Il tweet idiota

E’ uno dei top tweets di ieri (torneremo su questo argomento, promesso). Cioè è uno dei messaggi su Twitter che ieri erano più popolari.
Chi lo ha lanciato nella stratosfera internettiana è, secondo la biografia ufficiale, una liceale. Che si lamenta di dover subire ore da sessanta minuti (ma guarda un po’, come tutto il resto dell’umanità) e di doverlo fare per sei ore al giorno.
Sappiamo tutti che la scuola è, per molti, una scocciatura.
Sappiamo che la riforma Gelmini è per molti versi incongruente.
Sappiamo anche che ci sono giovani ai quali scoccia persino respirare. E a questi mi rivolgo: coraggio, un respiro in più e un tweet idiota in meno.

Chi ha promosso quel preside?

Questo annuncio, tuttora appeso nella bacheca del Cei di Palermo, ci dice tre cose.

1)    Che non va disturbato il regolare svolgimento delle interruzioni.

2)    Che il preside è un semianalfabeta.

3)    Che nessun professore dal 2005 a oggi è stato in grado di correggere l’errore.

Meno male che è un istituto religioso

Pare che un istituto religioso abbia rifiutato l’iscrizione a scuola al figlio di Massimo Ciancimino. E’ una porcata, e non c’è bisogno di scomodare i luoghi comuni sulle colpe dei padri, dei nonni, dei figli, eccetera.

A Biagio, Giuditta e Paolo

C’è una vicenda dolorosa di cui si discute in questi giorni a Palermo e per la quale è stata avviata persino una petizione su Facebook. L’aula del liceo Meli di Palermo intitolata a Biagio Siciliano e Giuditta Milella, i due studenti investiti e uccisi nel 1985 dall’autoscorta di Paolo Borsellino, ha cambiato nome ed è stata dedicata allo stesso Borsellino.
Il dolore, almeno il mio, proviene proprio da quest’intreccio di destini, dall’insana consapevolezza che per far posto a un giusto si debbano spostare due giusti.
La gestione della memoria ha, in questa città smemorata, picchi di schizofrenia. Perché comprimere con forza il ricordo di due ragazzini felici, falciati da un’auto che schizzava attraverso la Palermo/Beirut per non diventare carcassa, e annullarlo in quello dedicato a un giudice martire?
Biagio, Giuditta, Paolo – qualcuno dovrebbe ricordarlo – pretendevano una vita felice. Non l’hanno avuta, gli è stata sottratta.
Invece di pasticciare tra professorini, presidi, tentazioni politiche e un certo cattivo gusto, facciamo una cosa: non necessariamente ottima, ma appena sufficiente a evitare l’oltraggio alla memoria.  Intitoliamola a tutti e tre, quell’aula.
A Biagio, Giuditta e Paolo.

Della vergogna e altre amenità

La foto è di Paolo Beccari

di Verbena

Della vergogna e altre amenità.
Io non mi vergogno di arrossire, qualche volta.
Io non mi vergogno di non aver mai marinato la scuola.
Io non mi vergogno di essere antifascista e di farlo sapere al mio capo che vota Silvio.
Io non mi vergogno di non ricordare più i sette re di Roma.
Io non mi vergogno di barattare qualunque serata vip per un buon film.
Io non mi vergogno di non avere un animo rock.
Io non mi vergogno di rubare le caramelle gommose dalla stanza del capo, sempre quello.
Io non mi vergogno di guidare piuttosto male e di orientarmi pure peggio.
Io non mi vergogno di essermi addormentata addosso alla vicepreside, in discoteca, durante la gita a Vienna.
Io  non mi vergogno di amare la cipolla, cruda.
Io non mi vergogno di sorridere agli uomini belli, per strada, se li incontro.
Io non mi vergogno di andare in giro senza trucco, se non mi va.
Io non mi vergogno di usare solo profumi costosi.
E non mi vergogno di fare buon sesso, che dio lo benedica.

Linda e il buco nero

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

di Verbena

L’ho vista ieri. Ho pure ridacchiato di nascosto, ma senza dolo. E’ che mi capita ancora di sognarla ogni tanto, ed era successo appena due sere prima.
Linda non è cambiata granché, è tale e quale ai tempi del liceo.
Ho colto solo due differenze evidenti: un trucco troppo scuro per la sua pelle diafana e una giacchetta di velluto troppo dandy per una personalità così nemica degli schemi.
Certo, c’era qualche increspatura sotto gli occhi, ma nulla di serio.
Non ci siamo salutate. Le nostre facce hanno fatto dietrofront, all’unisono.
Linda è la prova vivente di come le compagne di banco, le amiche del cuore degli anni dei brufoli e delle crisi esistenziali sulle pagine di Proust e di Camus, vadano a finire in un grosso buco nero da adulte.
Non è un cliché. Con gli altri compagni ci sentiamo spesso, ci vediamo pure. Ma loro non contano. Era lei il mio specchio, il mio rimando quotidiano. Lei era l’altra.
A Linda non piaceva il mio storico fidanzato, e neanche le altre mie amiche. Trovava tutti molto banali, molto provinciali. Non mi faceva molti complimenti. Mi dava consigli, questo sì.
Linda amava le donne, già da allora. Lo sapevamo entrambe, e lo davamo per scontato.
Non ce lo siamo mai dette, fatta eccezione per una cotta che si prese per una nostra compagna di classe. Eravamo in gita, oramai alla fine del liceo. Lei era eccitata, parlava come un ragazzo, glorificava seni e culi ed io scherzavo con lei, complice.
Qualche anno dopo è cambiato tutto.
Ho smesso di specchiarmi e per questo mi ha odiata. Io? Non ho fatto nulla, non ho evitato il danno.
Non avevo più bisogno di lei, né del suo specchio, e quando me ne resi conto ne fui orgogliosa.
Neanche questo ci siamo mai dette. Poi,dopo anni, sono stata io a cercarla, almeno una decina di volte.
Si è sempre fatta negare e quando l’ho beccata per strada ho pure avuto la faccia tosta di chiederle spiegazioni. E’ stata vigliacca, più di me. Ha negato, ha balbettato qualcosa di stupido, è arrossita.
Anche ieri è arrossita, ma io stavolta non ho infierito. Ho solo ridacchiato, di nascosto.

Nel nome del padre, del figlio e del libro di testo

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A me del crocifisso in classe non me ne frega assolutamente niente. Se lo tolgono mi interessa che quelli che se lo portano via, visto che ci sono, diano un’imbiancata alle pareti.
Se invece lo lasciano spero che l’attenzione verso il simbolo sia estesa anche ad altri simboli (della scuola) discretamente importanti come i banchi e le sedie che devono essere integri, i libri che non devono costare un occhio della testa e gli insegnanti che devono essere messi in grado di lavorare senza intoppi e scuse.
In ogni caso, sentitamente ringrazio.

Pensiamo al futuro

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

La questione è quella, ricorrente e inutile come l’appello all’unità dei cattolici, del dialetto nelle scuole. Ne abbiamo parlato ieri e voglio aggiungere un paio di considerazioni.
Detta brutalmente, a me del siciliano insegnato in una scuola media di Partinico o del piemontese insegnato in una scuola di Chivasso non me frega niente. Perché ho 46 anni, vivo nel 2009, lavoro in un’epoca in cui ti becchi un licenziamento come se fosse un raffreddore, voglio leggere quanta più roba possibile, e soprattutto non mi piace perdere tempo in discussioni inutili.
Le tradizioni sono meravigliose quando c’è l’occasione di ammirarle, valorizzarle, coltivarle. Quando i tempi sono difficili e le connessioni necessarie per campare sono complicate, le tradizioni possono tornare serenamente sugli scaffali. Anche perché ogni progetto pubblico ad esse collegato costa un botto di denari.
Rastrellando le idee utili ci si può accorgere che, oggi come oggi, non è più la storia l’unica chiave di lettura del presente. Il galoppo dell’innovazione ha cambiato i parametri dell’apprendimento. Per capire quel che accade in questo preciso momento bisogna guardare avanti: è finita l’epoca in cui ci si faceva strada col passato. E’, se vogliamo, una delle controindicazioni della globalizzazione: se si è tutti virtualmente più vicini, si è tutti meno diversi, si ha la necessità di parlare lingue comuni e non tutte fatte di parole.
Il futuro non c’entra nulla con ciuri ciuri o funiculì funiculà. Il futuro, e soprattutto il destino lavorativo, parlano le lingue più diffuse del pianeta: l’inglese, l’arabo, il cinese, il francese, lo spagnolo. Non il trentino, non il sardo, non il lombardo, non il siciliano.
Bossi e gli altri geni della politica dovrebbero capire che in un paese moderno non è possibile che un cittadino italiano laureato conosca meno lingue di un qualunque straniero immigrato (clandestino e non). A scuola, sin dalla prima elementare, bisognerebbe insegnare la lingua italiana – che è una sola e meravigliosa – e almeno una lingua straniera. Senza altri bla bla e, scusate, senza ulteriori cazzate.

Praticamente una gang bang

L'ullistrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Ieri il premier Silvio Berlusconi ha fatto il bilancio dei primi 14 mesi di vita del suo governo. Ecco i punti salienti del suo lungo intervento.

I giornalisti della Rai non possono attaccare il governo, mentre è auspicabile che si attacchino al tram.

Sempre più militari in strada, più precisamente in mezzo.

Con la Libia, la festa delle vendette è diventata la festa dell’amicizia. Donne e champagne li ho portati io.

Abbiamo risolto l’emergenza rifiuti a Napoli come a Palermo. Abbiamo tolto l’immondizia dai cassonetti e l’abbiamo gettata a mare. Ora provate ad appiccare il fuoco.

Col ritorno al nucleare gli italiani pagheranno meno l’energia. Nel paniere dell’Istat inseriremo le cure oncologiche.

Quella della scuola è stata una riforma di buon senso. Mandare i bambini a protestare per strada è stato un gesto di pessimo gusto: mi scrivono ancora molti poliziotti risentiti perché non gli erano stati forniti i manganelli adatti.

Alitalia è rimasta in mani italiane: vale il motto tutti per uno, uno per tutti. Praticamente una gang bang.

Contro di me solo calunnie. Non ho scheletri nell’armadio: sennò che minchia mi tenevo a fare tutte quelle tombe fenicie in cantina.

La palestra di Jimmy

di Verbena

Non ho un animo rock e ho un debole per i falsetti.
Non ho buona memoria e a volte dimentico pure le cose belle.
Però stamattina mi trovavo in auto, con la radio accesa.
L’ho risentita. E ho rivisto in un lampo quella Verbena ginnasiale che la cantava a squarciagola, per decine e decine di ricreazioni, nella palestra abbandonata della scuola,
Avevo una bella voce non ancora arrochita, e un meraviglioso effetto eco che faceva il resto.
In gran segreto, come sempre.