two silver chess pieces on white surface
Photo by Sebastian V.

Liquido in poche righe e qualche link il mio rapporto col disturbo ossessivo compulsivo (qui ne ho parlato in modo più completo, ma anche qui qui e qui ho accennato agli effetti più curiosi) perché comunque la vita di chi ha questo tipo di “modalità operativa di pensiero” è un po’ diversa rispetto a quella degli altri. La premessa serve perché c’è un video di Chris Martin che mi ha suscitato alcuni pensieri.

Non ho mai sofferto di depressione perché la mia biologia (questioni di serotonina e altre cose noiose) mi fa viaggiare verso altri lidi, non sempre più tranquilli. Però non mi lamento.
Tutti quanti abbiamo momenti difficili e ognuno ha la sua ricetta per superarli o per cedervi con minor danno possibile. L’errore più frequente quando si parla di queste difficoltà è derubricare tutto a questioni economiche. Della serie, ma Martin con tutti i soldi che si trova in banca quali problemi potrebbe mai avere?

Invece la depressione, come tutte le altre patologie, è democratica: non guarda in faccia nessuno e se ne fotte del censo, della razza, della religione, se sei bello o brutto, eccetera. Al contrario della cura, la cui gestione risente delle possibilità economiche: un ricco può avere accesso a rimedi medici e scientifici ai quali un povero nemmeno può avvicinarsi. Ma spesso la cura non è la formula magica per riprendersi perché in molte patologie psichiatriche il ruolo del paziente stesso è fondamentale: e lì torniamo alla democrazia della malattia.

Se non mi intendo troppo di depressione, sono però abbastanza esperto di altri buchi neri. E negli anni mi sono stupito nel saperli colmare, non già illuminare giacché è bene che restino bui, ma riempire sì.
Uno dei campi più complessi e, credetemi, entusiasmanti è quello della gestione delle sconfitte.
Come perdo io, nessuno.

Spiego brevemente la mia tecnica e mi perdonino gli psicologi (anche se è proprio una bravissima psicologa che negli anni mi ha dato l’opportunità di perfezionare questa mia arte del recupero).
Innanzitutto non mi perdo in troppe analisi a posteriori. Se ho perso, so bene perché è accaduto: inutile amminchiarsi in se e forse. Invece sfrutto un mio difetto per superare il momento di rabbia e delusione: la mia vocazione al solismo. L’essere solista ti dà molti problemi, soprattutto nel lavoro di squadra e questo è ovvio. Ma ti dà anche una marcia in più quando ti ritrovi con le ruote sgonfie.

Sei abituato a essere un numero uno, non nel senso di primato, ma in quello di numero dispari. Se fidandoti di qualcuno sei caduto in trappola, è possibile che da solo tu possa trovare la rincorsa giusta. Non è detto che funzioni, ma il solo pensiero che comunque la situazione sia tra le tue mani e non in quelle di altri, ti dà un certo sollievo.
Poi, diciamocelo, saper sbagliare da soli è una raffinatezza che ti strappa un sorriso anche quando sei con le pezze al culo.

Ripeto spesso che sono uno fortunato. Faccio un lavoro per il quale mi meraviglio che mi paghino (infatti ogni tanto qualcuno tenta di darmi la soddisfazione di farmi scrivere gratis), ho amicizie solide e antiche, sto tutto sommato bene, invecchio quanto basta per uscire dall’ipocrisia di considerare belle le rughe (invecchiare mi fa schifo ma, come si dice, l’alternativa non è migliore), campo con poco perché poco ho seminato e altrettanto ho disperso. Progetto, pianifico, sogno nuovi errori, sempre più divertenti ed eccitanti.
Ecco, il mio antidoto alla depressione non è saper perdere – perdere è brutto come invecchiare e, se ci pensate, l’invecchiamento è di per sé perdita –  ma dimenticare. Sono un buon cancellatore, un terminator del sentimento, sia esso amore o odio, nostalgia o speranza.
Se qualcuno mi ha fatto male, ne celebro un rapido funerale nel mio cuore o in altro organo appropriato (dipende da cosa il defunto ha ferito): manco una preghierina, niente lapide, direttamente nell’ossario e via andare. Amen.
Compito per tutti, rivalutare la delusione: crediamo che ci rende ciechi, invece ci indica una nuova strada.

Di Gery Palazzotto

Uno che scrive. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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