Ei fu siccome immobile

Il 5 maggio 1971 Luciano Liggio uccise il procuratore capo di Palermo, Pietro Scaglione.

Maniaci del cavillo

pino maniaciE’ una tessera che fa il giornalista? Esiste un patentino che dà la facoltà di raccontare quel che accade? Sicuramente no. Eppure il direttore antimafia di Telejato, Pino Maniaci, è stato mandato a processo per esercizio abusivo della professione. Personaggio controverso e indubbiamente coraggioso, Maniaci è stato più volte minacciato da Cosa Nostra, ma ha continuato a mandare in onda dalla sua piccola emittente televisiva servizi contro boss, malaffare e scempi vari. Opera che gli è valsa una tessera onoraria dell’Unione cronisti.
Ci sarà di certo qualche cavillo che giustifica l’azione giudiziaria, ma ci si dimentica troppo spesso che è con l’uso di argomenti sottili e capziosi che si demoliscono molte verità.
Non voglio difendere Maniaci, lui si difende benissimo da solo, vorrei solo che qualcuno (autorità giudiziaria, Ordine dei giornalisti, Assostampa, Gruppo Tnt o commissario Maigret) avviasse una verifica sull’attività di moltissimi altri giornalisti siciliani. Tripli, quadrupli incarichi moralmente riprovevoli, cecità colpevoli, connivenze, strangolamenti dei fatti, genuflessioni imbarazzanti: tutto ciò con regolare tessera.

Nei panni di Tony Ciavarello

spalleIl signor Tony Ciavarello ha passato il fine settimana davanti al computer a rispondere e a difendersi. Il signore in questione è il marito della figlia di Totò Riina e l’occasione per questo dialogo-scontro con gli internauti è stata la pubblicazione su Rosalio della notizia di un’indagine della Guardia di Finanza su una società riconducibile a lui e a sua moglie.
Insomma, casa Riina (Ciavarello è genero del capomafia quindi non è un estraneo) si apre al confronto.
Più che impelagarsi in analisi sociologiche, è utile rimanere ancorati ai fatti. Se non ricordo male, qualche anno fa la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo rigettò una proposta restrittiva (obbligo di dimora e sorveglianza speciale) nei confronti del signore in questione perché la sua parentela acquisita non bastava, da sola, a farne una persona pericolosa.
I fatti però non sono soltanto quelli che attengono alle aule di giustizia. Ciavarello chiede di essere considerato una persona normale, di essere trattato come un qualunque cittadino. Dal punto di vista giuridico ha ragione. Ma dal punto di vista umano e sociale gli si chiede qualche sforzo.
Ogni persona di buon senso capisce che il suo è un ruolo molto difficile. La sua “liberazione”, se davvero è ispirata da nobili propositi, passa attraverso alcune strettoie. Tony Ciavarello non è un qualsiasi Tony Ciavarello. E noi non viviamo a Disneyland, ma a Palermo – Sicilia – Italia.
Non serve una abiura ufficiale, basta la buona fede (che è una lunga strada). Non servono parole vuote (“bisogna vedere chi sono i veri mafiosi, se sono solo quelli come Totò Riina o se ce ne sono nascosti dietro mentite spoglie”), ma parole semplici, anche sofferte.
Ciavarello, se  è davvero animato da buone intenzioni,  a mio modesto parere dovrebbe frequentare meno avvocati e più estranei. Per mostrarsi e raccontarsi. Dovrebbe sottoporsi al calvario di una semplice, scontata domanda, ripetuta mille e mille volte: non si è rotto le scatole della mafia? Risposta secca, senza argomentazioni da Bignamino del qualunquismo.
Dovrebbe presentarsi come il più dritto dei chiodi dritti, anche quando il martello percuote: mai farsi martire, opporre le proprie ragioni sempre, quello sì.  Dovrebbe battersi per fugare ogni diffidenza con la semplice forza di un argomento: sto da una parte ben precisa del tavolo, nonostante la vita mi abbia riservato anche un posto dall’altro lato.

Internet e Cosa nostra

Dopo le polemiche per i fans di Totò Riina su Facebook e l’allarme del superprocuratore Grasso sulla regia della mafia dietro operazioni di questo tipo, proviamo a immaginare nuovi scenari di criminalità organizzata e informatizzata.
Bernardo Provenzano si dissocia dal suo fan club sul web. Motivo? La punciuta col mouse non garantisce fedeltà.
Matteo Messina Denaro mette finalmente online una sua foto recente. Risale alla prima comunione, ma il volto è oscurato dall’ostia. Immediata la reazione della magistratura: il prete, oggi ottantenne e affetto da incontinenza biblica,  è arrestato per favoreggiamento. Viene rinchiuso in una piscina vuota.
Il magistrato Gian Carlo Caselli denuncia l’ennesimo calo di tensione: gli si sono bruciati già un Mac, due Pc e una Playstation 2.
Il giornalista de la Repubblica Franco Viviano, travestito da Bill Gates, riesce a infiltrarsi nella farm telematica di Cosa nostra, allestita nel gabinetto di una baracca nelle montagne di Corleone. Lo tradisce il cedimento di un etto di cerone che, staccandosi dal viso, rivela il colore scuro della pelle. Si salva  solo perché inventa di essere un giornalista di Libero.
Il Giornale di Sicilia riapre, dopo un lustro, il suo sito web. Si schiantano i server dell’Ucciardone e dei Pagliarelli. Una delegazione di deputati del Pdl va in visita dai detenuti portando torte farcite di modem.
Il Parlamento approva una legge che declassa gli agenti della Polizia postale a spazzacamini. Dal momento che il numero totale dei camini in Sicilia è inferiore a quello delle discariche, gli agenti sono riconvertiti in netturbini.

Provenzano e i veri mascalzoni

Per anni la mafia è stata silenzio e azione, un micidiale connubio di pazienza e crudeltà. Boss, semplici affiliati, familiari non hanno mai sprecato parole per difendersi, rimproverare, attaccare. A parte rare eccezioni “di rango”: Riina che se la prendeva con Violante, Caselli e i comunisti; Bagarella che tuonava contro “i partiti che ci strumentalizzano”.
Le parole possono essere pietre, ma in fondo le pallottole sono più efficaci. Del resto la mafia non ha mai pensato a un’intifada: se proprio voleva concepire un’azione corale di “resistenza” piazzava qualche quintale di tritolo per strada e buonanotte ai suonatori.
Ora sembra esserci un singolare cambio di strategia. I figli del boss Bernardo Provenzano concedono un’intervista a un trittico di giornali: la Repubblica, la Stampa e il Giornale, e non vi sfuggirà la trasversalità di questa scelta, da sinistra a destra il pubblico è garantito.
Il succo del messaggio affidato agli inviati dei tre quotidiani è questo: “Basta con questa mascalzonata del gossip sulla nostra famiglia”. Traduzione: c’è chi ci ha rotto i coglioni pubblicando le lettere private tra noi e nostro padre quando lui era latitante.
Bersaglio degli strali è il mensile “S” che nel numero in edicola racconta i segreti di famiglia del superboss.
I parenti del mafioso parlano, elucubrano davanti ai taccuini, si aprono: ecco il cambio di strategia. Attenzione però, non sono i protagonisti a rendere eccezionale questo evento, quanto l’ambito, il coro. I giornalisti che raccolgono la “preziosa” testimonianza infatti amplificano l’attacco frontale a un organo di informazione senza preoccuparsi di scremare, puntualizzare. Non so quanto pesino i virgulti del superboss nell’organigramma di Cosa Nostra, né conosco le loro reali intenzioni. So però che Palermo non è Paperopoli e che la Repubblica, la Stampa e il Giornale non sono il Papersera.
Sarebbe bastato corredare l’intervista con un corsivo (non dico un fondo!) in cui si suggeriva come gustare la pietanza ammannita dai Provenzano che, tra l’altro, spiegano il fenomeno mafioso in modo non dissimile da come lo raccontò il boss Luciano Liggio a Enzo Biagi nel 1989. E che fanno passare Falcone e Borsellino per poveri fessi, giudici “immolati sull’altare della ragion di Stato”.
Sarebbero bastate un paio di righe a margine per ricordare ai lettori più disattenti, e soprattutto a quelli malevoli, che i due magistrati sono stati ammazzati dalla consorteria criminale di cui Bernardo Provenzano è stato capo per decenni e non da una squadra di agenti segreti travestiti da candelotti di dinamite. Sarebbe bastato spiegare che le colpe dei padri non ricadono sui figli per default, ma che i figli non possono fare di quelle colpe uno scudo contro l’evidenza.
Un evento eccezionale, sì, questo muro del silenzio che si sbriciola. Eccezionale per le briciole che messe insieme si fanno pietre. Scagliate da mani che hanno appena deposto penne e taccuini.