Il tratto fisico e la variante buon gusto

Da El Burgo Ranero a Leòn.

In alcuni dei miei Cammini ci sono stati momenti in cui spinte di cronaca estranea ai miei passi, pochissime a dire il vero, hanno condizionato le mie scelte strategiche. Che so, ricordo la famosa tagliata di faccia di Conte a Salvini nel 2019: ero nel Cammino del Nord e grazie a un itinerario in cui c’era copertura telefonica riuscii ad ascoltare lo scontro al Senato: meglio di un film. Oggi c’era la finale del volley femminile alle Olimpiadi e sono riuscito a seguirla grazie a un intricatissimo (credetemi) sistema di orari di partenze e spostamenti di tappa. Perché comunque è vero che una delle attrattive di queste esperienze è il ritiro da tutto e il sottrarsi dal tran tran, ma è anche vero che per via di un mestiere e di un’indole ci sono cose che ci interessa seguire e che non vanno sacrificate per partito preso.
Non vi dico come e dove ho visto la meravigliosa finale di oggi. L’importante è stata viverla con tutti gli elementi di una vera festa: la gioia, l’orgoglio, il significato.

In questi giorni di fatica mi è spesso tornato in mente il concetto di “tratto fisico” di cui ancora ieri il solito Vannacci andava vagheggiando. E ci ho pensato per vari motivi. Innanzitutto perché la fatica cambia i nostri tratti somatici: ne ho conferma ogni volta che incappo in uno specchio dopo 25-30 chilometri sotto il sole. Poi perché muovendomi per un paese multiculturale come la Spagna ho modo di godere lentamente del mix di colori e tradizioni. Infine perché il Cammino Francese è un crogiolo di lingue e culture incredibile. Negli ultimi giorni ho cenato con americani, chiacchierato con francesi, scherzato con coreani e il succo del discorso era sempre lo stesso: trovare concetti che uniscano, che sia cibo o passione sportiva. È un atteggiamento che, lo confesso, tengo con parsimonia dato che, come ho più volte detto, preferisco il viaggio in solitaria. Del resto straparlo abbondantemente nei restanti undici mesi dell’anno, trenta giorni a regime vocale ridotto fanno bene tanto allo spirito quanto alla laringe.
Però mi pare interessante che il “tratto fisico” abbia perso negli anni la sua finta valenza rappresentativa almeno nei paesi civili. Perché, diciamolo, è un elemento di distrazione, una gran perdita di tempo. Ve li immaginate i leghisti più retrogradi censire i punti fatti ieri sul campo di volley dalle atlete bianche e sbattersi la testa al muro perché i conti non tornano?

La verità è che tra storia e narrazione c’è un abisso e i fascisti di ogni epoca pretendono che la prima si inchini alla seconda. Churcill puntava al Nobel per la pace e, quasi contrariato, si trovò a vincere quello per la letteratura. “Alice nel paese delle meraviglie” doveva essere una favola per bambini e invece fu un gran romanzo lisergico, per di più scritto da un matematico sotto pseudonimo (ne parlo in “1979”). In “Willy il coyote” per la prima volta in un cartoon il vero eroe è un perdente che perpetua la sua sconfitta. E così via. Il “tratto fisico” come metafora della scontatezza, della versione preconfezionata, dell’offesa al genio dell’uomo che sia poeta o sportivo, avvocato o poliziotto, martello o chiodo. Per quel che ho capito della vita, pochissimo, il dipanarsi del nostro tempo libero è una buona palestra per i muscoli della nostra narrazione. Senza nulla togliere alla beatitudine dell’ozio e al gusto del buon vivere (che è uno dei concetti più relativi che si possano tirare in ballo in quest’ambito) le cose che sembrano superflue riescono alla lunga a risultare fondamentali.

Non mi stanco di ripeterlo. Viaggiare a piedi è un discreto modo per esercitarsi in concetti semplici ma cruciali. Tipo che essere tutti uguali è giusto, ed essere tutti diversi è divertente (scoprire che non sono concetti alternativi è illuminante). E che dichiararsi liberi è una cosa facile da far male, come la pasta aglio e olio. Lo insegna ancora una volta il Cammino dove i passi vanno misurati, preparati responsabilmente.
Non c’è libertà senza responsabilità.

Nella foto, un murales di Sahagùn, una cittadina a metà tra il molto pittoresco e l’abbastanza scarso.

13 – continua

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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