L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.
Non saranno i Rolex e le paccate di contanti trovatigli in casa nonostante si dichiarasse nullatenente a suscitare qualche dubbio in più sulla figura del cantante neomelodico che si fa chiamare Daniele De Martino. E manco i testi delle sue canzoni che inneggiano a malavitosi e attaccano i pentiti di mafia. Quella è ordinaria amministrazione per uno che ha costruito il suo personaggio proprio su un’immagine borderline (per usare un eufemismo). Insomma De Martino fa il suo mestiere, come la Guardia di Finanza che lo ha denunciato ne fa un altro (e per fortuna). Ciò che incuriosisce davvero è la sua pervicace prorompenza sui social che, nei fatti, incarna una voglia inconscia di autodenuncia. Nei suoi canali ci sono i video di una miriade di concerti in tutta Italia, in Francia, in Germania e oltre. Lui stesso scrive: “Ovunque vado trovo sempre il panico d’amore, trovo sempre centinaia e centinaia di persone ad aspettarmi”. E mai che ci scappasse una fattura, una partita iva (però la famiglia ha il reddito di cittadinanza, ci mancherebbe).
Ecco, è questa perdita dei freni inibitori sui social a darci la terza dimensione del personaggio e dell’epoca nella quale ha trovato adeguata ospitalità. Facebook o TikTok come un confessionale ultraterreno, un non luogo dove vigono altre leggi, molto diverse rispetto a quelle che ci angustiano nelle nostre noiose vite di contribuenti.
De Martino a parte, il fenomeno non è nuovo e ha altre interessanti (e tristi) declinazioni in vari ambienti criminali.
Uno dei casi più eclatanti riguarda uno degli autori dello stupro di gruppo del Foro Italico a Palermo, nel luglio 2023. Riccardo Parrinello, unico minorenne nel giorno della violenza (oggi è maggiorenne), fu arrestato, liberato e subito rimesso in carcere proprio perché la sua indole di tiktoker senza paura aveva avuto il sopravvento, a inchiesta ancora aperta. Appena riconquistata la libertà infatti il ragazzo non aveva resistito alla tentazione di diffondere su TikTok il suo pensiero libero: “Ragazze… come faccio a uscire con tutte? Siete troppe”. O ancora: “Mi piace trasgredire. Donne = usa e getta”. E a suggello: “La galera è il riposo dei leoni”. Nel condannarlo in primo grado a 8 anni e 8 mesi, la pena più alta rispetto agli altri sei del branco (peraltro tutti maggiorenni), i giudici di Palermo hanno tenuto conto di questa inclinazione social-esibizionistica e hanno messo nero su bianco: “Lungi dall’impiegare – come avrebbe fatto un giovane realmente pentito – il proprio tempo a rimeditare sui propri (gravissimi) errori, l’imputato non aveva trovato di meglio da fare che intavolare sul social una serie di inquietanti conversazioni on-line coi propri amici”.
Qualche giorno fa il presidente della Corte d’appello di Catania, Filippo Pennisi, ha descritto il ricambio generazionale nelle cosche del capoluogo etneo rimarcando “le differenze culturali e comportamentali tra l’azione della ‘vecchia mafia’, improntata al rispetto di modelli tradizionali di condotta, e l’azione della ‘mafia giovane’, spregiudicata, irruenta, avvezza all’esibizione di status symbol sui social”. E dire che sino a qualche decennio fa il problema del web era soprattutto legato all’anonimato, alla maschera che nasconde, al velo che travisa. Ci eravamo rimbecilliti dinanzi alla figura, romanzata ma manco troppo, del mafioso visto come uno che dice di non esistere a uno che dice di non conoscerlo. Oggi, al contrario, è l’esibizione di uno status symbol a farsi trono e scettro. Il social network come lasciapassare per un mondo di reel dove nulla è real e dove le manette, al limite, sono solo un bug nell’unica narrazione che conta, quella dello smartphone.
I social nascondono una fascia sempre più ampia di giovani devianti o quantomeno con evidenti disturbi relazionali. Nessun controllo, scarse possibilità di perseguire eventuali reati (diffamazione, calunnia, molestie, body shamming ecc), quindi diventano una re) ale palestra (de)formativa.
ciao geri..leggo spesso il tuo blog anche perche’ e’ uno dei pochi blog personali ormai rimasti (…tutti su facebook!). solo ti chiedo, perche’ parli cosi’ tanto di argomenti pesanti e tristi come la mafia? per carita’, anche questo e’ importante, ma a lungo andare questo rende pesante la lettura per chi vuole continuare a seguirti..e non parlo solo di me ma anche di amici che leggevano il tuo blog.. hai tanti interessi, perche’ non parli anche un po’ di questi condividendo cio’ che per te nella vita e’ bello?
Beh, in realtà parlo soprattutto di altro: basti pensare che tra le pagine più lette di questo blog ci sono i diari dei miei Cammini. E poi il teatro, la musica, i podcast dove parlo di tutto, eccetera.
Insomma basta non fermarsi al primo sguardo.
Grazie comunque