L’esperimento

Esperimento. Accendete il televisore e azzerate il volume. Accendete il computer e azzerate il volume. Poi accendete la vostra musica e alzate il volume.
Le notizie, le immagini, gli stimoli ordinari avranno un impatto molto diverso. Se non l’avete già provato, fatelo. E’ l’atto di autodifesa più civile che conosca.
Poi se volete qualche consiglio per la compilation non avete che da chiedere…

Diabolik in tv

Diabolik è stato uno dei fumetti della mia infanzia (con Alan Ford e il gruppo Tnt). L’idea di una serie tv a lui dedicata mi incuriosisce perché Mission Impossible potrebbe essere nulla al confronto. Vedremo.

Fermate Barbara D’Urso

A Pomeriggio cinque questo pomeriggio si è celebrato l’ennesimo rito tribale della cronaca gestita come uno spettacolo circense, con Barbara D’Urso e nientepopodimenoche Alessandra Mussolini a dibattere, tra urla e pianti, con la madre del bambino conteso.
Il problema, al contrario di quel che si possa pensare, non è il contenuto ma il contenitore.
L’emergenza umanitaria della televisione italiana dei nostri tempi è infatti la fascia pomeridiana, durante la quale programmi di intrattenimento diventano spazi di informazione gestiti con una profondità di vedute da avanspettacolo.
Lasciare nelle mani di Barbara D’Urso – ma anche di Mara Venier  – la libertà di porgere notizie, approfondirle senza alcun controllo di testata, è un atto che toglie legittimità alle redazioni e attendibilità alla rete.  Eppure tutto si spiega con un’atroce regola moderna: la televisione urlata è quella che ha più fortuna, lo scoprì vent’anni fa Maurizio Costanzo con Vittorio Sgarbi.
Ho già scritto cosa penso di quella che un tempo era la tv dei ragazzi e non ho ancora un’età che giustifichi rimpianti a 360 gradi.  Però ritengo che Barbara D’Urso et similia non possano raccontare l’Italia che cambia, ma al massimo recensire il guardaroba di una starlette o blaterare degli amorazzi di una gieffina.
Prima possibile una contraerea della ragione dovrà entrare in azione: prima che la tv del finto dolore ci imponga finte esistenze con finti sentimenti e finte soddisfazioni.

Una tv come si deve

Non è vero che la tv è tutta spazzatura o fuffa. Ho scoperto – purtroppo da poco, lo confesso – che il National Geographic Channel fa programmi di altissima qualità. Non i soliti documentari. In questo periodo, ad esempio, consiglio di non perdervi i documentari sul centenario del naufragio del Titanic: sono (mi si perdoni il velato ossimoro) mini-kolossal  dell’intrattenimento garbato, spettacoli da centellinare per la perfezione dei dettagli. Tra la volgarità ostentata dei reality e quella subliminale dei soliti raccomandati che si improvvisano geni della tv, quella del National Geographic Channel è una televisione da manuale: racconta con dovizia di particolari, diverte senza effetti speciali, addirittura informa. E c’è chi la guarda, pensate un po’.

Cicogna, vola altrove

L’altra sera, sempre per via della terribile influenza, ho visto per la prima volta “Wild Oltrenatura”, su Italia 1. Il programma è una via di mezzo tra una raccolta di video truculenti, con leoni che azzannano guardiani di zoo e squali che staccano gambe a bagnanti incaute, e un’ostentazione di finte prove di ardimento della conduttrice Fiammetta Cicogna.
Il risultato è osceno. I filmati choc sono in tutta evidenza paccottiglia raccattata nei circuiti televisivi internazionali (soprattutto americani, dove questo genere va ignobilmente forte) e basterebbero da soli per far crollare il programma. Il peggio arriva con gli interventi della conduttrice che lasciano allibiti: c’è una finta missione da compiere, con finti pericoli, con una finta eroina (la Cicogna), con una finta regia che presuppone finti telespettatori.
Dalle battute pronunciate esattamente come in una recita scolastica, alle situazioni inverosimili il programma è un crescendo di insulsaggini come raramente mi era capitato di vedere.
L’altra sera questa tale Fiammetta Cicogna doveva scendere da un’imprecisata vetta delle Dolomiti e, tutto in un respiro, ha urlato alla camera, è saltata dall’elicottero, ha sorriso, si è fatta calare con la corda da un dirupo di un paio di metri, ha finto di cadere, ha sbuffato, ha porto i vestiti a un tale che si faceva il bagno nudo nel ghiaccio, ha sorriso, ha costruito una slitta in un minuto e mezzo, ha urlato alla camera, ha ricavato una canna da pesca da un ramo e una piuma d’uccello, ha mangiato legno macerato nell’acqua, ha dormito all’addiaccio, non ha fatto colazione, ha sorriso, ha pescato una trota, ha perso l’acciarino, ha urlato alla camera, ha mangiato la trota cruda (compreso l’occhio), ha sbuffato, ha sfidato un lago ghiacciato con voce tremante, ha digerito la trota, è arrivata a destinazione, ha sorriso, il tutto senza mai scombinarsi i capelli.
Insomma l’unica prova estrema di questo programma è quella richiesta allo spettatore, che deve cercare di non lanciare il telecomando contro il televisore.
E poi altro che Oltrenatura.
Contronatura, signori, contronatura.

Il quiz contro l’insonnia

Tra le pochissime cose che guardo in tv ci sono i quiz del tardo pomeriggio. Quest’anno mi era piaciuto “Avanti un altro”, molto più de “L’eredità” (a parte il gioco finale). Attendevo con curiosità il nuovo programma di Gerry Scotti, “The money drop”, e dopo le prime puntate mi devo ritenere insoddisfatto.
Il quiz è un contenitore di tempi morti, riempiti da replay insopportabili che riproducono la finta felicità dei concorrenti. E i concorrenti sono la parte più debole dell’intero format. Si chiede loro non tanto di rispondere alle domande, ma di essere interpreti, di recitare, di dare al gioco il ritmo che non c’è. E poi gli stacchetti in ritardo e i farraginosi movimenti di camera non aiutano il povero conduttore a tenere sveglio il pubblico che rischia di appisolarsi prima di cena.
Insomma il programma è lento e noioso, almeno in questa versione (è molto probabile, oltre che auspicabile, un aggiustamento in corsa).
E’ vero, dopo il quiz di Bonolis era difficile trovarne uno altrettanto scoppiettante, ma al momento Gerry Scotti e compagni è come se non fossero nemmeno scesi in campo.

Il web? Come la tv

Un tempo per legittimare una notizia o qualcosa di simile si usava la frase: “L’ha detto la tv”. Oggi si usa: “L’ho letto su internet”.
E il fatto di leggere qualcosa sul web piuttosto che vederlo in televisione dà implicitamente plausibilità alla notizia. Ma è davvero così? Cioè la rete garantisce una fruizione (non circolazione, badate bene) di notizie realmente libera?
Chi conosce bene certi meccanismi ci spiega che le cose stanno molto diversamente da come la maggior parte di noi possa immaginare.
Sul web siamo tutti tracciati e tracciabili. Ogni nostro movimento è seguito, decrittato, registrato. L’insieme dei nostri clic forma un enorme archivio che serve a studiare i flussi, i gusti, le tendenze. E’ un patrimonio di immenso valore economico di cui pochi hanno contezza.
Quando facciamo una qualsiasi ricerca, la rete ci offre un risultato che attinge da quell’archivio. Quindi ci fornisce ciò che suppone possa interessarci, non ciò che realmente ci interessa.
Quando sentiamo parlare di privacy sforziamoci di capire che si parla di libertà. La riservatezza dei dati infatti non riguarda solo gli illeggibili moduli che ad ogni contratto – dalla bolletta elettrica alla banca, dalla tessera del supermercato all’azienda di telefonia – ci tocca firmare. Coinvolge invece una parte importante della nostra vita sociale, quella che ha a che fare con il diritto di scelta, con la promessa che nessuno deciderà per te se non lo chiedi.
Insomma quando digitiamo qualcosa su un motore di ricerca è saggio tener conto che il suggerimento non è mai disinteressato. Come in tv insomma.

Automaticamente

Il mio amico Massimo, dal confine tra Francia e Svizzera, mi scrive: “In Italia il canone Rai è evaso dal 26.9% degli Italiani. Ma lo sapete che in Francia non si può acquistare un televisore senza che ciò comporti automaticamente la registrazione al Tresor Public di modo che automaticamente (di nuovo!) sulla tassa patrimoniale (anche sulla prima casa) si aggiunga il contributo audiovisuel?”.
Certo, non conosco la qualità dei programmi francesi. Però l’idea di un automatismo che non consenta furbizie e che, automaticamente, registri posizioni contributive non mi dispiace.
Detto questo, va ricordato che in Italia il meccanismo è simile, solo che i risultati sono disastrosi su tutti i fronti.
Nel 1954 si pagavano 12.550 lire e la tv era il futuro. Nel 1994 si pagavano 156.000 lire e la tv era già stata sbranata dai partiti. Nel 2011 abbiamo pagato 110,50 euro e la tv pubblica è morta e sepolta.
Ecco, prima di tutto, quando si chiedono soldi bisognerebbe pensare al prodotto, la cui qualità dovrebbe valere la cifra che viene richiesta. Altrimenti dovrebbe essere lecito da parte del consumatore pretendere un rimborso. Ieri, ad esempio, sono stato al cinema…

Il supplizio

Ieri a “Italia sul due”, una specie di trasmissione di approfondimento sui temi della cronaca, si discuteva del successo di Fiorello. E, a corredo delle opinioni di personaggi a me quasi del tutto sconosciuti (l’unico di cui mi ricordavo era Dario Salvatori), si riproponevano i passi salienti della fortunata trasmissione di Raiuno: canzoni, battute, sketch. Solo che per un perfido gioco di diritti e soprattutto per colpevole ignoranza degli autori (ammesso che “Italia sul due” abbia degli autori), questi numeri non erano quelli originali, bensì erano rifatti da un povero imitatore che si è umiliato persino nel taroccare la scenetta di Edward Cullen che sparisce davanti alla telecamera.
Immaginate il livello della trasmissione.
Come se non bastasse uno dei principali interlocutori era un tale Antonio Marziale che pur dichiarando di non aver visto #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend veniva interpellato proprio su quello che non sapeva, secondo la moda emergente tra gli opinionisti in tv: discettare su tutto fuorché su ciò su cui si è preparati.
Sono bastati pochi minuti di questo supplizio per: 1) farmi capire che era tardi per bighellonare davanti alla tv; 2) riallineare, dopo la Fiorello night, il livello qualitativo dei programmi Rai alla media di infimo livello che ben conosciamo.