Da Siviglia a Torre de la Reina

Doveva essere un primo assaggio, è diventato un esordio tostissimo. Per spiegarmi bene devo riprendere i fondamentali di una strategia che ho più volte illustrato. Quando preparo le tappe di un cammino mi baso su mappe, guide (mai online) e testimonianze dirette. Ma poi mi scontro con la realtà. L’esempio di oggi è illuminante.

Dovendo percorrere i quasi 23 chilometri – poi diventati 25 per una misteriosa moltiplicazione dei metri passo dopo passo – che separano Siviglia da Guillena, quasi tutti senza ombra e con pochi punti di rifornimento (e solo nei primi dieci chilometri), ho pianificato un pernottamento comodo: con aria condizionata soprattutto. Solo che a Guillena non ho trovato posto e ho prenotato a Torre de la Reina, un piccolo centro a sud est di Guillena. Quindi in teoria più vicino a Siviglia, anche se di pochissimo: per capirci, il mio itinerario quest’anno è da sud a nord. Insomma, secondo i miei piani, me la dovevo sbrigare con poco più di venti di chilometri: quindi ho calcolato l’acqua di conseguenza. Solo che c’è un dettaglio: il sentiero della Via de la Plata non mi ha consentito di fare la deviazione a est per via di una barriera orografica impenetrabile. Conseguenza: sono dovuto arrivare sino a Guillena per poi tentare di fare un lungo giro in modo da tornare indietro di sette chilometri. Sapete quanti sono sette chilometri sotto il sole e senz’acqua e con quaranta gradi fissi? Troppi.

Però a Guillena mi sono arenato nell’unico bar aperto, ho trangugiato d’un fiato un paio di bottiglie di acqua e, ripresa conoscenza, ho chiacchierato con tre spagnoli che bevevano cerveza con allegra disinvoltura. In qualche modo è venuta fuori la mia disavventura, forse traspariva direttamente dalla mia faccia stravolta, e a un certo punto uno mi ha detto: “Io abito a Torre de la Reina, ti do un passaggio in auto”. Indeciso se baciarmelo o danzare dalla gioia ho optato per la soluzione più igienica e decorosa: offrire da bere a tutti. Poi in macchina, l’allegro spagnolo mi ha spiegato che da quando si è sposato preferisce tornare a casa con un paio di birre all’attivo, così per produrre anticorpi (testuale). Non ho approfondito, mai farlo quando si è vissuto abbastanza da permettersi di non giudicare ciò che ci sembra evidente. 

Questa prima parte di cammino è talmente rovente da giustificare il fatto che gli spagnoli ti servono il vino rosso freddo: neanche nei miei incubi più terrificanti mi sarei sognato di sorseggiare un tinto del Duero a 8 gradi. Eppure stasera mi sembra meraviglioso, come la cura con la quale una signora cucina praticamente solo per me (e altre due persone) in un ristorante che sorge intorno a un condizionatore che pompa fresco benedetto dal Signore. Ha cucinato chiedendomi il timing preciso (“tra quanto?” dopo l’insalata e l’aperitivo di olive, cipolline e carote sott’olio?) uno dei piatti più gustosi che abbia mai mangiato: Revuelto Cortijero, uno sformato di uova, patate, prosciutto e salame al quale dedico la foto di questo post a futura memoria. Se è vero che siamo chi siamo stati, è vero che io in un paradiso delle anime dannate per ingordigia e lussuria sarò anche questo sublime Revuelto.

Cercando di trarre da questa giornata un succo che non sia solo sudore e consolazione culinaria, dico che c’è in queste esperienze qualcosa di magicamente antico che non ha nulla a che vedere con lo spirito di avventura, ma con un influsso più complesso e intimo. È la nostra capacità di sorprenderci che si risveglia, c’è il ridimensionamento del nostro poter risolvere tutto con un clic, c’è il gusto per il tempo (libero?) che scorre non inutilmente. Ogni passo, ogni goccia di sudore, ogni imprevisto (entro un range di sicurezza blindato), ogni traguardo minimo foss’anche una cena solitaria con un libro tra le mani (io ho ovviamente il maestro King), è il premio migliore per chi non cerca altro che un posto in cui voler essere, in quel momento preciso, e c’è. E gli basta. Ti basta. Anche col caldo che ferisce la terra sotto i piedi, anche se sbagli strada e nel corso di una giornata non hai incontrato nessuno-ma-proprio-nessuno che faceva il tuo sentiero, anche se ti tocca il vino rosso freddo di frigo. E ti sembra buonissimo.

2 – continua

Di Gery Palazzotto

Uno che scrive. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

1 commento su “E ti basta”

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