rear view of a silhouette man in window
Photo by Donald Tong

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

C’è un caso al carcere Cavadonna di Siracusa sul quale istintivamente verrebbe da sorridere. Sono stati vietati l’introduzione di abiti griffati e di cibi di valore come i gamberoni, e i detenuti si sono abbastanza risentiti. Il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria ha giustificato la circolare con l’esigenza di eliminare “posizioni di leadership e dinamiche di scambio illecito con ricadute pregiudizievoli sull’ordine e la sicurezza”. Uno pensa, ma guarda un po’ ‘sti carcerati che pretendono la scarpa di marca e l’aragosta per cena. Poi però intervengono due sentimenti contrastanti e il mood cambia. Da un lato la memoria per quel grottesco “Grand Hotel Ucciardone” in cui i boss pasteggiavano a frutti di mare e champagne, magari per festeggiare l’uccisione di un magistrato o semplicemente per mantenere un’allure di storta grandezza. Dall’altro la pena per le condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti in un paese civile, tra sovraffollamento e umiliazioni di vario genere.

È sempre bene ripeterci che il principio dell’uguaglianza non va mantenuto soltanto davanti alla legge ma dentro il sistema che quella legge impone e garantisce. Non sappiamo quanto disturba una camicia di marca in meno, però possiamo immaginare con mesta approssimazione quanto sia drammatico vivere dove tutto è frutto di sottrazione: spazio, libertà, dignità, futuro.
Eh sì, non c’è proprio nulla di cui sorridere.     

Di Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

1 commento su “Le loro prigioni”
  1. eh già…sottrazione dei più basici diritti e non mi mi riferisco alla mancanza di libertà, quella è insita nella pena detentiva, mi riferisco alla privazione della dignità umana…non mi dilungo perché ben conosciamo il sovraffollamento e quant’altro collegato all’argomento.

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