Lo confesso. Pur essendo un nemico del populismo, pur guardando con sospetto tutte le forme di nuova democrazia che ostentatamente viene dal basso (i 5 Stelle in tal senso sono stati una cocente delusione), mi piace molto quest’iniziativa della Global Sumud Flotilla. Perché mi sembra una forma ideale di dissenso nella vergognosa indifferenza della politica. Perché riecheggia una elegante nonviolenza alla quale i social ci hanno reso indifferenti, se non allergici. Perché il rimando più efficace – quello che almeno a me viene in mente – è quello al G8 di Genova quando ci dividemmo sull’opportunità di oltrepassare la “zona rossa” pur sapendo che la risposta delle forze dell’ordine sarebbe stata terribile. E sappiamo come finì.
Non è anarchia, ma consapevolezza.
Ne discutevo con un collega, l’altra sera, a proposito della nostra capacità di narrare i fatti. C’è un livello di mobilitazione, che sia di penna o di striscione, che a seconda delle fasi della storia può muoversi oltre i recinti delle norme e i diktat del potere. A patto che sia nonviolento e argomentato.
Leggo con disperato scoraggiamento i commenti di molti che irridono questi ragazzi che sulle barche vogliono sfidare il blocco di uno Stato che ha deciso di affamare il nemico, togliendo il cibo ai bambini, le medicine ai malati, colpendo gli inermi.
Le guerre si fanno tra eserciti o fazioni armate, che ci piaccia o no. Di guerre è fatto il nostro passato, che ha trovato la pace sulle macerie. Di guerre sarà il nostro futuro, che cercherà la pace tra i cadaveri.
Questo è il punto. I morti. I morti non solo si contano, ma si pesano. Quanto pesa una ragazzina morta di inedia? Quanto un neonato dilaniato da un drone? Quanto un gruppo di affamati in coda per un tozzo di pane?
Offendere i partecipanti a Global Sumud Flotilla significa offendere noi stessi e il nostro senso di partecipazione. Cosa fa per la pace PinoBoss341 che sfotte i ragazzi che su una piccola barca sfuggono per miracolo a un drone incendiario? Fa poco meno, in termini criminali, di chi comanda quel drone e disinforma un mondo che non chiede altro di ingurgitare verità alternative ai terribili dati di fatto.
C’è un genocidio in atto e se lo si nega, o si è Netanyahu o si è lestofanti o si è con gli occhi foderati di mortadella.
Siamo oltre i distinguo e le chiacchiere da bar (è nato prima l’uovo o la gallina? Hanno fatto peggio i tagliagole di Hamas o i macellai dell’esercito israeliano?)
Siamo alla derisione di una pacifica voglia di testimoniare, alla assurdità di scegliere deliberatamente il più sbagliato dei posti sbagliati della storia: quello in cui ci si schiera contro chi si batte, gratis, per recuperare un minimo della nostra dignità di esseri umani.
