Come ho più volte scritto non sono uno che si strappa le vesti per l’indipendenza della cultura dalla politica: ma solo per realismo, per smetterla di intasarmi con pensieri molesti. Abolire il ricorso al manuale Cencelli in Italia è impossibile giacché la cultura del merito, il trionfo della specializzazione sono pratiche inconsulte (seppure non ancora proibite per legge). Quel che continua a colpirmi è la pervicacia con cui tutta la catena di personaggi che deve decidere le nomine in un teatro risulta totalmente estranea al mondo del teatro stesso. Nel senso che va bene l’indicazione politica (ce la facciamo piacere), va bene la divisione tra partiti (un direttore a te, un sovrintendente a me), va bene tutto. Ma nei consigli dei teatri (sempre di nomina politica) metteteci non dico un esperto, ma uno che in un teatro c’è entrato almeno una volta per vedere un cazzo di spettacolo vero, quindi esclusi convention di partito, manifestazioni culinarie a ingresso gratuito o saggi scolastici.
Il vero dramma è questo, altro che strepiti di indipendenza, raccolte di firme, petizioni online e via copiaincollando. Perché io o un artista o un tecnico devo essere giudicato da chi non sa nulla del mio lavoro? Perché in cima alla piramide ci deve stare uno che sta lì per grazia ricevuta? Perché il rito delle nomine e degli incarichi – tutte le nomine e tutti gli incarichi – non deve avvenire secondo buona creanza (chi ha fatto bene sta, chi ha fatto male se ne va)? Perché se oggi voglio lavorare devo andarmi a cercare un amico che ha le entrature giuste quando la sola idea mi fa rizzare i quattro peli che ho in testa?
Se non sono stato chiaro provo coi disegnini.
Ma… presumo ci sia un regolamento che determina la composizione del collegio che effettua la nomina, no? Allora il problema è a monte: che si riformi tale regolamento.
… neanche con i disegnini capirebbero!!!
Preciso meglio: occorrerebbe probabilmente, a livello regolamentare, anche stabilire dei criteri a cui dovrebbero rispondere i candidabili alle nomine. Certamente rimarrebbe un margine di arbitrio, per lo meno però si troverebbe – se non altro – un compromesso fra scelta politica e reale competenza del candidato.