Se Brusca si racconta in un libro

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Non si recensisce l’aria che respiriamo. Per questo il libro in cui Giovanni Brusca si racconta a don Marcello Cozzi, sacerdote, ex vicepresidente di Libera, componente della commissione di Papa Francesco per la scomunica alle mafie, va inquadrato in un’ottica molto ampia, non letteraria, forse civile. Di certo è l’idea quella sulla quale discutere. L’idea che un uomo dalle gesta criminali come Brusca, colpevole dei più orribili tra gli orribili omicidi di Cosa Nostra, abbia modo di dipanare il suo rosario di indecisioni, di rimorsi, di scelte è oggettivamente urticante.

Nella sua personalissima parabola l’assassino del giudice e del bambino, dell’amico e del rivale, del passante e del fuggiasco ci ha mostrato il lato più oscuro della sua scala di odio personale: quello che mette alla pari tutti e che impressiona per lo stesso identico grado di ferocia riservato ai primi e agli ultimi. Le memorie di Brusca sono anche un caso eccezionale di recupero dei ricordi per uno che ha ammesso di non tenere a mente neanche quanti omicidi ha commesso (“molti più di cento, sicuro meno di duecento”, ha testimoniato). E, badate bene, qui non si discetta di opportunità o di rispetto per le vittime: quelli sono argomenti che stanno alla base e che, come da copione, vengono tenuti in soffitta e rispolverati a ogni tot di commemorazioni. Il tema è un altro. E lo pongo come domanda che non ha una risposta precisa: il liberarsi nel ricordo è un succedaneo dell’espiazione?

La forma routinaria degli omicidi commessi da Giovanni Brusca ha reso un inferno persino la memoria di quelle vite bruciate come erba secca. Ed è comprensibile come i sopravvissuti abbiano esercitato, spesso controcorrente ma in modo nonviolento, il diritto di non perdono. Oggi il rischio è che, anche involontariamente, gli incubi del carnefice si diluiscano in sogni di remissione, mentre quelli della vittima sono solo fumo disperso nel cielo. Ed è questa l’aria che respiriamo.