Il dolore e il piacere

Lisbona – Alpriate

Vi ho già spiegato perché nei Cammini le misure non contano. Ma è un concetto talmente importante che ve lo ripropongo con un paio di esempi che hanno a che fare col Cammino portoghese. Oggi la mia prima tappa era ufficialmente di 22 chilometri e mezzo: la misurazione ufficiale si basa perlopiù sulle distanze tra gli albergue, cioè tra gli ostelli dei pellegrini (che io non frequento). Siccome alloggio in B&B o hotel, non perché sia ricco ma perché detesto la coltura intensiva di ascelle sudate e calzini fetenti, le mie misurazioni sono diverse, spesso molto diverse. Oggi, per dirne una, il luogo in cui mi trovo è a tre chilometri dalla via che devo seguire, ergo tra oggi e domani dovrò percorrere sei chilometri in più.
Ed eccoci al secondo esempio.
Quanto pesano sei chilometri? Un camminatore mediamente allenato e senza zaino può muoversi in pianura alla velocità di 5, 5 chilometri e mezzo all’ora. Che con lo zaino diventano automaticamente 4, 4 e mezzo. Se non ci si mette una salita. E poi dipende se la salita è sotto il sole. Insomma i chilometri, come dicevo, non si contano, ma si pesano. Quei sei chilometri richiederanno almeno un’ora e mezza in più di cammino. E parliamo solo della prima tappa.
Ok, prometto di non rompervi più le scatole con questi onanismi numerici ma, scusate la metafora – ho già una fame pazzesca e qui siamo un’ora indietro –  è importante capire come funziona la lievitazione prima di parlare di pane. 

Fare da soli.
Anche il semplice allinearsi dei passi su una trazzera ,o la ricerca pacatamente disperata di una fonte d’acqua quando sei già in fase miraggio, rimanda a una modalità che ci appartiene sempre meno. E che proprio per questo andrebbe recuperata con orgoglio.
Fare da soli.
Seguire una mappa cartacea senza geolocalizzazione. Scrutare il cielo senza consultare la app meteo (oggi una persona mi ha scritto “che tempo fa lì?” E io ho risposto con la schermata del cellulare che lei stessa avrebbe potuto consultare da casa sua). Ascoltare il proprio corpo che macina passi, sussulta, innegabilmente soffre, ma ascoltare al contempo anche la propria mente che ride, felice e incosciente. Ci dimentichiamo di godere delle cose che spesso fanno male e bene al tempo stesso, ed è un peccato: fare da soli diluisce il dolore nel piacere e non è masochismo che, al contrario è dipendenza estrema dall’altro. 
Fare da soli qui nel sentiero sterrato lungo il rio Trancão è annusare l’aria stagnante e dolciastra e non catalogarla frettolosamente come maleodorante: contestualizzare è una regola del sapere,  decontestualizzare può esserlo del piacere, ma questa è un’altra storia. 

Insomma Lisbona è alle spalle (nella foto lo è davvero) e ora lo posso dire, non è vero che è una città malinconica. La malinconia non ha a che fare coi luoghi geografici, ma con gli esseri umani che li popolano. Il Fado no, quello è davvero strappa-attributi. Ma non mi pare il caso di aprire un dibattito. 

2 – continua.

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L’emozione degli altri

Anche ieri ho vissuto l’emozione di vivere le emozioni altrui: ho trascorso qualche ora sul traguardo della maratona di Palermo. E’ un appuntamento a cui cerco di non mancare mai perché ogni anno mi ritrovo a sudare da fermo, a sgolarmi appresso a quei coraggiosi che si sono lanciati in una sgroppata di oltre 42 chilometri.
Sono un appassionato di corsa, ma non sono fatto per quelle distanze: la mia biologia mi prescrive un massimo di 21 chilometri (che un tempo percorrevo con un buon passo).
Ieri, assieme a mia moglie che ha fatto delle splendide foto (le trovate qua), abbiamo respirato la sana aria della felice fatica, del puro impegno fisico, delle migliori intenzioni. Abbiamo visto adulti esultare come bambini, giovani sorretti da anziani, donne grintose e uomini piagnucolosi. Abbiamo visto atleti abbandonarsi sull’asfalto e principianti reggere come rocce. Ognuno con la propria soddisfazione, con la propria colonna sonora.
Tagliavano il traguardo, i primi come gli ultimi, e si sentivano fortissimi. Erano belli anche se devastati dalla fatica, maestosi anche se curvi.
Perché, dopo 42 chilometri e 195 metri di sforzo innaturale, a cronometro fermo si rendevano conto di aver vinto la battaglia più difficile. Quella contro se stessi.