Cose difficili da spiegare

Da Los Arcos a Logrono.

Ci sono cose difficili da spiegare, come l’avversione per “La strada” di Cormac McCarthy, come la passione per gli AC\DC, come l’attrazione per i cimiteri o come la repulsione per le parole “attimino” e “apericena”. Perché sono visioni troppo soggettive per essere declinate in un sereno contesto universale. Nel senso che l’essenza della loro unicità indiscussa nella nostra mente si regge proprio sulla loro impalpabilità in termini assoluti.
Una di queste cose difficili da spiegare nasce dalla fatica accumulata in questi primi sette giorni di Cammino Francese. Oggi sono stanco e disidratato – una tappa in saliscendi di quasi 30 km a 40 gradi con pochissime zone d’ombra e per un lungo tratto in autosufficienza – e per andare a cena ho dovuto far ricorso alle forze residue, davvero poche. 
Ho fatto un rapido calcolo: finora ho percorso circa 170 di 785 chilometri eppure non ho la smania di arrivare, tipo maratoneta. Ed ecco la cosa difficile da spiegare: ci sono cose che ci affaticano, ci isolano, ci tolgono il sonno, ci abbrutiscono eppure vogliamo che non finiscano mai. Mentre il mondo gira per i fatti suoi tra comfort, ombrelloni, aria condizionata, noia glam, esercizi familiari e abitudini finto-rassicuranti, la ruota delle soddisfazioni gira anch’essa e dà punti persino ai reietti della socializzazione e agli onanisti della fatica premiale. Una sorta di reddito di cittadinanza della gioia che premia uno strano tipo di disoccupato: quello che si è dimesso dalle vacanze forzate con un cartonato di famiglia, con panorami umani che non sopporta, in ambiti che deve farsi piacere tipo lavori forzati, con compagnia istituzionale come se fosse un lavoro.

A questo pensavo oggi mentre: segnavo sul mio diario personale una nota sulla cortesia dell’albergatore benzinaio che spontaneamente mi ha dato uno strappo in auto sino alla partenza del Cammino (ero fuori di almeno tre chilometri); sbattevo le corna su un tratto conosciuto come rompepiernas ovvero spaccagambe dove per una decina di chilometri inanelli salite e discese che pare un videogioco in cui il Padreterno è l’unico ad avere in joystick; una mosca decideva di prendere un passaggio tra il mio naso e la visiera del cappello e non mollava prima di cinque ore e mezza.

È difficile spiegare che tutto questo ti dà gioia senza suscitare quella che tu vorresti leggere nella considerazione altrui come ammirazione e che invece è solo compatimento. Ma è bello anche per questo. 

7 – continua

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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