Trilogia del sesso perduto/1

di Verbena

“Date voce alla convinzione
latente in voi, ed essa
prenderà
significato universale”.

Ralph W. Emerson

Mia nonna Pina abitava al nono piano di un palazzaccio bianco, costruito a ridosso di una piazzetta sconcia e malfamata. Di bello, quel condominio, aveva solo il colore delle persiane: blu cobalto. Il condominio è ancora lì, e lì dentro è come se ci fossi rimasta io, che ho sempre cinque anni, che saltello ancora sui tavoli dei vicini di casa e mi esibisco in “Piange il telefono” professandomi più brava della Guadagno.
Ogni tanto me la sogno, quella casa che odorava di ragù. Pure il terrazzino sogno, piccolo e impicciato dai miei giochi e dalle piantine.
E dalle zucche. Mia nonna le adorava e da brava massaia non buttava niente, e seccava i semi al sole.
E allora, direte voi?
Allora c’è che l’altra notte, insonne come spesso capita, ho compreso cosa significa rimuovere un ricordo per almeno trentadue, lunghissimi anni.
Ho ricordato di un pomeriggio, probabilmente estivo, sul terrazzino. Io con la gonnellina e le mutande in bella vista e i semi di zucca, non so per quale motivo, adagiati su un telo. Il telo stava per terra. E io stavo sopra il telo a giocare con i semini. Sarà stata la fase dell’ invidia del pene, fatto è che un pugno di semi li andai a nascondere proprio dentro, o per i più colti dentro. Là dove mia nonna ebbe cura di svuotare il tutto poco dopo, sbraitando per una buona mezz’ora. Ma non è questo che ho rimosso. L’episodio dei semi nel corso della mia vita è riemerso di tanto in tanto. Quello che ho seppellito nei meandri del mio inconscio è stato il seguito, di cui oggi decido di liberarmi consegnandolo sotto forma di byte a tutto l’universo mondo.
Signori, la fantasia dei bimbi è perversa. Aveva ragione Freud. Nel mio cervellino la verità si confuse con la fiction. Subito dopo l’episodio credetti che quei semi, in realtà, li avessi prodotto io. Che li avesse, insomma, figliati il mio fiore segreto. Credetti che la mia porta d’accesso ai misteri della natura sfornasse di norma semi di zucca, e che anzi tutti gli accessi femminili fossero ovviamente destinati a produrre semi, che poi tutte le brave nonne del mondo dovevano seccare al sole.
Quest’idea non si smosse dal mio cervello per almeno quattro anni. Ne sono certa, adesso vi dico il perché. I miei non erano, quello che si dice, genitori socievoli. Soltanto a nove anni mi portarono a vedere la mia prima festa patronale con la Santuzza, e tutti gli annessi e i connessi. Non furono i fuochi d’artificio ad incidere nei miei ricordi di bimba. No. Furono i banchetti di calia e simenza. La simenza, soprattutto. Fu allora che compresi la vera finalità della mia (ancora) acerba identità femminina. Sfornare semi su semi, che forse le nonne raccoglievano in pudico silenzio al momento del cambio biancheria, per poi consegnarli ai terrazzini ed infine al pubblico palato, opportunamente salati.
Trovai la cosa un po’ antigienica ma in fondo non disdicevole, e comunque naturale. Oggi direi biologica.
Ogni tanto mi chiedo perché mia figlia, che ha sette anni, sa perfettamente da dove vengono i semi di zucca e, credo, anche da dove vengono i bambini. Poi mi chiedo perché la piccola Verbena che sono stata abbia creduto per così tanto tempo ad una teoria così stramba. Rispondetemi voi, magari. Ma non infierite.

Video ergo sum

Per rinfrancar lo spirito tra una lagna e l’altra, ecco a voi una “pregiata” (e per fortuna breve) esibizione del sottoscritto su Another Tv. L’occasione è un monologo-arringa della mia amica Valentina Gebbia che io interrompo per un minuto scarso, tipo il rompicoglioni Paolini. L’accento tradisce le mie origini padovane… Pronti? Via.

Giornalisti…

La faccio breve. Oggi mi sono dimesso dal giornale in cui ho lavorato per oltre vent’anni. Ho svuotato i cassetti della mia scrivania, stretto mani e baciato guance (e non viceversa), staccato le foto dalle pareti… Soprattutto ho apprezzato una parola del comunicato del cdr che mi riguardava: “galantuomo”. Questo termine, abbastanza desueto, mi ha fatto riflettere. Non mi sono mai considerato un buono, anzi mi sono sempre ben guardato dall’esserlo. Per via del mio ruolo ho dovuto amministrare spesso con durezza uomini e risorse. E altrettanto spesso sono caduto nell’errore dei finti forti, rovesciando su teste altrui quote di tensione che erano solo mie.
Ho sbraitato e sbattuto telefoni, ho sbuffato e ringhiato. Ho pagato qualche pizza notturna e scroccato sigarette a più non posso. Ho litigato via sms e mi sono riappacificato davanti a un paio di birre.
Ma con molti colleghi ho anche festeggiato, ho sghignazzato, sono stato in vacanza, ho fatto ore piccole e grandi minchiate. Grazie ad alcuni sono cresciuto, per colpa di altri sono regredito.
C’è un solo motivo per cui oggi hanno usato quella parola che non merito: i giornalisti quando sono a corto di notizie, inventano.

Per protestare


Il buon Salvatore Mangione, ieri, mi ha fatto un bel regalo: ha preso una frase del mio post sulla vergogna cinese delle Olimpiadi e ha costruito quel che vedete sopra. Queste immagini sono a disposizione di chiunque le voglia inserire nel proprio blog o comunque di chiunque le voglia utilizzare per una sana protesta. Se le volete in risoluzione maggiore scrivete. Offriamo io e Salvatore.

Olimpiadi, tutti a casa

Non sono un rivoluzionario. Anzi, con l’età che avanza, mi sono trovato sempre più spesso su posizioni critiche nei confronti della protesta plateale come espressione utile alla costruzione di un dissenso che non abbia zampe d’argilla.
Il ruolo della Cina prima ora e adesso, la sua politica arrogante, il suo machismo orientale eppure molto americano, il suo diarroico seppellimento di ogni diritto umano, la sua crudele mannaia su ogni gesto di opposizione suscitano però sdegno, schifo… voglia di rivoluzione.
L’esempio di ieri è da far annodare le budella.
Nel cuore dell’antica Olimpia, l’inaugurazione dei Giochi di Pechino è stata oltraggiata dalla censura in mondovisione della manifestazione di protesta contro la repressione cinese in Tibet. Mi viene da pensare a una disinvolta ostentazione di potenza, ma forse dovrei riflettere meglio sul rincoglionimento del mondo occidentale. Quando ci sono muscoli e denaro in campo le superpotenze si nutrono di distinguo e sono stitiche di strappi, decisioni, risoluzioni. Eppure lo capisce anche un bambino che queste olimpiadi tradiscono in modo definitivo il senso millenario della competizione sportiva per eccellenza. Senza lealtà, l’agonismo è vuoto. Un Paese che schiera l’esercito contro i monaci inermi non è degno di organizzare neanche una gara di bocce al lido Mareblu.
Insomma, c’è un solo modo per giocare questa partita sulla quale la Cina ha investito il massimo delle sue paludate risorse: starsene tutti a casa.

Un panettone nell’uovo di pasqua


Ecco stralci dell’intervista di Vittorio Zincone a Roberto Torta che sarà pubblicata giovedì prossimo sul magazine del “Corriere della sera”.

Finisce di mangiare il suo panino con le panelle e sospira. “Lo vede questo mare? Io so che posso renderlo più azzurro”. E mentre lo dice, Roberto Torta ha gli occhi ancora più languidi.
Poco più in là, i manifesti elettorali disegnano slogan: serenità, serietà, armonia, parole che inneggiano all’ottimismo. Sul suo, invece, Roberto Torta, ha fatto scrivere semplicemente: “Vota Roberto Torta. Ce n’è per tutti”. Quest’uomo, così etereo e così pragmatico, è candidato alla Presidenza della Regione Siciliana. Il settimo. Ed è al settimo cielo perché fra pochi giorni volerà in America per appoggiare la candidatura di Obama. “Sa, me l’ha chiesto come favore personale – dice quasi sottovoce – e non ho saputo dirgli di no”.
Torta, come ha iniziato la sua attività politica?
“Con il condominio. Ho amministrato un condominio di 12 piani. Tre famiglie per piano. Faccia un po’ lei i conti. Chi la voleva cotta, chi cruda, chi a bagnomaria. Chi innaffiava i gerani e bagnava la biancheria della signora del piano di sotto. Chi metteva lo stereo ad alto volume. Lì ho capito l’arte della mediazione e della condivisione”.
Come immagina la sua Sicilia?
“Come un Triangolo a quattro lati. Tre è il numero perfetto, lo so, e quest’Isola ha avuto sempre tre lati. Ebbene, aggiungerne un altro, è un sogno possibile”.
Si parla molto del suo elettorato femminile. E’ vero che come vicepresidente ha scelto una donna denominata “la suocera”?
“Sì, l’ho voluta fortemente. E’ l’unica in grado di far capire il profondo senso delle parole. L’elettorato femminile è una forza”.
Facciamo il gioco di Proust. Se fosse un albero, Roberto Torta, cosa sarebbe?
“Un fico. Con tante foglie in affitto”.
Se fosse un libro?
“Aperto. Alla pagina dei ringraziamenti”.
La canzone che fischietta sotto la doccia?
“Tutte quelle della Tatangelo. Le dico un segreto.. me le ha insegnate Cacciatorino. Ed anche per far felice lui la inviterò alla chiusura della campagna elettorale”.
Il giorno più triste?
“Deve ancora venire”.
Il giorno più felice?
“Quando viene”.
Quanto costa un litro di latte?
“Il giusto”.
Quali sono i confini di Israele?
Non c’è il tempo per questa risposta. Camminare per Mondello con Roberto Torta significa fermarsi in tutti i bar, stringere mani, fotografare e farsi fotografare coi cellulari. Lui ha sempre una parola per tutti e mentre ci salutiamo mi guarda con quegli occhi azzurro – mare pulito sottoscritto da Goletta Verde e mi dice: “Sa cosa vorrebbero trovare i siciliani nell’uovo di Pasqua? Il panettone!”.
Tutto si può dire di Roberto Torta. Ma le minchiate le dice meglio di qualsiasi altro politico.

Brave persone

Il leader di Potere Operaio, Franco Piperno, dichiara in tv: “I terroristi? Io penso che sono moralmente delle ottime persone anche se hanno ucciso”. E argomenta con l’intervistatore: “E’ una morale di guerra, non esiste solo una sua o una mia morale. La morale è multipla, ci sono persone che vanno a bombardare una città e sono considerate degli eroi e persone che sparano su un bersaglio determinato che sono considerate dei criminali. Nel secondo caso solo perché sconfitti”.
Credo – posso sbagliare – che la morale di guerra preveda lo schieramento di almeno due fazioni opposte. Eserciti contro eserciti. Armi contro armi. Ideologie contro ideologie. Interessi acuminati, geografie collidenti, economie selvaggie (in certi casi).
L’ostacolo che – posso sbagliare – impedisce (deve impedire) una rivalutazione morale dei terroristi è fatto da biciclette, impermeabili, valigette in finta pelle, occhiali rotti, scarpe, biglietti di autobus, chiavi… gli oggetti delle vittime, le armi di uno schieramento di quella guerra. Dall’altro lato, pistole.
Gli sconfitti – qualcuno dovrebbe riferirlo a Franco Piperno – non sono i terroristi, ma le mogli, i figli, i genitori, gli amici e i colleghi onesti delle vittime. Nessuno – posso sbagliare – ha finora avviato una campagna per salvaguardare quell’ingrediente della moralità (multipla, sottomultipla, probabilmente infinitesimale) che si chiama memoria.

Rattrap-Pina, una storia vera

Pina, la mia parrucchiera, a vent’anni era una bella ragazza. Lo dice lei, sì, perché adesso di anni ne ha cinquantadue e io l’ho conosciuta che ne aveva quarantasei, quindi non sono testimone diretta. Però che era bellissima si capisce lo stesso. E’ molto alta, è bionda e truciolata (anche se ora il biondo è frutto di tintura), ha una taglia smilzissima da indossatrice e gambe interminabili.
Ventenne, appunto, lavorava da un parrucchiere. Il solito Salvo, detto anche Tony. Insomma, un nome statisticamente classico per un coiffeur. I mariti e i fidanzati delle clienti, il ragazzo delle pulizie e i rappresentanti di shampoo e caschi la corteggiavano tutti. Ma Salvo-Tony le faceva da padre: “Pina, occhi bassi, ’un taliare a nuddu, niente confidenza ai masculi”. Siccome il padre di Pina era morto che lei era ancora piccola, Salvo-Tony aveva deciso di sostituirlo e si era preso, più che altro, un’arbitraria patente di scassacazzi. Però, con questo bodyguard sempre intorno, Pina – chiusa tutto il giorno in bottega, a smanettare con bigodini e permanenti – un maschio non sapeva proprio dove trovarlo. Si rifaceva la sera, quando usciva con tacchi alti, top e “fuson” (come li chiamava allora e li chiama anche adesso), con le amiche, per andare al cinema. Niente discoteca, per carità, che se la beccava Salvo-Tony era una tragedia. Anche al cinema, i ragazzi la notavano: Pina era tanto bella che al buio sembrava fosforescente. Al “mi posso sedere accanto a te?”, Pina era entusiasta. Al “ti posso offrire una bomboniera?”, sorrideva e apprezzava. Al “ma ci vieni a casa mia, dopo”, il ragazzotto di turno non riusciva nemmeno a finire la frase: guardava il posto accanto a sé e lo trovava vuoto. Da Pina nemmeno un bacio, figuriamoci tutto il resto. “Ci arrivo vergine al matrimonio”, diceva alla sua amica Rosy. “E’ una cosa troppo importante. Quindi se uno mi vuole, mi aspetta”. Aspetta oggi, aspetta domani, si dileguavano tutti. E si vede che la voce girava: il numero dei corteggiatori, negli anni, calava drasticamente. Una vera moria.
Pina attribuiva la cosa al fatto che, stanca com’era, usciva sempre meno e le otto ore con le mani in testa alle clienti non le lasciavano il tempo di una pausa per cercare l’uomo giusto.
Dopo vent’anni e più di quella vita, Pina, ormai superati i quaranta, pensò di aver capito. “Rosy, se mi metto in proprio, mi resta più tempo libero, posso circolare e finalmente quello giusto lo trovo e mi sposo”. Lasciò la bottega di Salvo-Tony. Da allora, Pina è una sacca piena di bigodini, cerette, coprispalle di plastica e balsami districanti che vaga dentro una Panda blu per servizi a domicilio. Il tempo libero ce l’ha. Gli uomini li incontra: il benzinaio, il suo meccanico, il cameriere di una vecchia cliente, il portiere di un’altra, il nipote di un’altra ancora. E, smesso il grembiule da impiegata di Tony-Salvo, ancora oggi – a 52 anni – la vedi spuntare con minigonne zebrate che non sai dove cominciano né dove finiscono, reggiseni imbottiti da cocomeri di gommapiuma, calze a rete guarnite con cuoricini di velluto rosso, tacchi di metallo a stiletto e chioma alla Enzo Paolo Turchi dei tempi d’oro. E per convincere tutti che è ancora giovane ha rinnovato anche le acconciature dei clienti: se ti distrai per un secondo, ti ritrovi con un taglio arruffato stile Amici di Maria De Filippi. Ma con gli uomini, niente da fare. Pina ancora non capisce cosa non ha funzionato. Intanto la pelle casca, la tinta bionda lascia scoperte tempie più sale che pepe, l’artrosi la fa zoppicare sui tacchi e il borsone che si porta sempre dietro le ha regalato una pericolosa pendenza verso il basso della spalla destra. Però Pina, imperterrita… non la dà. “Sono una ragazza seria”, continua a dire. Ragazza? Insomma. Ormai, quando torna a casa la sera, i bambini del suo quartiere le urlano dietro: “Bentornata, Rattrap-Pina”.

Il partito dei vescovi

Il partito dei vescovi italiani chiede di cambiare la legge elettorale. In un recente comizio, il segretario della Cei, Giuseppe Betori, ha chiesto agli italiani cattolici di “votare con discernimento” e ai futuri onorevoli del suo stesso medesimo partito (sempre cattolici, of course) di richiamarsi, nella loro azione, ai “valori fondamentali della Chiesa”. L’organo di stampa dei Bagnaschiani e Betoriani Uniti, Famiglia Cristiana, ha bombardato a tappeto l’intera classe politica italiana, dal Pdl al Pd (gli altri manco li caga), bollandola come inadeguata.
La costruzione di un nuovo sistema Italia prevede programmi blindati e benedetti: la famiglia è solo una (ad eccezione delle famigghie), la vita è sacra (anche se è di merda), i gay sono malati gravi e peccatori (all’inferno sì, ma in camere separate), Cuffaro si può candidare come e dove vuole (“non è un problema della Chiesa”, nonostante l’ex governatore sia un testimonial sfegatato di ogni modello di Madonna in simulacro).
Al partito dei vescovi manca insomma solo la distribuzione dei normografi davanti ai seggi elettorali. Il resto lo farà il crocifisso. Che, se ben brandito, fa miracoli…

Chi brucia i miliardi?

Ieri è stata l’ennesima giornata nera per le borse europee. Giornali e tv dicono che sono stati bruciati centinaia di miliardi. Siccome non capisco niente di economia, ma sono un discreto esploratore del mio portafoglio, vi metto al corrente dei dubbi e delle domande che mi assillano.

  • Dove finiscono questi soldi bruciati? E soprattutto chi è il fuochista?
  • Perché se lo sfintere anale di Bush ha un problema di tenuta ne risente il mio conto in banca?
  • Se la guerra fa bene alle borse, le borse tifano per la guerra?
  • Quando la lira non valeva niente eravamo nei guai, ora lo siamo ancora di più perché l’euro vale troppo: com’è possibile?
  • Il petrolio sfonda un record al giorno. La sede dell’Opec è a Vienna, l’Austria non potrebbe aumentare l’affitto di qualche miliardo di miliardo?
  • La Fed taglia i tassi perché sono lunghi o per favorirne la ricrescita?