  riesce a puzzare di arancino al ragù già alle nove del mattino. Merito anche del suo stilista personale che ha la residenza in Cina ed evidentemente crea i suoi capi d’abbigliamento col vello di animali in avanzato stato di decomposizione.
4) Collega  Bivona Teresa. E’ la segretaria tuttofare che porta il fardello di disgrazie di un intero palazzo. Il primo marito l’ha lasciata quando era incinta. Ha avuto un tumore al seno. Si è risposata ha fatto altri due figli e anche il secondo marito l’ha lasciata per un’altra. E nonostante ciò riesce a farsi i fatti degli altri con puntigliosa sistematicità, quasi per vocazione.
5) Collega Giacalone Salvatore, detto “‘u tambutu”. E’ talmente tirchio che fa le fotocopie della settimana enigmistica. Fonti informate parlano di una relazione omosessuale, ma di questo non c’è alcuna certezza.
Ecco, io lavoro con questi colleghi. L’umanità deve sapere.