Partire è un po’ smarrire

Da O Cebreiro a Triacastela.
Da Triacastela a Barbadelo.

Nei momenti di spostamento la nostra vita si sostanzia di sparizioni. Quante cose avete perso durante un trasloco? Ho un piccolo record. Molti anni fa mi capito, durante uno dei soliti naufragi della vita, di fare tre traslochi nel giro di sette mesi. Ebbene ci furono un paio di pantaloni e un paio di scarpe che apparirono dal nulla al primo trasloco (le avevo date per disperse da tempo), scomparvero al secondo, e riapparvero al terzo, ma misteriosamente una scarpa non si trovò più. Erano nella stessa scatola: un po’ come il delitto della porta chiusa. 

Durante i viaggi ho perso di tutto, molto difficili le riapparizioni, non impossibili le reincarnazioni: ho un prezioso portachiavi che rappresenta tutti i lucchetti opposti all’invadenza di chi scambia un abbraccio per un passepartout e che reincarna chi non voglio mai più incrociare. Ma perdere una cosa non è come vederla scomparire. È peggio, perché manca la componente metafisica del dissolversi, quella specie di aura magica che ci illude di vivere in un’illusione in cui lo spazzolino che c’era e non c’è più non è una iattura ma un segno del destino (i denti, i denti cosa ci vorranno tramandare…), e ci si rassegna all’autoflagellazione della manata in fronte: e che cazzo!

Vi dissi della bandana dimenticata, non vi dirò del cappellino comprato in sostituzione e smarrito qualche albergue dopo. E qui serve approfondimento. Una cosa è dimenticare, smarrire. Un’altra è capire che hai dimenticato quando è troppo presto per rassegnarsi e troppo tardi per rimediare: un limbo in cui sei comunque sconfitto e per di più con la consapevolezza di essere uno che la sconfitta se l’è cercata. Se perdo una cosa voglio accorgermene in punto di morte, quando non ho cartucce da sparare, non quando posso ipoteticamente mettere mano a un rimedio seppur fantascientifico. Dimenticare può essere taumaturgico se non s’affaccia l’ometto che ti sussura “te l’avevo detto io”.
Come le storie d’amore alle quali chiediamo di eccitarci come un’anfetamina o di nascondere un dolore come un analgesico.
Partire è un po’ smarrire. Il viceversa, se ci pensate, sarebbe una fortuna.

18 – continua

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

Un commento su “Partire è un po’ smarrire”

  1. Gery, non ci crederai… credo di sapere che fine ha fatto la scarpa che hai perso!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *