Il pianista suonato

Cronache dalla tournee di quel pianista suonato che oggi ricopre, a sua stessa insaputa, il ruolo di leader dell’opposizione.
A chi gli chiedeva conto e ragione di quella parola (“stronzate”) con cui aveva descritto opere e opinioni di Romano Prodi, ha risposto: “E’ il linguaggio dei giovani”. Prima morale: in politica, secondo Berlusconi, ognuno sceglie il linguaggio che più gli piace, dei giovani, dei vecchi, dei punkabbestia, dei letterati in vita fino al 1945, dei pastori sardi, dei pentiti di mafia, degli unti dal Signore. Ognuno ha le sue preferenze…
Il pianista suonato ha anche rivelato di corteggiare con successo alcuni senatori del centrosinistra “che sono sul punto di dire basta a questo governo”. Seconda morale: come ben sappiamo, nel corteggiamento clandestino il Cavaliere sguazza con immenso piacere fino a quando sua moglie non è costretta a intervenire a mezzo stampa. Signora Veronica, dipendiamo da lei.
Infine il sommo musicista senza note ha discusso sulla leadership del centrodestra. “Un uomo si pesa per quello che ha fatto nella vita – ha detto – confrontiamo quello che ho fatto io e quello che hanno fatto gli altri…». Terza morale: ogni uomo vive nell’effetto delle sue azioni. Ma la fedina penale conta?

Nella testa di Corona

Ho visto il video girato di nascosto da Fabrizio Corona mentre firma l’atto di separazione da Nina Moric. E’ una delle idiozie più colossali in cui mi sia imbattuto negli ultimi vent’anni. Se ieri riflettevo sull’inutilità di un’indignazione collettiva nei confronti dello showman Berlusconi, oggi mi ritrovo con un sentimento opposto nei confronti di questo fotografo-traffichino-playboy-aspirante pregiudicato. Qualche giorno fa, questo signore si è pavoneggiato in tv ostentando quanto pensa di guadagnare grazie all’ingiusta fama che la sua disavventura giudiziaria gli ha dato. Per quello che abbiamo conosciuto delle sue capacità imprenditoriali ci sarebbe da tenere gli occhi aperti per pericolo di reiterazione del reato. Corona mostra una protervia pari solo alla sua cultura da GQ: eleganza e muscoli, tendenze e stravizi. Il resto gira su altre rotative.
Se invece di puntare la videocamera su chi gli capita a tiro la puntasse sul proprio cervello potrebbe proporre un documentario da far impallidire Piero Angela: il deserto come nessuno l’ha mai visto.

Il rutto di Silvio

Dobbiamo smetterla di indignarci per le uscite di Silvio Berlusconi. Perché sono talmente eclatanti, in un crescendo di volgarità e assurdità, che devono essere retrocesse d’ufficio al grado di “battute da bar (possibilmente dopo un’indianata)”. Il destino di questo ex pianista imbarcato su navi da crociera (la categoria mi perdoni per la citazione inevitabile) è l’applauso a ogni costo. E purtroppo più passa il tempo, più il consenso della platea diventa difficile da estorcere. Allora il nostro prova coi capitomboli, le pernacchie, le parolacce. Manca solo la recita dell’alfabeto coi rutti: ma ci arriveremo entro Natale, di questo passo.
L’appiglio di cronaca per questo post lo hanno fornito le dichiarazioni sventagliate ieri in faccia agli inermi accoliti della scuola di formazione politica di Formigoni. Tra gli sputacchi per le “stronzate di Prodi” e l’autocompiacimento per “il linguaggio rozzo ma efficace” (ilsuostessomedesimodisé) – tutti pezzi forti della giornata politica – nessuno ha però avuto il coraggio di chiedere il bis. Forse il pubblico era rimasto frastornato dalla più grottesca delle sue battute, sintetizzabile così: “In cinque milioni sono pronti a scendere in piazza per il voto”; “Chi glielo ha detto, presidente?”; “Loro! Li ho fatti chiamare al telefono”.
Il rut-to! Il rut-to!

Gli pseudoscaltri

L’ultima polemica estiva, quella che vede coinvolto Beppe Grillo definito “ecofurbetto”, fa sorridere per la sua pregnanza di inconsistenza. Al comico genovese, autore di molte battaglie contro l’inquinamento, viene rimproverato di aver fatto un giro su un potente motoscafo dotato, come tutte le barche a motore, di un motore appunto. E i motori sporcano.
La pulsione da cui originano queste critiche è una costante psicologica che alberga nelle menti degli pseudoscaltri. A questa categoria appartengono quelle persone che cercano di farvi cadere con argomentazioni da sorrisetto velenoso quando non ne trovano di congrue o, al limite, divertenti.
Alcuni esempi. Se avete una vena ambientalista vi chiedono a squarciagola di che materiale sono le vostre scarpe. Se lavorate troppo non mancano di domandarvi se guadagnate troppo. Se siete soli si affrettano a rimarcare coram populo l’assenza di un vostro ex partner. Se siete in compagnia, con la medesima enfasi, rievocano le presunte gesta di quando eravate solo.
Gli pseudoscaltri vivono della pseudomancanza altrui. Se non la trovano se la inventano.

La scuola di Carmen Villani

Il ragazzino che ha offeso gratuitamente il compagno di scuola chiamandolo gay può essere definito deficiente. E l’insegnante che ha osato fargli scrivere cento volte “sono un deficiente” non è una criminale, ma una che fa onestamente il suo mestiere, utilizzando un mezzo pedagogico assolutamente lecito. Lo dice il Tribunale di Palermo che ha assolto la professoressa per la quale un pm aveva chiesto una pena di due mesi.
In questa storia ci sono tutti gli elementi per riflettere sulla scuola, sul rapporto genitori-figli, sulla cosiddetta morale comune e chissà su cos’altro. C’è innanzitutto quell’offesa, gay, frutto dell’intolleranza più bieca, quella che viene dall’ignoranza. Ci sono i genitori del ragazzo che hanno pensato bene di attaccare l’insegnante anziché prendere a sberle il figliolo. C’è una scuola che è sempre più tomba e meno culla di idee. C’è un sistema giudiziario allo sfascio che si prende la briga di dedicare uomini e tempo a menate inverosimili.
Troppi elementi su cui riflettere.
Per tirarmi su forse mi rivedo “La supplente va in città” con Carmen Villani.

Sodomia e pensionati

Sulle pensioni si sta consumando una tipica commedia in stile politichese. Tra annunci (“Abbiamo trovato i soldi!”), auspici (“Siamo in vista dell’accordo!”), sorprese (“Dove minchia è finito l’accordo?”) e sentimento (Prodi, cuore e fiducia) tutto finisce dove inizia. Bisogna cercare di stangare i pensionati e ancor peggio i “pensionandi”, perché si è scoperto che sono loro la vera cassaforte del Paese.
Ho già vent’anni di contribuzione e sento una strana pressione da dietro. Ho la certezza che aumenterà col tempo, così come diminuirà il contenuto del mio salvadanaio.
Perché c’è la necessità politica (quindi non certo collettiva) di sodomizzare economicamente gli anziani che non siano ex parlamentari, ex burocrati, ex politici in genere, ex imprenditori sopravvissuti a Tangentopoli? Perché non si comincia a risparmiare a Montecitorio? Perché non si conduce la lotta all’evasione con le armi pesanti?
Spero che gli sceneggiatori di questa commedia di quart’ordine introducano almeno una risposta nei loro intrecci banditeschi.

La laicità del portafoglio

Ce ne siamo accorti solo perché l’Unione europea, in un sussulto di vitalità, si è incazzata e si prepara a mettere sotto processo l’Italia per i vantaggi fiscali concessi alla Chiesa cattolica, contrari alle norme comunitarie sulla concorrenza. L’oggetto del contendere è l’esenzione del pagamento dell’Ici per le attività commerciali della Chiesa. E’ una storia che riassumo così: in pratica basta che ci sia una cappella votiva nei paraggi di un’attività commerciale e l’Ici non si paga più. “In questo modo –spiega Curzio Maltese su La Repubblica – la Chiesa cattolica versa soltanto il 5 o 10 per cento del dovuto allo Stato italiano con una perdita per l’erario di almeno 400 milioni di euro ogni anno, senza contare gli arretrati”.
Il provvedimento, così com’è adesso, è figlio di un impasto nel quale hanno messo mano tutti, da destra a sinistra. Persino i famigerati rossi, quelli che in teoria avrebbero dovuto far paura al Vaticano. Il tema della laicità dello Stato si propone con continui aggiornamenti, alcuni dei quali noiosissimi. Dalla Santa Sede arrivano indicazioni su ogni aspetto della nostra vita: con chi sposarci, che film vedere, chi votare, dove andare in vacanza.
Mi piacerebbe che, un giorno, si arrivasse a stabilire almeno il principio della laicità delle mie tasche.

Afa killer e serial killer

La meteorologia è una scienza esatta: mette d’accordo tutti gli appassionati di luoghi comuni. Le discussioni su tempo che fa e su quello che farà sono infatti il terreno più confortevole su cui muoversi per ingannare il tempo in coda alle Poste, in ascensore, dal panettiere, nell’ambulatorio di un ospedale.
Dalle mie parti oggi ci sono più di 40 gradi con un tasso di umidità da annegamento. Si era parlato dell’estate più calda del secolo e sino a oggi i meteorologi se l’erano presa in quel posto. Ma da ieri è cominciata la loro rivincita: bollettini aggiornati al millisecondo, protezione civile in allarme rosso. Uno scenario che conosciamo a memoria, e del quale facciamo finta di stupirci ogni anno in questo periodo, grado più grado meno.
Mi verrebbe da usare il maiuscolo per quello che sto per scrivere, ma mi contengo: in estate, specie in Sicilia, c’è sempre stata l’afa, sempre sempre sempre!
Sui giornali si titola da tempo immemore: “Afa killer”; “Il caldo fa strage di anziani”; “E’ scoppiata l’estate”; e via ticchettando.
Un’ultima cosa, andate a leggervi gli immancabili consigli degli esperti. Vi spiazzeranno con rivelazioni del tipo: anziani e bambini vanno tenuti all’ombra. O in ghiacciaia se siete dei serial killer.

La miseria e la compassione


Se andate in giro di notte per una città italiana vi accorgerete di non accorgervi più di certi cambiamenti. Io me ne sono accorto l’altra sera.
Devo andare a cenare fuori con un amico. Lungo la strada mi fermo al primo semaforo: due immigrati si dedicano in contemporanea alla mia auto, uno come lavavetri, l’altro affibbiandomi un deodorante da appendere allo specchietto retrovisore. Stessa scena – con variante fazzolettini di carta – per altri cinque incroci. Ho il vetro pulitissimo, faccio io stesso profumo di mela verde eppure sembra che abbia sempre bisogno di qualcosa: gli immigrati sono gentili, io cerco di essere fermamente gentile nel dire no.
Arrivato davanti alla pizzeria, cerco parcheggio. Un ragazzino indigeno mi aggancia al volo e mi indica un posto. “Due euro”, spara appena metto piede a terra. L’amico che mi aspettava mi viene incontro, intuisce il genere di reazione che sto per avere e allunga una moneta. “Facciamoci una serata tranquilla”, mi esorta.
Al tavolo, prima del menu, arriva un cingalese che vende rose. Ne posa una sulla tovaglia a quadrettoni e aspetta. Noi continuiamo a parlare, lui resta lì in piedi. “Siamo due uomini, non si vede?”, gli dico dopo un paio di minuti. Se ne va perplesso.
Gli dà il cambio una ragazza cinese che si presenta con una vetrina di minuscoli elettrodomestici appesa al collo. E’ la più discreta. Al nostro diniego, abbozza un inchino e traghetta oltre.
Tra la pizza e il dolce passano altri due giovani immigrati con rose e accendini. Ognuno per conto proprio, uno remissivo e lamentoso, l’altro decisamente più spavaldo. Ci alziamo e paghiamo il conto. Mentre usciamo sta rientrando il cingalese dell’inizio cena: ci scansa con un sorrisino.
Davanti alla macchina troviamo un ragazzino che non è quello di prima. Fa il turno di guardia successivo e vuole la sua parte. “Abbiamo già pagato all’arrivo”, sibilo io. Il mio amico allunga un’altra moneta. “Chiudiamo la serata in modo tranquillo”, mi dice congedandosi.
Il rientro a casa è scandito dalle medesime tappe dell’andata. Semaforo, lavavetri. Semaforo, fazzolettini. Semaforo, lavavetri… Cambiano gli uomini, resta il servizio non richiesto.
La folla di venditori abusivi, parcheggiatori da estorsione (mai immigrati!), questuanti da tavolo, vetrine ambulanti, rose rosse di miseria nera, si espande senza ordine. Nel caos metropolitano perdiamo di vista anche la compassione che un tempo ci suscitavano un accattone, un barbone, una giovane tossica schitarrante. E, quel che è peggio, ci vergogniamo sempre meno quando manifestiamo fastidio.

Il vangelo di Luca

Il nuovo leader del partito degli Unti dal Signore, Luca Cordero di Montezemolo, ha lanciato il suo anatema politico. Il riassunto è questo: il governo ha come mestiere quello di creare problemi alle imprese, l’opposizione non fa un tubo, la ripresa c’è stata solo per merito degli imprenditori, in pensione bisogna andarci dopo morti.
Insomma se il nuovo soggetto politico guidato dal presidente di Confindustria dovrà trovarsi uno slogan, gli suggeriamo il celebre “colpa tua, merito nostro”.
Tra le nubi di incenso e i cori angelici che, come sempre, accompagnano le omelie programmatiche di Montezemolo è filtrato però un ammonimento di gran peso: “Il sindacato difende anche i fannulloni”.
E’ vero. Il leader degli Unti ha centrato un problema notissimo e ignoratissimo. In molte frange del sindacato vigono leggi di ricatto e vengono protette intere cosche di nullafacenti. Ovviamente non si deve generalizzare. Non lo fa Montezemolo, figuriamoci…
E’ però cosa buona e giusta avviare una riflessione su molte associazioni di categoria e sul florido moltiplicarsi dei carrierifici. Fateci caso, che fine hanno fatto gli ex caporioni del vostro sindacato? Se fate una ricerca scoprirete che nella stragrande maggioranza dei casi sono stati promossi in azienda o addirittura hanno avviato attività imprenditoriali in proprio.
Senza generalizzare, secondo il vangelo di Luca.