Il tifoso e il poliziotto

Sul sito della polizia di stato era stata salutata come la “stagione del dialogo”. Uno pensa a chissà che, invece si parla di calcio. Ora, un Paese in cui l’istituzione della pubblica sicurezza deve auspicare un felice rapporto con i seguaci di un giocoso sport mi pare che abbia qualche problema. Uno si augura il dialogo tra forze politiche, tra entità contrapposte, tra nemici. Ma tra poliziotti e tifosi, no. Perché, se ci pensate bene, è come augurarsi il dialogo tra il panettiere e il salumiere: lavorano ognuno per conto proprio e se tutto fila liscio in una bottega (del panettiere, ad esempio), anche l’altra (quella del salumiere) ne gode. Il benessere e la serenità sono contagiosi.
Mettiamola così. Tifosi e poliziotti non dovrebbero essere forze contrapposte. Un poliziotto può essere tifoso, un tifoso può fare il poliziotto. L’agente è lì per difendere la moderna sacralità del tifo, il tifoso per goderne.
Invece, in questo Paese, si verifica un aberrante cortocircuito: il divertimento diventa occasione di scontro; il superfluo sconfina nel rigore del necessario. Serve una gigantesca mano che stacchi l’interruttore generale dell’energia elettrica per poi riavviare tutte le macchine, azzerando contatori, macchinette obliteratrici, partite.
Il vergognoso spettacolo, anzi la delinquenziale esibizione, dei tifosi napoletani – in occasione di Roma-Napoli, ieri – deve finire nel cesso di un oblio finto-sportivo. Con stadi chiusi, squadre retrocesse in serie Z, sciarpette dimenticate nell’angolo di una cella d’isolamento.
La tolleranza zero, in un Paese che non è l’Italia, serve per questioni importanti. Una partita di calcio può servire, tuttalpiù, per dimenticarsi (almeno in quei 90 minuti) delle questioni importanti.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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