Elogio della mafietta di Pif

L’articolo di ieri su la Repubblica Palermo.

Prendete uno come Pif. Nel corso dell’anno lo intervistano su tutto. Lui non si nega e galleggia goffamente tra un’inutile provocazione politica e una sacrosanta battaglia civile come un discreto orecchiante delle cose dei nostri giorni. Ma è solo quando lo lasciano razzolare nel suo orticello, cioè quando gli fanno fare i film, che Pif acquista agilità e spicca il volo lontano dalla banalità. La seconda serie de “La mafia uccide solo d’estate” è in tal senso un ottimo spunto per provare a riconsiderare il ruolo degli artisti italiani in quest’era di ecumenismo social in cui per cercare di emergere si accetta la pena di mostrarsi tutti uguali. Perché Pif fa una cosa molto intelligente nella sua narrazione: non si impelaga nel polpettone del giudizio etico. E trattando di mafia, il merito è ancora maggiore.
“La mafia uccide solo d’estate” è una serie scritta bene e raccontata con uomini e mezzi da onesto artigianato. Il Pif artista, ben diverso dal Pif opinionista, mostra di conoscere la lezione di Claudio Magris secondo il quale “gli scrittori e gli artisti non sono un clero laico che amministra spiritualmente l’umanità né capiscono la vita e la politica necessariamente meglio di altri”. La sua storia non ha buoni lindi e cattivi luridi. Ognuno dei personaggi ha qualcosa che teme e di cui temere, l’ironia sul peccato come concetto relativo è molto più vicina alla realtà di qualunque sermoncino finto-buonista. Per questo, nella serie, il tortuoso itinerario delle varie esistenze, tra amore, voglia di evasione, rassegnazione e rivincita, le rende plausibili in una terra abituata a confondere malattie con medicine. L’esigenza di mantenere i contatti con la cronaca – si narra pur sempre di morti ammazzati – è ben conciliata con un distacco dal giudizio morale, poiché la cosa più facile del mondo, quando si parla di mafia, è arringare le folle.
Come già hanno fatto Ficarra e Picone, che però abilmente si sottraggono alle pulsioni dichiaratorie quando sono fuori dal set, Pif usa un sereno trasversalismo per raccontare il male e le sue tentazioni. E lo fa con una risata amara come la vita o con una lacrima dolce come la speranza.

L’era della rabbia

“Se non vi arrabbiate, vuol dire che non siete attenti”, recita uno slogan apparso spesso nelle proteste contro Donald Trump. E a giudicare da quello che è accaduto oggi a Palazzo d’Orleans a Palermo, di attenzione da queste parti ce n’è parecchia. Fin troppa. L’arringa sbraitata da Pif nel segno di una battaglia sacrosanta per i diritti calpestati dei disabili siciliani è tuttavia una linea Maginot della nostra socialità. Che impone una domanda: si può vivere civilmente senza dover essere incivili contro chi impedisce il vivere civile?
Nel mio piccolo sono d’accordo al cinquanta per cento con la retorica urlante di Pif. Perché se è vero che è il risultato quello che conta (e i disabili siciliani aspettano come un’elemosina l’aiuto loro dovuto dalle istituzioni), è anche vero che quest’andazzo di agguati a mezzo tv, di telecamere e telefonini sguainati sta deformando la realtà: si è a favore del muscolo piuttosto che del cervello. E questo non è un bene.
In un articolo su The Guardian, lo scrittore e saggista indiano Pankaj Mishra ha raccontato, la settimana scorsa come dalla Brexit a Trump, dalla xenofobia in Europa all’elezione di Duterte nelle Filippine, gli eventi dell’ultimo anno siano incomprensibili per l’occidente razionalista e liberale. E ha spiegato come in realtà sia il nostro modo di interpretare il mondo che non funziona più.
La tentazione è quella di continuare a spiegare la crisi della democrazia – perché di questo si tratta – usando dualismi rassicuranti come liberalismo e autoritarismo, islamismo e modernità, Pif e Crocetta, grillismo e tradizionalismo. Ma – suggerisce Mishra – forse sarebbe più utile pensare alla democrazia come a una condizione emotiva e sociale particolarmente fragile che, aggravata dal turbocapitalismo, è diventata instabile.
Quando ci lasciamo incantare da un presentatore tv che urla e annichilisce un navigato politico, per di più esperto nella politica-spettacolo, non dimentichiamo mai che un astioso troll di Twitter è diventato l’uomo più potente del mondo.
Come hanno sempre sostenuto i buddisti, l’avversione e il desiderio sono due facce della stessa medaglia: sia che moriamo dalla voglia di qualcosa o che la detestiamo per qualche motivo, sempre di un’ossessione si tratta.
Ecco perché Pif che grida contro Crocetta mi dà il 50 per cento di soddisfazione. Perché dà corpo alla fisicità delle istanze, mentre dobbiamo imparare a essere più precisi nelle questioni dell’anima. Perché è soluzione immediata, ma precedente pericolosissimo. Perché è rimedio ma rischia di diventare causa.
L’era della rabbia ci ha travolti. La nuova resistenza probabilmente non è mobilitazione fisica, ma addestramento al distacco razionale.
Apprendere per andare al contrattacco.
Riflettere per vincere.
Studiare per impugnare l’arma più giusta: quella della conoscenza.
Anche se non fa like, smile e uau!

Qui il podcast.

Diavolo di un Angelino

La mafia uccide in estate