Da Villanueva de Campeàn a Zamora
Da Zamora a Montamarta

I viaggi della nostra vita non sono solo viaggi di panorami, di storia/e, di esperienze. Sono anche viaggi di persone. Soprattutto quando – ed è il mio caso – arrivi ogni giorno in un posto nuovo. Nei cammini non ho molta voglia di socializzare durante la marcia quotidiana (il pericolo stalker c’è sempre) ma all’arrivo capita di fare conversazione nelle occasioni più disparate. Mentre stai prendendo una cerveza al bar, per cena o, più di frequente, con i proprietari dei B&B in cui alloggi. Oggi sono arrivato nella vivienda (letteralmente abitazione) che avevo prenotato e mi è venuto incontro un anziano signore: mi aspettava davanti alla porta preoccupato perché non avevo risposto ai suoi messaggi (ero alle prese con 18 chilometri di sole e il telefono era l’ultimo dei miei pensieri). Mi ha accolto con un succo di frutta e ha cominciato a parlare in uno spagnolo per me incomprensibile. A un certo punto mi ha chiesto se conoscevo l’inglese e io, tutto contento, ho detto: sì! 
E lui: io no.

È comparsa la moglie di un’età indefinita ma con una caratteristica che mi è apparsa più che evidente: non parlava e non capiva niente di quello che ci stavamo dicendo. Il che se da un lato insinuava in me il sospetto che manco lei riuscisse a decrittare le parole del marito, dall’altro accresceva il senso di straniamento. 

A un certo il punto, il colpo di scena: l’uomo ha indirizzato un bisillabo alla moglie e lei è tornata con uno smartphone. Lui ha aperto Google Translator. Si è incazzato perché il traduttore non rispondeva quindi ha afferrato il mio telefonino e mi ha chiesto la app di traduzione. Ho obbedito e ha cominciato a raccontarmi la sua vita. Mi ha detto che prima avevano una posada con cucina, che poi sono andati in pensione, che lui coltiva i campi che sorgono tutto intorno a quel nulla in cui ci troviamo, che la vita è sempre più difficile, che la vecchiaia fa schifo. E che siccome gli sono simpatico la colazione domani me la avrebbe offerta: la farò con loro.

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E così tutto lo straniamento è svanito. Non importa più che la doccia ha un rubinetto che prevede acqua caldissima o fredda senza una posizione intermedia, che il wi-fi qui non esiste così come l’aria condizionata, che la dotazione è di un sapone per tutto il lavabile, che il bar-ristorante più vicino, l’unico, è a un chilometro e mezzo (a parte la stazione di rifornimento a 200 metri che vende solo acqua e birra). 

D’improvviso mi è venuta in mente una storia (leggetela con calma se avete qualche minuto libero) una delle tante, di tre anni fa sulla via Francigena. Una storia che ci dà un’idea, se mai ce ne fosse bisogno, che le apparenze sono una fuorviante perdita di tempo.

Infine, dopo avermi mostrato i campi intorno in cui adesso sta coltivando patate e in cui a ottobre farà grano, si è presentato. 
“Il mio nome è Santiago, come il santo”.
Piacere di averla incontrata, Santiago.
Ci siamo stretti la mano, il traduttore muto.

18 – continua     

Le altre puntate le trovate qui. Inoltre segnalo un podcast, intitolato Lento Pede, per tutti quelli che sono interessati all’esperienza di un cammino.

Di Gery Palazzotto

Uno che scrive. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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