Silenzio, parla Dell’Utri

Marcello Dell'Utri

Il ministro Alfano ha detto qualche giorno fa che i magistrati devono pensare a lavorare ed evitare di perdere tempo in televisione. In linea di massima sono d’accordo. Ho notizie di un importante magistrato che si occupa più delle sue pubblicazioni su Micromega e delle sue apparizioni davanti alle telecamere che dei processi che deve imbastire. E questo non mi piace.
Però, come troppo spesso accade, le buone ragioni diventano cattive se il contesto le inquina. Perché Alfano fa quella dichiarazione? Perché deve scatenare un fuoco di copertura nei confronti del suo capo, uno che non perde occasione per spalare stallatico addosso alla magistratura.

Ieri pomeriggio, Raidue, trasmissione “Il fatto del giorno”, conduttrice Monica Setta (una nostra cliente).
In collegamento da Palermo c’è il senatore Marcello Dell’Utri, che – per onor di cronaca – ha subito una condanna in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e ha patteggiato una pena di due anni e tre mesi per frode fiscale.
Il fatto del giorno shakerato dalla conduttrice è la deposizione dei mafiosi Graviano al processo d’appello contro Dell’Utri.
La Setta celebra l’agonia della decenza giornalistica inginocchiandosi davanti al suo ospite e concedendogli un quarto d’ora (praticamente quasi la metà del programma) per propagandare la sua tesi. Senza mai accennare all’ipotesi accusatoria, come se Dell’Utri fosse lì per caso, spettatore illustrissimo e riverito.
Se Alfano non avesse tuonato contro i pm che utilizzano la tv in modo improprio mi sarei arreso davanti all’ennesimo atto di asservimento di una giornalista che non conosce la differenza che passa tra i fatti e le opinioni, la tessera professionale e quella di partito, l’attendibilità e la sfacciataggine.
Invece mi sono arrabbiato molto.
Perché a un imputato condannato in primo grado deve essere concesso quel che a un pm incensurato viene negato?

La miopia della vecchia politica

politica miope

Trascinandosi da una crisi a una polemica, da una verifica a un rimpasto, da una spremuta di nulla a un dibattito sottovuoto, il governo della Regione siciliana, tenuto al guinzaglio da Raffaele Lombardo, è ormai un esempio disastrosamente efficace di politica fine a se stessa (cioè inutile, anzi irritante).
Tra bracci di ferro coi “lealisti” e reiterate dichiarazioni di intenti, la piccola casta di deputati e assessori regionali sta riuscendo in una sola impresa: guadagnare un pozzo di soldi senza fare assolutamente nulla.
Già da tempo la paralisi amministrativa della Regione è riuscita a mettere d’accordo industriali e sindacati, ricchi e poveri, don Camilli e Pepponi.
Immaginate un’azienda, magari quella in cui lavorate voi, che si blocca per anni a causa di una diatriba tra il capo e gli impiegati, o tra colleghi.
Impossibile, vero?
Invece alla Regione tutto può accadere, perché il senso di impunità di un certo potere è direttamente proporzionale alla pochezza degli uomini che lo incarnano.
E’ penoso assistere quotidianamente al pavoneggiarsi sui media dei politicucci che parlano il linguaggio vetusto dei “pastoni” parlamentari.
Del resto c’è tanto, troppo, di stantio in quell’ambiente: i personaggi (non tutti ovviamente), i modi di pensare, la furbizia banditesca, l’incoscienza, i privilegi immeritati. Se la storia si nutre di ciò che è antico e sputa ciò che è vecchio, abbiamo la certezza che di questa gente non resterà nulla nella Memoria (notare la maiuscola).
Ieri, a ora di pranzo, una esponente del Pdl, “lealista” ingioiellata, blaterava in tv di “interesse dei siciliani”.
Se anziché da un’asta portamicrofono ambulante, la signora in questione fosse stata intervistata da un giornalista appena mediocre, ci sarebbe stata la possibilità di spiegarle qual è l’interesse reale dei suoi concittadini: quello di sentirsi governati da gente che lavora.
Punto.
Non passa giorno senza che la guerra di potere consumi metri quadrati di comunicati, tacchi di portaborse e tasti di telefonini. Se fosse un film dei Monty Python, Palazzo d’Orleans sarebbe una barca che incrocia la rotta di Palazzo dei Normanni, con arrembaggi e cannoneggiamenti. Nella realtà la barca c’è, ma sta per affondare. Anche il cannoneggiamento c’è. Ma di minchiate (pardon!).

Il pedigree del politico

monogamia
La vignetta è di Gianni Allegra

Una volta, fino a una quindicina di anni fa, i politici erano trasparenti, pur nella loro opacità. Si sapeva chi rubava, chi era onesto, chi era spalleggiato dalle cosche, chi prometteva bene e chi manteneva male. E la cronaca era ancora il regno della verosimiglianza.
Oggi non c’è certezza neanche di un’opacità deludente. Nella corsa all’ultimo veleno, spioni e gaffeurs fanno a gara a chi alza più veli,  scoperchia più pentole, sfonda più porte, registra clandestinamente, filma di nascosto, trama, tratta, rivende.
Il dubbio è: per offrire adeguate garanzie all’elettorato servirà più un certificato penale o un pedigree?

Ignoranti colpevoli

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Direi che il dato più probante e preoccupante della corruzione italiana non tanto risieda nel fatto che si rubi nella cosa pubblica e nella privata, quanto nel fatto che si rubi senza l’intelligenza del fare e che persone di assoluta mediocrità si trovino al vertice di pubbliche e private imprese. In queste persone, la mediocrità si accompagna a un elemento maniacale, di follia, che nel favore della fortuna non appare se non per qualche innocuo segno, ma che alle prime difficoltà comincia a manifestarsi e a crescere fino a travolgerli. Si può dire di loro quel che D’Annunzio diceva di Marinetti: che sono dei cretini con qualche lampo d’imbecillità…

Queste parole le scrisse Leonardo Sciascia sul Globo, nel 1982. Sono di poco precedenti a un periodo che allora mi sembrò buio, ma che oggi declasso a penombra. Un’epoca che verrà inquadrata sbrigativamente nel Craxismo.
L’invasione degli stupidi nella politica italiana non è una novità dei giorni nostri, anche se potrebbe essere un’emergenza.
Nesuno mi toglie dalla testa che Sciascia ha presagito i tempi delle candidature per meriti corporali: ciò che si ottiene senza merito non è per grazia ricevuta, quanto per grazia elargita.
Nell’anno 2009 lo stupido al potere ruba, se ne ha l’occasione, senza curarsi di un piano B (che lui, per effetto della sua rassegna stampa, confonde col il lato B), tanto sa che non ci sarà mai una fuga da architettare, una difesa da imbastire: i suoi sodali infatti lo hanno già blindato in una legge che salvaguarda la sua disonestà e – quel che è peggio – la sua imbecillità.
Il sistema premiale creato dagli stupidi al potere risente ovviamente del loro tipo di furbizia. Che si distingue da quello ordinario per ossessività. Un furbo per così dire normale sa che il suo espediente o la sua invenzione possono essergli utile una-due volte. Il furbo-stupido non pensa ad altro che a sfruttare sempre la medesima “trovata” (spesso scimmiottata o copiata, ecco il perché delle virgolette), tanto alle sue spalle ci sarà sempre uno sponsor pagante, un padrino interessato, un partito di suoi simili che garantirà e combatterà per lui.
Il cardine su cui si muovono le vite (e spesso i reati) delle “persone di assoluta mediocrità” è l’ignoranza colpevole. Che è altra cosa rispetto alla semplice ignoranza, che spesso è fucina di grandi invenzioni (come tutti sanno l’arte non si misura a pagine lette o a titoli di studio).
Oggi l’ignorante colpevole è quello che occupa abusivamente il posto di chiunque altro.

Questione di compagnia

Nell’isola in cui mi trovo ho incontrato un noto politico in compagnia di (a me) note persone. Non mi piace fare l’analisi del Dna a chiunque incrocio, però – dati i tempi – mi pare importante verificare l’ambito in cui si muove chi dovrebbe rappresentarci. Non è vero quel che ci vogliono far credere alcuni soloni prezzolati a proposito della vita privata degli uomini pubblici: noi siamo, anche, chi frequentiamo. Se non abbiamo cariche istituzionali possiamo concederci qualche svarione affettivo, amicizie trasversali, relazioni non recensibili. Viceversa, dobbiamo stare molto attenti. Perché nel conto della politica c’è anche la rappresentatività: e quella, oltre a qualche vantaggio, ha anche un prezzo.
Il politico che ho incrociato ieri era in compagnia di gente che, nei gradini di una società sana e democratica, dovrebbe stare in basso, accanto allo zerbino.

Discese in campo

berlusconi 94

Silvio Berlusconi, 1994

franceschini 2009

Dario Franceschini, 2009

Accrescitivi e diminuitivi

Berlusconi, Capezzone, Buttiglione, Maroni, Meloni, Bocchino, Fassino, Ghedini, Franceschini, Frattini, Gelmini, Casini, Mussolini, Verdini, Minzolini.

C’è da impazzire

elezioni-2009

Sarei tentato di cedere al liveblogging, ma con questi dati ballerini rischiamo di far concorrenza al teatrino di Vespa.

Occhio al 2004

Il mio personale anno di riferimento è il 2004, quando Forza Italia e An insieme ottennero poco più del 32 per cento.
Oggi sono al 34,5, stando alle proiezioni Rai.
Male, diranno gli sporchi comunisti tra voi.
In realtà nel 1999 Forza Italia e An avevano fatto di più, il 35, 5; nel 2001 avevano fatto di più, il 41,4; nel 2006 avevano fatto di più, il 36; e lo scorso anno avevano fatto di più, il 37,4. Quindi, osservando i numeri provvisori, in queste europee il Pdl avrebbe il peggiore risultato in dieci anni (a parte il mio personale anno di riferimento 2004).

Assessori azzerati

dimissioni

da Cinzia Zerbini