I cittadini dell’antimafia

Due parole sulla lotta alla mafia, il giorno dopo le manifestazioni per commemorare le vittime della strage di Capaci. Senza alcuna cautela dico che bisogna fermare questo pendolo che oscilla tra il disfattismo e il trionfalismo. Bene i giovani, bene i grandi tra i giovani, benissimo i festeggiamenti. Male la retorica dei lenzuoli, male le interviste a magistrati e poliziotti, malissimo gli slogan politici.
La strategia contro Cosa nostra va tarata sull’obiettivo, che sono i boss, e non sul consenso popolare. Perché la lotta contro il crimine in genere non va giustificata come se lo Stato avvertisse un malcelato disagio, va attuata e basta nel silenzio delle regole. Mi piacerebbe che in questo Paese ognuno facesse il suo mestiere. Non godo nel leggere l’ennesimo pippone di un magistrato su Micromega: se proprio avverte il bisogno di scrivere si dedichi ad altre carte che – sono certo – affollano la sua scrivania da troppo tempo. C’è troppa gente che scrive, poca gente che indaga, pochissima gente che legge.
Non gradisco nemmeno sentire esponenti politici che illustrano futuribili strade giudiziarie con tanto di autocompiacimento per “il lavoro che questo governo sta facendo”: se proprio avvertono il bisogno di dichiarare, frequentino di più le aule del parlamento, facciano girare i motori dell’attività legislativa (alla paralisi, Prodi dixit) e incassino risultati.
I giovani infine. Tirati per la maglietta da una parte e dall’altra rischiano di non maturare una coscienza reale del problema. Sacrosanti i cortei e buona l’idea dei concerti per commemorare, però ci vuole qualcosa affinché, esaurita l’euforia della gita scolastica, le parole non restino sulle lapidi.
Ecco il punto. C’è un luogo in cui ci si gioca il tutto per tutto nella lotta alla mafia e quel luogo è la scuola. Educare alla legalità non vuol dire annoiare i ragazzi con conferenze e deportazioni di massa sui luoghi “caldi”, vuol dire insegnar loro il culto del bello, lasciarli cadere tra le braccia dell’arte, farli entrare nella Storia da cavalieri e non da pedine. I giovani con un talento, con una passione sono l’arma mortale per i malefici boss di Cosa Nostra.
Oltre ai fiori mettete libri e cd nei vostri cannoni.

La memoria

Un anno fa, in occasione delle celebrazioni per le stragi di Capaci e via d’Amelio, mi fu chiesto di scrivere un brevissimo monologo. La rappresentazione finì nel calderone di decine di manifestazioni e passò del tutto inosservata.
Oggi, nell’anniversario della morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, degli agenti Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani ho l’ardire di proporvi quel testo (praticamente inedito) che parla di memoria.

PS.
La celebre foto che vedete sopra è del mio amico Tony Gentile, complimentatevi con lui se non lo avete mai fatto.

Il biglietto nel pugno.

Tutti noi abbiamo momenti difficili. Ma la vita non è democratica, non dà e toglie allo stesso modo, non divide le responsabilità per ogni testa, i dolori arrivano con tempi spiazzanti e ognuno con un treno proprio. Alla grande stazione della Vita ci presentiamo con destinazioni comuni, ma nessuno ha lo stesso biglietto dell’altro.
Allora stringiamolo, questo biglietto.
Avanti, serriamo tutti il pugno, così… e teniamolo ben stretto per un po’.
Se ci concentriamo sulla nostra mano, la sentiamo calda, avvertiamo il sudore che cerca di farsi largo, forse riusciamo anche a percepire il battito del cuore nei polpastrelli.
E’ una sensazione che ci unisce, al di là della razione di pensieri nella quale ognuno di noi si trova a scartabellare.
Ricordate: biglietti diversi, tutti, ma destinazioni comuni. Com’è possibile?
Ognuno ha il suo passo, fa il suo cammino.
C’è chi calcola, progetta. Un itinerario ben studiato per raggiungere, superare, tornare indietro (perché tornare indietro è anche un modo per andare avanti), muoversi comunque, tagliare il traguardo o mettersi in salvo.
C’è invece chi sogna, fantastica. Un itinerario immaginato per essere già lì dove gli altri devono ancora arrivare: è la forza dell’arte, il primato di quel minuscolo chip etereo posizionato tra il nostro cervello e la nostra anima.

Tutti noi abbiamo momenti difficili. E alla stazione della Vita possiamo arrivare anche in ritardo. C’è un numero infinito di treni da prendere… o da perdere.
Il biglietto lo abbiamo sempre nel pugno.
Ora apriamo la mano e guardiamola.
E’ rossa e chiazzata. E’ la sua maniera di mantenere una memoria.
E la nostra memoria?
La nostra è scritta in quel biglietto immaginario che abbiamo tenuto stretto.
Ognuno ha la sua memoria, ma senza biglietto non si parte e soprattutto non si arriva.
La memoria non è una cicatrice, ma l’unguento che la accarezza.
La memoria non ingombra, ma libera.
La memoria è un biglietto che non ha prezzo e che non teme rincari dell’ultima ora.
La memoria è un dovere e trasgredirlo non è sanzionabile.

Un treno è arrivato: “In carrozza, si parte!”, urlavano un tempo i capistazione.
Io ho il mio biglietto.

Le prossime elezioni

Mentre ci si arrabatta con schede, scrutini, dichiarazioni di voto, previsioni e scampoli di risultati provo a guardare oltre. Penso alla prossima campagna elettorale. Molti giornali, blog, televisioni vi hanno mostrato il mondo variopinto dei candidati con gli slogan più acrobatici e gli impegni più divertenti. Benissimo. Ci siamo (anche) divertiti.
Adesso mi piacerebbe che fosse approvato un codice aggiuntivo del candidato con le seguenti regole.

  • Il c. deve dar prova di conoscere il trapassato remoto di un verbo a piacere.
  • Il c. deve fornire la propria dichiarazione dei redditi e la mappa delle proprie abitazioni (roulotte e camper inclusi): i certificati devono combaciare se non aritmeticamente per logica.
  • Il c. deve sapere quanto costa in modo approssimato un normale panino (scarto ammesso 50 centesimi!).
  • Su ogni singolo manifesto, volantino, banner, per non parlare degli spot televisivi e radiofonici, il c. deve indicare costo e nome e cognome del finanziatore.
  • La lingua ufficiale del c. (scritta e parlata) deve essere l’italiano, altrimenti si paga pegno. Il c. che stampa un inglesismo accanto al suo faccione, ad esempio, deve sostenere una conversazione nella medesima lingua davanti al comitato elettorale di un concorrente diretto.
  • Il c. si impegna a non inviare stampati, lettere o altra cartaccia a casa di persone che non conosce.
  • Il c. si dichiara al servizio dei suoi elettori e non degli amici (degli amici).

foto Romina Formisano

Fotofinish

Comunicazione di servizio. Da oggi a domenica sarò alla Fiera del libro di Torino per presentare l’antologia “Fotofinish” che porta la mia firma a fianco di quella di Giacomo Cacciatore e Valentina Gebbia. S’inaugura così, insieme al libro di Sandrone Dazieri “Bestie”, la collana VerdeNero. L’iniziativa è frutto di una collaborazione tra Edizioni Ambiente e Legambiente e ruota su un tema fondamentale come la lotta all’ecomafia. Il piano dell’opera è ricchissimo: oltre agli scrittori di cui sopra hanno aderito Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini, Massimo Carlotto, Piero Colaprico, Marcello Fois, Giancarlo De Cataldo, Niccolò Ammaniti, Luca Rastrello, Simona Vinci, WuMing. Se volete venirci a trovare, sabato alle 17 siamo nel padiglione V, sala Book, al Lingotto. Se volete ascoltarci per radio, siamo –sempre sabato – ospiti dalle 13 alle 13,30 della trasmissione “Tutti i colori del giallo” (Radio Due), condotta da Luca Crovi.
A lunedì!

Giornali in rete (faranno gol?)

Secondo Bill Gates il futuro di tv e giornali è prevalentemente online. Direte: certo, il padrone della più grande azienda enologica del mondo non può che indicare nel vino la strada maestra per la verità. Fatta la tara sul personaggio, che (antipatie a parte) qualcosa da dire ce l’ha, la questione è seria.
Il consolidamento della presenza sul web di quotidiani e televisioni non può che seguire il progressivo traghettamento di pubblico dai mass media tradizionali verso internet. Già l’inventore di Skype, Niklas Zennström, ha aperto una via con Joost, la via gratuita alla tv on demand. Già i maggiori quotidiani del mondo offrono contenuti interattivi sui loro siti per diversificare il prodotto cartaceo da quello digitale. Abbiamo assistito alla fine degli anni Novanta alla Prima Grande Illusione della New Economy: il miraggio dei guadagni facili attirò imprenditori di ogni genere, soprattutto quelli che non avevano mai acceso un computer nella loro vita. Bastò poco tempo perché se ne tornassero con le pive nel sacco alle loro industrie, ai loro mattoni, ai loro ingranaggi da oliare, alla loro politica di contributi. Conosco una persona che in un pubblico consesso a quei tempi dichiarò: “Propongo di non scrivere mai più la parola Internet sul giornale”. Oggi probabilmente, in ossequio alla sua lungimiranza, ha più di un’azione investita in aziende che operano su e grazie a internet. E sul giornale quella parola la lascia scrivere molto volentieri. Nel web per fare sul serio ci vogliono altre carte e soprattutto ci vogliono idee. Non è una visione da “nudi e puri”, bensì una semplice regola di sopravvivenza. Nell’epoca del Web.02, dove i contenuti saranno sempre più quelli degli utenti, i padroni (lasciatemi usare questo termine desueto che rende bene il concetto) potranno solo veicolare al meglio le idee degli altri, tramite idee proprie per fare soldi. E questo non sarà uno scandalo.

Le cassette nel cassetto

Un ricordo bello e uno brutto.
Ho 19 anni, sono in nave con un paio di amici. E’ inverno e il mare è calmo, Genova è a due ore da noi, stiamo arrivando, c’è il sole. Esco sul ponte, mi chiudo nel piumino rosso, inforco le cuffiette e schiacciò il tasto del mio walkman nuovo, regalo di compleanno. Nelle orecchie si accende la magia degli Spyro Gyra.
Ho 42 anni, sono a casa e ho voglia di ammazzarmi di nostalgia. Tiro fuori dallo scaffale la cassettina con la musica degli Spyro Gyra, la infilo nel registratore e schiaccio il tasto play. Ne viene fuori un suono orribile dove il fruscio a tratti copre la musica. Mi incazzo e vado a letto con la tv accesa per punirmi.
A questo ho pensato mentre leggevo ieri la notizia del ritiro dal mercato delle audiocassette. Nessuno le vuole più, sono state mandate in pensione da mp3 e cd.
Tutti quelli che hanno più di 15 anni e che amano la musica avranno qualche ricordo legato a queste trappole di plastica. Le Tdk, le Philips, le Scotch, i modelli CrO2, quelli Metal, LH, LN… C’erano sigle che sembravano complesse formule fisico-chimiche che alimentavano speranze di longevità e resa sonora. Eppure si sfasciavano tutte alla stessa maniera. Avevamo affidato alle musicassette il compito di conservare i ricordi senza renderci conto che i ricordi non sono indelebili: personalmente il nastro magnetico si è dimostrato più stabile dei miei neuroni. Adesso guardo con malinconia le mie trecento e passa cassette. Non le butterò mai e forse non le farò nemmeno suonare. L’importante è che ci siano state.

L’eroe Diego Armando

La storia dell’umanità ha sempre avuto bisogno di eroi. E ogni epoca ha avuto gli eroi che meritava o si aspettava. L’eroe è una figura che vive di ciò che ha fatto e ancor più di ciò che avrebbe potuto fare se il destino non le avesse strappato le carte dalle mani mentre giocava la partita più importante. Gli eroi comunque finiscono male, altrimenti sarebbero semplici fenomeni (che, anche loro, appaiono e scompaiono ma non con l’obbligo della tragedia finale).
Maradona è uno di quelli che abbiamo imparato a chiamare, con un ossimoro ben digerito, eroi tragici. Il povero che si fa largo grazie al suo talento, il simbolo che viene consacrato al ruolo di trascinatore di folle, il profeta di una parola che non conosce ma che sa ben tenere tra i piedi, il Robin Hood che ha un bottino di emozioni da regalare a chi le può soltanto spiare. Non c’è paragone che tenga per dipingere una parabola così ben congegnata da un destino sempre aggiornato, al passo coi tempi. Per lui il Grande Impresario ha scelto il palco più grande che ci sia nell’epoca in cui viviamo: uno stadio, un campo di calcio, un pallone. Fosse stato un musicista o uno scrittore Maradona non avrebbe avuto il privilegio di poter godere di un’idolatria che si destina ai trapassati. Sarebbe stato celebrato per i suoi dribbling del solfeggio o del periodare probabilmente solo post mortem. E’ così che funziona nei campi dell’arte classica. Invece Diego Armando si ritrova a essere inseguito da una fama che lo onora e lo distrugge al tempo stesso. Chissà se mai, da ragazzo, gli sarà passato per la testa quel pensiero che coglie noi, normalissimi signor nessuno, quando sogniamo di aver fortuna: capiti quel che capiti non mi farò distruggere dal denaro. Ha scelto un’arte in cui la resistenza alle cattive tentazioni è l’handicap nascosto. Il suo ultimo numero è cercare di far finta di superarlo.

Facciamo che…

Facciamo che vivo in una città dove il 13 e 14 maggio prossimi si vota per il sindaco e relativi complici. Facciamo che i due candidati principali si chiamano Cammarando e Orlata, il primo va a destra, il secondo a manca. Facciamo che questi due signori hanno scoperto una cosa che si chiama internet e che credono di raggranellare consensi anche attraverso strumenti tecnologici a loro (e ai loro entourage) ignoti. Facciamo che Cammarando si fa costruire un sito bello e colorato, con varie sezioni, un video che intasa la vostra connessione senza chiedere il permesso e addirittura un blog. Facciamo che Orlata si fa un sito più spartano, ma in cinque lingue, c’è spazio per le donazioni, ci sono preziosissimi pdf da scaricare con (udite udite!) il programma elettorale e per ogni passo interattivo viene richiesta la registrazione con nome, cognome e indirizzo e-mail.
Facciamo che questi siti siano un fallimento comunicativo o quantomeno che le decine (centinaia?) di contatti siano di galoppini, sostenitori, questuanti, ruffiani, qualche guastatore e un paio di curiosi: insomma per chi ha pratica di queste cose sono contatti di valore zero.
Facciamo che Cammarando e Orlata non abbiano capito che la comunità online è la più ostile ai ragionamenti pelosi, perché vuole vedere subito, perché controlla tendenziosamente, perché ha un sistema di passaparola che ti promuove o ti boccia nel giro di un minuto e mezzo su scala planetaria. Facciamo che Cammarando e Orlata non sanno niente delle città virtuali che vivono sopra e sotto quelle reali. Facciamo che si ritirino dal web e tornino ai palchetti della politica.

Ps. Non volevo illustrare con una foto questo post, dato l’argomento delicato (e anche un po’ deprimente). Poi ho rivisto la foto vincitrice del Pulitzer 2007 di Oded Balilty (Associated Press) e non ho resistito. Per quei pochi che non lo sapessero raffigura una ragazza israeliana che affronta poliziotti israeliani diretti a sgombrare le case degli ebrei ad Amona, un avamposto abusivo nei pressi di Ramallah. Non è uno scatto meraviglioso?

Fallimento

Piccola cronaca di un fallimento. Per un paio di settimane su questo blog ho proposto un sondaggio sullo slogan da suggerire a un candidato sindaco. Credevo che l’argomento fosse stimolante, data l’imminenza delle elezioni amministrative e l’invadenza della pubblicità elettorale: insomma è uno di quei temi ai quali, anche volendo, non si può sfuggire. Invece ho constatato l’assoluto fallimento di questa mia minima iniziativa: pochissimi votanti, nonostante i numeri molto soddisfacenti dei contatti quotidiani. Insomma, avete scansato l’argomento come la peste!
Non sono l’unico a dover essere deluso però. Ho fatto un giro nel web sui principali siti politici (candidati e partiti) e anche su importanti blog cittadini: laddove viene sollecitata l’interattività la partecipazione è scarsa e perlopiù pilotata.
Craxi ammoniva i suoi: “La politica o si fa o si subisce”.
Nell’era della comunicazione globale la politica si dispiega su cittadini annoiati. E per non contribuire a far salire di livello la noia disintegro sondaggino e risultati del medesimo.

Il passato e la scrittura

Qualche anno fa, quando non eravamo troppi su internet, c’era una comunità di appassionati di scrittura e di lettura che sul web popolava siti paritari e salvifici. Tutti uguali: scrittori, lettori, giornalisti, bibliofili, talent scout, editor, bestselleristi, critici. Tutti salvi: si scriveva, si leggeva, ci si confrontava, c’erano stroncature e promozioni ogni sera ma c’era un giudizio. Ci si ritrovava senza ipocrisia e garantiti da un nickname su siti e forum che si fondavano su una cosa antica: la parola scritta.
Ieri sera, approfittando di un raro momento libero ho ricominciato a spulciare tra i miei “preferiti”: Solotesto, Writerscorner…
Non esistono più. E sono solo due esempi di siti minori.
Progetto Babele, al quale nel passato ho affidato un mio racconto a puntate, vede come ultimo aggiornamento un editoriale del maggio del 2006.
Non sto qui a raccontarvi la mia tristezza, specie in un momento in cui si parla di web.02, una nuova concezione della Rete fatta di idee e di contenuti degli utenti.
La morte di queste iniziative e il conseguente trionfo di scatole vuote come Youtube e MySpace consacra la supremazia dell’effimero sul divertimento puro, della confezione luminescente sul contenuto succulento. Per chi non ha vissuto quella stagione queste potranno sembrare parole vuote e vecchie. Per chi invece ci è passato sa di bel passato.