Non so che interesse potrebbe avere Fabrizio Miccoli a tornare nella città che gli ha fatto conoscere la gloria e la vergogna, il talco degli agi e i calcinacci della nefandezza. Non lo so e dato che non ne vedo uno a tiro di rapida conclusione mi faccio piacere una considerazione che mi imbarazza. Ma che mi dà occasione di esercitarmi in qualcosa di cui, ahimè, non sono tanto esperto quanto vorrei. Ripensare, ricredersi, riconsiderare.
Sono stato tra i più feroci critici del Miccoli amico di mafiosi, gradasso, imprudente e spocchioso. E lo sono stato a tal punto da dimenticare le gioie che ci ha regalato quando inseguiva un pallone anziché una vanagloria criminale.
Oggi Fabrizio Miccoli è un’altra persona per forza di cose: ha conosciuto il carcere, ha provato a riabilitarsi e, cosa che mi ha colpito, è voluto tornare per l’ennesima volta a Palermo. Lo ha fatto per incontrare Maria Falcone e per chiedere scusa, scuse che la sorella del magistrato assassinato ha accolto.
È presto per celebrare riabilitazioni: in questi casi il rischio che da un angolo spuntino i tarallucci e il vino è sempre alto, meglio fare il giro largo.
E prendendola in maniera molto ampia mi rendo conto che il concetto di perdòno come atto elargito, quasi come azione concordata e intessuta attraverso le trame sociali, va riconsiderato, almeno tra le persone senzienti che riescono ancora a schivare semplificazioni grossolane o addirittura artefatte.
C’è una specie di filtro perbenista che entra automaticamente in azione, tipo cicalino per la segnalazione di fumo, quando parliamo di persone che hanno sbagliato, anche gravemente, e che provano a rimettersi in cammino. Ma è un filtro strano, non uniforme: stretto in alcuni casi, larghissimo in altri.
Una gran fetta della borghesia della mia città, parlo di Palermo, ad esempio è stata molto tollerante o addirittura accudente con personaggi che hanno commesso crimini acclarati: e badate bene non si tratta di una difesa per status, ma per pigrizia di pensiero. Il delinquente della porta accanto che non ha commesso crimini violenti ma comunque odiosi, se è ben inserito in questa catena di montaggio di aperitivi, gite in barca, simpatiche canagliate, selfie ammiccanti, è un amico che sbaglia. Il delinquente Miccoli, che non è della porta accanto, che ha pagato tutto, che ha pianto in diretta, e che non ha chiesto null’altro in cambio, resta un reietto.
Perché?
Perché ha fatto l’atto più insopportabile per l’ipocrisia di una middle class che non va oltre una conventicola di orecchianti e bottegai: ha chiesto scusa, lo ha fatto reiteratamente (seppur mai abbastanza, ma questo è un mio difetto di percezione del pentimento).
Abbiamo bisogno di nemici per sentirci sicuri. E un nemico debole, ormai fiaccato, è il nemico migliore.
Non approvo molte delle scelte “politiche” di Maria Falcone, eppure il suo perdono a Miccoli è una buona scelta politica (senza virgolette). Perché ci indica una via per imparare che seppellire i nostri morti non significa dimenticarli.
Probabilmente a proposito del caso Miccoli sui giornali e sui social leggerete molti sfoghi intransigenti travestiti da peana alla figura della vittima “uccisa due volte”, vi imbatterete in nuove forme di giustizia fai-da-te. Nulla di nuovo, quasi un rito.
La forma più evoluta di civiltà non è una condizione statica, ma un’idea in movimento che cambia, si adatta, include anche chi era stato escluso senza ingiustizia.
Nel mio mondo ideale si dovrebbe ricominciare da qui. La civiltà non è uno stanzino nel quale rimuginare vendette.
La civiltà è un viaggio con compagni sempre nuovi, anche con inaspettati ritorni.