Astorga

Alla fine di un viaggio come questo – 34 tappe di cammino effettivo per un totale di quasi 750 chilometri (deviazioni incluse) – il bilancio ecumenico annoia innanzitutto me, figuriamoci voi. Quindi niente. Preferisco dirvi cosa mi ha colpito e cosa mi resterà.

La Via de la Plata non è facile, l’ho trovata più impegnativa degli altri cammini: per il clima, per l’asperità dei luoghi, non per le distanze.
Il tratto dell’Estremadura è tosto come la regione annuncia già nel suo nome. I sentieri sono poco curati, i paesi spesso sperduti (meravigliosamente), gli animali ti circondano (anche qualche cane), le fonti d’acqua inesistenti. Si cammina in autosufficienza, con chili di scorte sulle spalle. E ti può succedere, ne sono testimone, di non incontrare mai nessun camminatore per settimane. Sei solo e devi essere pronto a essere solo.

Arrivati in Castilla y Leon le vie sono meglio segnalate e si incontrano cittadine con più servizi, del resto qui ci si congiunge con il Cammino Francese.
Dovunque vige il massimo rispetto per chi cammina. Se ti capita di percorrere tratti in comune con strade provinciali gli automobilisti, comunque pochi, segnalano che si sono accorti di te mettendo una freccia come a indicare un cambio di corsia (per prudenza si cammina quasi sempre sul bordo della corsia di sinistra in modo da avere l’auto che ti viene incontro, MAI ti deve arrivare alle spalle). Passano, se possono, a una distanza quasi esagerata e ti salutano: qui il viaggiatore a piedi è rispettato in modo assoluto, in fondo sei una risorsa economica. Nei centri abitati il “buen camino” è di ordinanza, come in tutti i cammini spagnoli e portoghesi. E poi la pulizia. Ogni santa mattina ho camminato su strade ancora umide, lavate e spazzate. Stasera mentre aspetto la cena, in una strada del centro c’è un operatore ecologico che raccoglie le cicche (gli spagnoli non usano portacenere, nel senso che lo devi chiedere e molti ti dicono qualcosa che assomiglia a un “futtitinne”): e non è un’eccezione. Insomma si sporca per un patto di istituzionale fiducia: sporco il giusto perché mi è consentito. E state lontani dai moralismi giacchè il sistema funziona alla perfezione: roba da rabbrividire per noi siciliani.

In quest’ottica non deve stupire un fenomeno che chiamo “interiorizzazione dei luoghi”. Non ti trovi sempre in posti belli e suggestivi. Ma tra i ricordi più forti che porterò con me ci sono anche lunghe sgroppate serali per cercare un bar in cui cenare, momenti nei quali l’angolazione del sole che cala, l’odore di un campo appena arato, il pensiero giusto che ti prende alle spalle, spettinano le sensazioni ordinarie. È così che un luogo non bello diventa all’improvviso indimenticabile.
Siamo ciò che avvertiamo, il resto è convenzione. E le convenzioni sono veleno per chi le usa come schermo, riparo.

Prima di chiudere questo lungo diario, mi piace ringraziarvi per l’inopinata attenzione con la quale mi avete letto, scritto, aiutato (ne ho parlato qui). Se ancora qualcuno si appassiona alle storie, se c’è una fiammella di curiosità diffusa, vuol dire che non siamo del tutto anestetizzati dal “friggi e mangia” di racconti senza racconto. Mi piace pensare, come ho imparato in questi anni di chilometri in solitudine, che siamo zaino e portatori di zaino Lo teniamo in spalla ma ci siamo anche dentro. Perché uno zaino è casa, e una casa è vita.

Chi ha mai viaggiato con uno zaino con dentro tutto tranne che le mura e il letto di casa, conosce il livello di amore e odio che si instaura con un manufatto del genere. Parliamo di una cosa che ti metti in spalla come una croce, che ti trascini come un peccato originale, che proteggi come un tabernacolo.
Per la maggior parte di quelli della mia generazione lo zaino è protesta, controcultura, passato che non ritorna. Per quelli che sono venuti dopo è perlopiù un attrezzo desueto, quasi da barboni o comunque una cosa poco pratica, poco igienica, da tenere nel ripostiglio.

Rivalutare lo zaino è un buon modo di aver maggior cura di noi stessi.

P.S. Non insignificante effetto collaterale della solitudine consapevole: in poco più di un mese ho letto sei libri (di cui due audiolibri e mi piace segnalare “Una vita tranquilla” di Giacomo Di Girolamo e Nello Trocchia).

21 – fine

Le altre puntate le trovate qui. Inoltre segnalo un podcast, intitolato Lento Pede, per tutti quelli che sono interessati all’esperienza di un cammino.

Di Gery Palazzotto

Uno che scrive. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

4 commenti a “L’importante è finire”
  1. E adesso, al rientro, ti ci vuole una bella camminata ristoratrice sulla sabbia di Mondello, da punta a punta.

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