Da El Real de la Jara a Monesterio
Da Monesterio a Fuente de Cantos
È un’immersione continua negli opposti. Più che in altri cammini, questa Via de la Plata è selvatica e disagevole, ma al tempo stesso rassicurante in modo antico. Attraversare universi rurali, immergersi in realtà sideralmente distanti dal nostro sistema di relazione è un esercizio non semplice. E lo dico da camminatore modestamente abituato a esperienze toste.
Rinviando ogni considerazione approfondita alla fine di questa missione, mi sento di anticiparvi che si tratta di un cammino da fare dopo. Dopo aver provato l’esperienza di altri itinerari in qualche modo comparabili, tipo il Cammino del Nord o il Cammino Francese (il Portoghese è troppo comodo, anzi “comodo”, per essere incluso come termine di paragone). Dopo aver sviluppato gli anticorpi per una fatica che non ha premio immediato. È come una maratona senza pubblico e senza banchetti di ristoro, in cui l’unica medaglia, se mai arriverà, ve la affibbierete da soli sul petto (più o meno smagrito). E per questo sarà indimenticabile.
Ribadisco un concetto: non c’è niente di eroico, ma molto di infinitamente egoistico. Del resto i sentimenti più puri – lo sappiamo ma non ce lo confessiamo – nascono per soddisfare un’esigenza personale: amiamo un’altra persona perché fa stare meglio noi, diamo aiuto agli altri perché ci sentiamo elevati dalle nostre miserie, esercitiamo il perdono perché ci alleggeriamo l’anima, e via vagheggiando.
Dopo una lunga sgroppata tra ulivi e maiali (qui è il regno del prosciutto iberico) tra terra arida e corsi d’acqua che spuntano all’improvviso (da guadare con cura perché ci sono solo pietre sulle quali provare a mettere i piedi) sono arrivato a Fuente de Cantos, cittadina bianca di calce e di sole.
E qui vi cito un tipico opposto della mia esperienza.
A fronte di un alloggio bello, un appartamento arredato con gusto e con comfort inauditi tipo la macchinetta del caffè e un televisore più grande di quello di casa mia (che comunque non uso, il televisore intendo), ho dovuto macinare chilometri per trovare un posto in cui cenare per come uno che ha fatto 23 chilometri sotto il sole ritiene di meritarsi. Alla fine ho portato a casa il risultato senza chiedere troppo: un bar con birra e bocadillos dignitosi.
L’idea degli opposti concilia le mosche, che qui in terra di allevamenti sono praticamente stipendiate dalla pro loco, con una cerveza gelata al punto giusto, i panorami brulli con l’odore dei tuoi passi: perché sì, i nostri passi hanno sempre un odore e accorgersene è una conquista del viaggiatore lento pede.
Va detto che la mia gioia si sostanzia anche di gesti riflessi, non miei. Mi diverte e mi allieta il piccolo contagio che questi diari, ancora oggi dopo molti anni di esperienze simili, riesce a innescare.
A ogni tappa, già dopo pochi giorni, c’è chi si è intestato un servizio meteo personalizzato, chi mi manda una canzone, chi mi aggiorna sui disastri della mia terra, chi chiede di essere allertato a ogni arrivo, chi s’inventa un appuntamento al mio ritorno, chi si rivela come lettore dopo anni di anonimato, chi semplicemente mi chiede via social come sto. Un meraviglioso trionfo di sentimenti egoistici, che dio li benedica (non faccio nomi, che poi sembra piaggeria da strafatto di fatica, magari alla fine, chissà).
Insomma altro che viaggio solitario, qui per tornare invisibile mi tocca rientrare a Palermo. Intanto grazie.
5 – continua
[…] che ti accoglie a braccia aperte: insomma ti annienta come Trump, col sorriso ebete. Eppure ieri vi dicevo dei contrasti, quindi non deve spiazzare il fatto che oggi ho camminato per un lungo pezzo sul […]