La tendenza della Sovrintendenza

Leggo su Livesicilia che la Sovrintendenza ai Beni Culturali ha chiuso le porte del teatro greco di Taormina allo spettacolo di Marco Travaglio “Promemoria”. Motivo? Ci sono dubbi sulla validità culturale dell’evento.
Dubbi che non sussistono per “Del mio meglio – live” di Giorgio Panariello, programmato per il 31 luglio.
Forse Travaglio più che cantarle dovrebbe semplicemente cantare.

Un uomo colto. Sul fatto

Non amo particolarmente Marco Travaglio, ma il suo numero su Dell’Utri (di Annozero della scarsa scorsa settimana) è stato molto efficace.

Travagli e Travaglio

Su la7 è in onda una puntata di Otto e mezzo dal titolo nelle intenzioni provocatorio: Travaglio e il giornalismo ad personam.
Trovo che un guaio di questo Paese non sia il giornalismo ad personam, ma quello ad aziendam (perdonate il truce latinismo, però così ci capiamo).
E io non sono un fan sfegatato di Travaglio: mi piace, ma con moderazione e con molte eccezioni.

Facci, Travaglio e la finta democrazia

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Avvertenza per i lettori. Questo post è un po’ più lungo del solito: mi scuso.

Nel weekend appena trascorso ho assistito a un singolare fenomeno che ci dice molto del web, dell’informazione e soprattutto dei navigatori (nella fattispecie palermitani).
Sabato ho linkato un articolo di Filippo Facci su “Travaglio e il travaglismo” e non ho aggiunto alcuna opinione personale, anzi ho specificato che preferivo non dare alcun giudizio per non influenzare i lettori.
Il post è stato ripreso da Tony Siino su Rosalio che lo ha accompagnato, maliziosamente, con una nota personale.
Il programma prometteva bene. C’era solo da ragionare sulla teoria di Facci.
Travaglio è vittima di un doppiopesismo che altera la sua visione della cronaca?
Se non si è del Pdl esiste un altro modo di vedere la realtà politica italiana che non debba necessariamente passare attraverso il filtro del suddetto Travaglio?
Bella discussione, tosta, divertente.
Invece niente.
Prima di proseguire è giusto che, per chiarezza nei confronti dei più distratti o di chi si avvicina a questo blog per la prima volta, illustri brevemente la mia posizione sui protagonisti della vicenda.

1) Seguo Marco Travaglio con interesse e ne ho condiviso alcune ragioni.
2) Ritengo che il magistrato Antonio Ingroia svolga un ruolo importante nella lotta contro Cosa nostra.
3) Cerco di non lasciarmi ingannare da tesi precostituite. La migliore domanda, dovrebbero insegnarlo al catechismo, è quella che ancora bisogna porsi.
4) Leggo Filippo Facci pur non condividendo le sue opinioni. Però lo seguo con una certa assiduità perché nella vita non c’è niente di più interessante che indagare il pensiero opposto. Accodarsi comodamente alle opinioni dei sodali è noioso: solo uno come Berlusconi non lo capisce.

Quest’ultimo punto è il più importante nella storia che vi sto raccontando (e una volta tanto non mi riferisco a Berlusconi).
Lasciatemi essere prosaico: leggere e discutere ciò che è lontano (o sta fuori) dal nostro cerchio di opinioni è la migliore occasione di crescita intellettuale che ci sia data. E il miracolo di internet sta proprio nell’amplificare questa possibilità.
Se potessi, leggerei ogni giorno cento, mille articoli di Facci e compagni proprio perché se non è la similitudine a fertilizzare il nostro orticello di idee, sarà il contrappasso a far sì che uno si incazzi, un altro ci pensi su, un altro ancora si cimenti in una teoria concorrente. E’ l’antica magia della discussione, del dibattito ad armi pari, della sana polemica.
Invece niente.
Il link all’articolo in questione si è risolto in una congerie di ruttini anonimi: chi ha linkato? E perchè? E cosa ci sta dietro?
Ve lo dico io chi, perché e cosa ci sta dietro.
Ho linkato io, perché sono un tipaccio curioso e mi piace condividere spunti e provocazioni. Li considero regali. Come un’edicola virtuale: oggi io metto queste pagine, divertitevi pure, incazzatevi, gioite, comunque ragionateci sopra.
Invece niente.
Soltanto in pochi sono riusciti a rimanere in tema, convinti o meno dalle tesi di Facci.
Gli altri, esclusi i ruttatori anonimi di cui si è detto, sono finiti nelle trappole più banali:  chi tocca Travaglio muore per un’esecuzione senza argomentazioni; chi vuol restare comodo critica Facci anche senza leggerlo.
Tutto ciò mi convince sempre più del fatto che il nemico peggiore di internet sia la sua finta democrazia. Finta perché illude che le opinioni e le non opinioni debbano avere tutte lo stesso rilievo.
Non è così.
Nel libero scambio di pareri si devono fissare dei limiti, una sorta di netiquette neuronale,  oltre i quali non è consigliabile andare.
La stupidità è un’emergenza mondiale e non ha nulla a che fare coi confini geografici (anche se ho il tremendo sospetto che dalle mie parti ci sia un carattere dominante aggrappato a un gene molto diffuso).  La stupidità non ha legami di parentela coi titoli di studio, è figlia della codardia (leggi: anonimato) e della supponenza (leggi: avanzare ipotesi offensive).
Il caso Facci-Travaglio  è un esempio che vi invito a ricordare: un’ottima occasione di discussione accesa e feconda ammazzata dall’ignoranza più pericolosa, quella di chi giudica senza (sognarsi di) leggere, sapere.

I loro errori

travaglio il fatto

Scrive Marco Travaglio che Il Fatto Quotidiano è l’unico giornale italiano ad avere una rubrica dedicata alle rettifiche, intitolata “I nostri errori”. In realtà il Giornale di Sicilia da oltre vent’anni ha una rubrica dedicata alle rettifiche e intitolata proprio “I nostri errori”.  Poco male, in questo caso Travaglio ha incrementato quella del suo giornale.

E’ qui la Blogfest?

Blogfest

Alla Blogfest di Riva del Garda, la maggiore adunata italiana di internettiani travestiti da umani, trionfano i giornalisti: Marco Travaglio, Sandro Gilioli, e altri sotto mentite spoglie.
A una prima analisi si potrebbe dire che nel web quel che premia è il contenuto, oppure la protesta (sia Travaglio che Gilioli lavorano per la sinistra). O, come dice il mio amico Tony Siino, che la marmaglia (la definizione è mia ma ne sottende una sua, di uguale valenza) si è definitivamente spostata sui social network. Ergo, i chattisti perditempo vanno su Facebook, mentre sui blog si discute di cose più serie.
Comunque un’analisi non esclude l’altra, in un dilemma che sembra non conoscere sollievo.
Poi vai sul sito della Blogfest, provi a capirci qualcosa e ti riappacifichi con te stesso, sani i tuoi dubbi, torni al tuo orticello di finte certezze.
Infatti nel sito ufficiale della manifestazione ufficiale del più ufficiale sistema di cultura e informazione non ufficiali, scopri che il linguaggio e l’approssimazione sono quelli di un bando della gazzetta ufficiale. In soldoni, non si capisce un tubo.
Gli internettiani travestiti da umani prima o poi devono soccombere davanti alle inarrestabili pulsioni degli umani travestiti da internettiani (che sono ancora la maggioranza).
Alla Blogfest trionfano i giornalisti perchè hanno ancora quel minimo di analogico che li avvicina all’inconcludenza compiuta di un atto semplice: cercare un’informazione, trovarla, spiegare, pretendere di essere chiari. Come sfogliare il vecchio Tuttocittà, consultare la Treccani dalle 48 agili rate, inviare una cartolina ai genitori.
Tutto il contrario del finto modernismo di www.blogfest.it, dove i cinquantenni cinguettano fingendosi ventenni e i ventenni cinguettano altrove.

Il sole dell’avvenir

Debora Serracchiani

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Qualche tempo fa l’ormai necessario Marco Travaglio così chiosava, più o meno, in uno dei suoi interventi video sul blog “Voglio scendere”: “Berlusconi forse cadrà per una escort, ma ho l’impressione che, come al solito, salterà fuori un salvagente rosso pronto a salvarlo. E’ successo ogni volta che il cavaliere ha rischiato il tracollo: c’è sempre stata una croce rossa di sinistra che gli è accorsa in aiuto, risollevandolo per il rotto della cuffia”.
Non so se Travaglio si riferisse all’inveterata passione per il “facciamoci del male” della nostra opposizione (che tale è rimasta, anzi opposta a se stessa, anche quando le è capitato di essere maggioranza). Probabilmente sì. O probabilmente accennava a scenari ancora più oscuri, kafkiani, sui quali preferisco sorvolare, per ignoranza storica e ingenuità politica (sono un piccolo stagionato Serracchiani anch’io?).  Ma una cosa è certa: il “facciamoci del male” del Pd (ex Pci? ex Quercia? Ex Veltroni team? Ex che cosa? Ex chi più ne ha più ne metta, visto che se ne è perso il conto) è un dato di fatto. Per il semplice motivo che nessuno, a sinistra, fa nulla per nasconderlo. Anzi, se ne fa splendida esibizione appena si può. E con un tempismo, un gusto per la precisione, che farebbe invidia a una squadra di circensi bulgari alle prese con birilli e bottiglie e patate bollenti.
L’ultima trovata del “pasticcionismo” dell’opposizione è lo scisma Franceschini/Bersani in previsione del consolidamento di un partito che ha ancora la consistenza di un ectoplasma. Viene da dire: che c’è di nuovo? Nulla. O meglio, impressiona, ancora una volta, il masochismo a orologeria di questa gente. Il talento senza pari nel fare la mossa più sbagliata al momento giusto (per la maggioranza). In un’Italia che si sta spostando sempre più verso il voto di protesta (lo testimoniano gli exploit di Idv e Lega alle ultime europee);  in un paese che sta lentamente, dolorosamente, sostituendo i fischi agli applausi; davanti a una popolazione che comincia a boccheggiare, in debito d’ossigeno, invocando maggiore dignità in chi governa o andrà a governare, il Pd litiga ancora una volta sui busti da presentare, sulle tradizioni da rispettare, sulle identità da conservare e quelle da mettere nel dimenticatoio. Sulla gestione del potere che ancora non ha, insomma. Con l’aggiunta di un capro espiatorio, stavolta. Quella Serracchiani che, colpevole di una battuta infelice e innocente (“Sostengo Franceschini perché è simpatico”) è stata subito declassata a quasi-Noemi. Massacrata e avvolta in un sudario di bandiera rossa dal “vecchio” che non solo non avanza, ma sta fermo lì dov’è, monolitico, accidioso, indifferente al mondo che gira intorno.
Il sole dell’avvenir splende solo nei canti di piazza. Nel Pd, pare che faccia male agli occhi dei più anziani.

Giornali, disastri, offese

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Pagine dedicate ieri da la Repubblica al disastro di Viareggio: 11

Da E Polis: 4

Dal Giornale di Sicilia: 2,5

Prezzo in euro di una copia de la Repubblica: 1

Di E Polis: 0

Del Giornale di Sicilia: 1,10

Direttori del Corriere della Sera dal 1984 a oggi: 7

De la Repubblica: 2

Del Giornale di Sicilia: 1

Prenotazioni per l’abbonamento al Il Fatto, il nuovo giornale di Padellaro e Travaglio: 40.000

Copie vendute ogni giorno in media da Il Foglio: 20.000

Da Dolomiten: 50.000

Da Libero: 119.000

Firme finora raccolte da la Repubblica contro il provvedimento governativo ammazza-intercettazioni: 280.000

Deputati favorevoli al provvedimento (in sede di approvazione alla Camera): 318

Deputati contrari: 224

Data dell’ultimo comunicato stampa inserito nel sito di Diego Cammarata: 16-5-2007

In quello di Leoluca Orlando: 23-6-2009

Quante volte l’ex senatore di An, Nino Strano, ha ripetuto la  parola“cesso” a Palazzo Madama per apostrofare il collega dell’Udeur Nuccio Cusumano: 6

Quante volte ha ripetuto la parola “checca squallida”: 6

Quante volte ha ripetuto la parola “merda”: 4

Quante volte ha ripetuto altre parole di offesa di simile tenore: 9

Durata complessiva dell’attacco di Strano a Cusumano (in secondi): 70

Probabilità che ai siciliani venga evitato di trovarsi Strano come assessore regionale (alla Cultura): 0

Fonti: la Repubblica, E Polis, Giornale di Sicilia, l’AnteFatto, Ads (dati di vendita dei giornali riferiti al 2008), Wikipedia, Camera dei deputati, Diegocammarata.it, Leolucaorlando.it, YouTube, Striscia la Notizia.

Speriamo bene

Marco Travaglio annuncia la nascita di un nuovo giornale, Il fatto, diretto da Antonio Padellaro.

Grazie a Tony Gaudesi.

Cristina del Grande Fratello

Impazza sui giornali e sul web una tale Cristina del Grande Fratello. La signorina in questione – ho appreso per meri motivi di lavoro – è una studentessa universitaria che si è fatta le ossa con la lap dance in una borgata del Comasco e che, stando alle indiscrezioni, punta ad ottenere un’ottava di reggiseno (al momento dichiara una sesta collaudata). Ci sono almeno tre motivi per cui ritengo che la concorrente del più importante reality show del pianeta abbia tutte le carte in regola per diventare un personaggio dominante della televisione italiana.
Primo, ha rinunciato al cognome nel segno della migliore tradizione della tv trash: si è qualcuno in funzione del recinto in cui si pascola. Che importa l’anagrafe quando un telecamera spia cambi di mutande, confessioni sul livello di porcaggine, spunti di aggressività, esercizi di libera e orgogliosa ignoranza?
Secondo, la rivelazione di una doppia vita (universitaria e figlia modello dell’operosa provincia italiana di giorno, agitatrice di culo e provocante accompagnatrice di notte) è un titolo onorifico nell’etere italico: più di una tripla laurea, un corso di cucina con Giovanni Rana e un master di consapevolezza politica con Marco Travaglio messi insieme.
Terzo, l’esplicita ammissione della propria sessualità famelica (onnivora?) la pone, nello scenario politico attuale, in una posizione di privilegio: le bonazze, meglio se anche un po’ troie, sono benvolute dal nostro esecutivo e tutelate al pari di monumenti nazionali.
Durante una recente vacanza in Francia mi sono ritrovato a fumare una sigaretta all’aperto (temperatura – 15) con un danese ubriaco. Esauriti i convenevoli sull’aspetto pittoresco del mio paese (arte, clima, spaghetti e mandolini) il tizio mi ha rivolto la seguente domanda: “Perché in Italia tutte le donne in tv sono smutandate e con le tette al vento?”.
Per fortuna, al momento di rispondere, le sigarette erano esaurite e lui, a maniche corte, cominciava a sentire un certo fresco. Siamo rientrati e sono riuscito ad eclissarmi.