Per capire l’idea di antimafia istituzionale di Maria Falcone basta leggere la motivazione con la quale è stato cancellato il commento di Salvatore Borsellino sull’account Facebook della Fondazione: “Da un’analisi dei nostri social media manager, il post in questione proveniva da un profilo con pochi follower, per questa ragione quel post è apparso non attendibile”.
Significa che da quelle parti il valore di un’opinione pesa in funzione del carico di consenso che c’è dietro, non del suo contenuto. Salvatore Borsellino è un’anima controversa del fronte antimafia alternativo (e già il fatto che ne esista più di uno, qualcosa di grave ci dice sullo stato delle cose) e in passato ha sposato idee dissonanti rispetto ai figli del magistrato assassinato. Ma ciò è poco importante al punto in cui siamo. Cos’ha scritto l’altro giorno Salvatore Borsellino sul profilo Facebook in questione? Ha semplicemente espresso una critica verso la Fondazione per aver detto che Pietro Grasso aveva fatto parte del pool antimafia: “Spero non siano queste le informazioni che date al Museo del Presente”, questo il commento.
Nulla di oltraggioso inconfutabilmente.
Solo che i social manager hanno ritenuto il suo account poco attendibile. Ergo il ruolo di critica, di analisi, la gestione del sofferto dibattito sull’antimafia, oggi, vengono gestiti da social manager, almeno nell’Alto Santuario dell’antimafia (di cui abbiamo parlato recentemente qui).
Ma non basta. Anche la maniera tranchant di attaccare alcuni protagonisti di una stagione complessa e sanguinosa ci dice qualcosa dell’idea assolutista della Fondazione. Liquidare Leoluca Orlando come “uno dei peggiori nemici istituzionali di Giovanni Falcone” è profondamente sbagliato (per me e per quelli che ritengono che la lotta a Cosa nostra riguardi tutti e non solo chi ha la Compostela rilasciata dall’Alto Santuario). La storia di Falcone e Orlando va letta tutta e con attenzione, e non è questo il luogo ideale di approfondimento (ci sto lavorando, ma su un altro fronte). L’attacco politico dell’ex sindaco di Palermo al magistrato fu ingiusto ma politicamente giustificato dal suo punto di vista. Piaccia o no (a me quella storia non piacque MAI) il diritto di un esponente politico di criticare anche aspramente un comportamento che riguarda la vita pubblica non è discutibile. Poi sulle prove nei cassetti Orlando aveva torto (che dire di Alfredo Galasso?) e Falcone era troppo avanti e troppo abile per sbagliare su un tema facile come Salvo Lima, ma questo – ripeto – non c’entra.
La presunzione con cui una parte dell’Antimafia si è incoronata “ufficiale” fa il paio con una certa benevolenza nei confronti del potere dominante. Infatti ora che Orlando è fuori dai giochi ci si può consentire di bacchettarlo come se fosse un moccioso rompicoglioni: “A lui, e solo a lui, chiediamo almeno per una volta – con rispetto ma con fermezza – un silenzio totale. Un silenzio dignitoso. Un silenzio dovuto. La memoria non si difende con l’applausometro”.
Scritto da chi per difendere gli applausi dai fischi ha spostato le lancette dell’orologio di una strage.