Qualche mese fa mi è capitato di assistere alla piantumazione di un alberello alla memoria di un mio amico e di ascoltare la litania di permessi e passaggi burocratici necessari per arrivare a quel momento. Ho pensato ingenuamente che aumentare il verde in una città come la mia dovrebbe essere un obiettivo non una seccatura, quindi dovrebbe essere facile e non quasi impossibile. L’ho fatto notare all’assessore al ramo (è il caso di dirlo) che era lì a riscuotere applausi. Lui si è trincerato dietro un’alzata di spalle e una frase secca: “A Palermo ci sono troppi alberi”.
L’episodio mi è tornato in mente stamattina per imperscrutabili motivi personali – certo svegliarsi con un pensiero all’assessore potrebbe essere di suo un campanello d’allarme – e non per via della argomentazione più o meno fondata dell’assessore, ma per l’approccio a un’obiezione più o meno fondata anch’essa. Il tagliare corto a ogni costo, il rilanciare senza spiegare, lo snobbare in surplace, sono i metodi più in voga oggi per mascherare l’irresistibile voglia di fottersene. È un sintomo, solo un sintomo di uno status che coinvolge tutti gli aspetti della nostra vita sociale, lavorativa, persino affettiva: siamo tutti più mediocri e siamo indecisi se lo siamo per vocazione o per reazione.
Un tempo alla mediocrità ci si opponeva con l’indifferenza (Oscar Wilde docet). Adesso non è più possibile per l’endemia del fenomeno.
Da qualunque parte ci si volti, c’è sempre un’occasione per non approfondire, per non argomentare. La complessità spaventa perché – come l’innovazione, che della complessità è un grimaldello – comporta coraggio.
Siamo immersi in una società che gioca di rinvio. Chi glielo fa fare di rischiare quando il pannicello caldo è dietro l’angolo? L’importante non è nuotare, ma galleggiare.
Da quanto tempo non vi scontrate pubblicamente con qualcuno a suon di idee (esclusi i diteggiamenti social)? Da quanto tempo non avete ceduto alla tentazione di farvi convincere da una tesi diversa dalla vostra? Da quanto tempo non mollate la frizione e decidete di scalare di marcia (“rallentando per poi accelerare”, cantava il grande).
Ebbene sì, il problema dell’aurea mediocritas non è la mediocritas.