Così così

Da León a San Martin del Camino.

Prologo.
Prima dei social le nostre vacanze erano belle o brutte come tutte le vacanze. C’erano le fregature e le scoperte, con tutti i gradi intermedi. E soprattutto esisteva il così così. 
Il così così risolveva ogni dubbio, eliminava ogni decisione, appianava ogni diatriba.
Com’è andata? Così così. Amen.
Oggi è impensabile un giudizio così poco fotogenico, non screenshottabile. La mezza misura è bannata in un mondo in cui il padrone di una gran fetta dei social è un miliardario che fomenta le folle e soffia sul fuoco anche per il peto di una vacca (oddio la metafora è abominevole, ma tutto sommato scialba rispetto ai contenuti di X). Se non avessi questo blog anche io sarei caduto in questa dittatura degli estremi, o meraviglioso o merda, o “lasciatemi qui” o vergogna”, o “se è porno tolgo” o “da dimenticare”. 

Fine del prologo.
Sono a San Martin del Camino, nell’unico albergue in cui hanno una stanza non condivisa, in cui uno può farsi una doccia senza dover fare la fila, insomma in cui la condivisione forzata del pellegrino non è la way of life dominante. Un paese (paese?) in cui puoi cenare in un solo posto e in cui se per caso fai antipatia alla cameriera sei fottuto. Indovinate come è andata? 
In questo inusitato assembramento di persone dove per un abitante si contano un milione di mosche (cifra arrotondata per difetto) si misura la durezza di un cammino così lungo.

Mi è capitato più volte di trovarmi in situazioni dove il così così sarebbe stato un compromesso ruffiano. Una volta, qualche anno fa, mancai clamorosamente un paese, che a dire il vero non si trovò mai come se fosse scomparso dalla carta geografica o come se al contrario fosse stato segnato solo sulla mia, e riparai a casa di una signora che ebbe pietà di me che ovviamente ero a piedi. Un’altra volta il tale che doveva ospitarmi a casa sua si fregò i soldi e vendette la camera a un altro, mi accampai davanti al portone per fargli assaggiare le mie rimostranze solide ma poi fui convinto a ripiegare in un nonviolento rimborso spese. Proprio ieri, un albergo raffinato (uno dei pochissimi) che doveva ospitarmi nel centro di León si è mangiata la mia prenotazione rimbalzandomi in un anonimo hotel ai margini. Anche qui esercizio olimpico di pazienza a corpo libero e via andare (di reclamo). 
Accade. Viaggiare è vivere: se non ci sono imprevisti, nel migliore dei casi significa che sei morto. 
E quindi.
Stasera in questa ridente cittadina di mosche felici, per sfamarmi sono costretto a mangiare pizza scongelata male (nella foto, e quelli non sono funghi ma comparse reclutate ad hoc nel favoloso mondo dei vegetali da fiction) e olive in salamoia. Accanto a me un gruppo di ragazzi italiani che anzichè gioire della loro condizione (di giovani, viaggiatori, camminatori o pellegrini, viventi con prospettiva, costruttori di futuro) si lamentano delle piaghe ai piedi e pianificano un ritiro anticipato. Avranno manco trent’anni e li giustizierei sommariamente coi noccioli delle olive.

Insomma.
In questo Cammino Francese sto visitando posti meravigliosi, come vi ho raccontato, ma per onorare l’oggettività di una narrazione accettabile è giusto togliere ogni forma di eroismo, calare la telecamera del racconto ad altezza uomo, stangare ogni tentativo in cui il pittoresco offusca il reale. 
L’unica costante è la felice fatica, felice perché sino a ora reggo con malcelata soddisfazione (e sono a ben oltre metà dell’opera), fatica perché non c’è sinonimo che renda in modo adeguato il ripetersi costante di mattine, chilometri, arsura, chilometri, passi, chilometri, arrivi e di nuovo mattine, chilometri… 
Come nella vita di tutti i giorni spesso va benissimo, raramente va male, ogni tanto va così così.

14 – continua