Le chiacchiere sugli sfigati

Tutti addosso a questo Martone che, in modo pessimo, ha espresso un concetto da scoperta dell’acqua calda: meglio laurearsi in tempo che laurearsi tardi.
C’è qualcuno che può affermare il contrario?
La verità è che su internet, e soprattutto sui social network, si generano pericolose onde anomale a partire da una goccia. Tutti a ruggire contro l’infelice frase del viceministro, tutti ad autoaccusarsi di essere sfigati per necessità. Chissà – ma questo la rete non lo svela – quanti studenti fuoricorso avranno trovato un alibi pubblico e plausibile grazie all’incauto Martone, quando in realtà non studiano perchè se lo possono permettere, perché sono di famiglia agiata, perché sono nullafacenti nel dna.
A tutti gli altri invece il viceministro al Lavoro non deve delle scuse, ma delle spiegazioni precise, dei programmi dettagliati. Nel senso che dovrà sbracciarsi per spiegare cosa intende fare per far sì che questi ragazzi non si debbano spaccare la schiena per pagarsi gli studi (per questo si laureano dopo, perché nel frattempo continuano a lavorare) e soprattutto come far sì che il tempo trascorso sui libri non sia sprecato.
Insomma, una cosa sono gli sfigati, un’altra gli sfortunati.
Il resto sono chiacchiere.

Cari italiani che non fate un tubo

Da la Repubblica di oggi.

Visto su PPR.

Il pentimento

Conosco una persona che ha dedicato la sua vita al lavoro e ai vantaggi che la professione poteva procurare. Una persona ambiziosa, molto, perennemente occupata e scarsamente impegnata. Raramente si è concessa uno svago o una digressione e quando l’ha fatto c’è sempre stato un secondo motivo che, come una tortuosa via secondaria, riportava in qualche modo al lavoro.
Una persona che ha scavalcato, sgomitato, pestato, macinato chiunque si parasse davanti pur di arrivare a un traguardo inutile, come può esserlo quello di chi pratica il potere solo per il gusto di infliggerlo agli altri. Gli altri, colleghi familiari e amici, erano pioli, scalini sui quali poggiare i piedi. Le uniche mani di cui si fidava erano le sue e quando non bastavano ne prendeva altre a prestito senza ripagarle, perché la riconoscenza, dalle sue parti, veniva considerata una forma di debolezza. Continua a leggere Il pentimento

L’esperimento

Ho trascorso un periodo relativamente lungo in una località di mare nella quale ho portato anche i miei strumenti professionali: un computer e un iPad. E in questo periodo ho provato a gestire la mia vita in modo diverso dal solito: lavorare quando si è in continua tentazione vacanziera è una costante prova di resistenza.
La notizia è che credo di avercela fatta.
Il nostro sistema di relazioni, di convenzioni, di schemi rigidi, prevede il riposo come alternativa netta al lavoro. In realtà – e questo è stato l’esperimento che ho condotto su me stesso – si può diluire il dovere nel piacere a patto di rinunciare a un po’ di quest’ultimo. Al posto di una settimana di completo relax, se ne possono fare tre di parziale relax.
Badate, è una scelta che non è priva di controindicazioni. Ci sarà sempre un momento in cui invidierete gli altri, i vacanzieri veri, quelli che hanno optato per la linea tradizionale, e questo rischierà di pesare sul vostro rendimento. Non dovrete cedere alle tentazioni di allungare gli spazi di riposo a discapito dei momenti dedicati ai committenti. La missione è essere diversi pur garantendo ai vostri datori di lavoro il normale rendimento.
Alla fine della giornata non sarete proprio riposatissimi come tutti gli altri, ma di certo sarete più felici di quelli che hanno esaurito la vacanza prima di voi e che vi mandano sms di nostalgia dall’ufficio.

Ego

Prima scrivevano: giornalista. Poi: giornalista e scrittore. Poi: ghost-writer. Poi: blogger. Poi: giornalista e blogger.
Chi fa il mio mestiere, anche se un po’ indefinito (sono un po’ di tutto, e non ben amalgamato), ha il terrore di rispondere alla domanda: che lavoro fai?
Perché, quando si tratta di questioni personali, è complicato conciliare l’egocentrismo di chi campa scrivendo con l’attendibilità: si rischia sempre di sbagliare, per difetto o per eccesso.
Mi sono chiesto quale sarebbe la definizione di me che più mi piacerebbe. E l’ho trovata: raccontatore di storie (vere o presunte). Però non avrei mai il coraggio di comunicarla all’impiegato dell’anagrafe, anche perché non sta in nessun elenco.
Quindi va bene: giornalista. Oppure: giornalista e scrittore. Blogger e ghost-writer, no: niente parole straniere sulla carta d’identità.

P.S.
Sulla questione delle parole straniere ricordatemi di raccontarvi una cosa…

 

Il ministro del troppo lavoro

Sono veramente sconcertato, per non dire schifato, dall’idea che ci possa essere uno sciacallaggio politico che chiede le dimissioni del ministro Bondi per un crollo a Pompei, imputandolo a lui. Mi fa ridere che quelli che non si dimisero per il crollo del muro di Berlino oggi vogliono le dimissioni di Bondi per il crollo di un tetto.

Il ministro Sacconi in un sol colpo ha fatto strike di corbellerie. Mettendo da parte la genialità di certe metafore, va detto che il signore in questione confonde la tutela dei patrimoni artistici (che consta di fatti) con il giudizio sulla storia (che consta di opinioni). E non è roba da poco giacché in questa colpevole confusione c’è tutta la visione del moderno regime: i dati di fatto non sono mai tali, in quanto c’è sempre un punto di vista governativo a sconvolgere la verità; le leve del pensiero dominante non vanno mosse da chi è saggio, cioè da chi è ontologicamente deputato a separare la cronaca dalle opinioni, ma da chi è furbo, cioè da chi emulsiona la realtà con la finzione.
Questo è il nostro paese, al momento.
Questo è il nostro ministro del Lavoro. Che forse avrebbe bisogno di riposo.

Grazie a Paolo Lussi.

Rallentare

Sono giorni di superlavoro, per quel che sapete e anche per altro. Ieri sera ero a cena con mia moglie e la ammiravo di fronte a me, sempre forte e bella. Io invece mi vedevo un po’ meditabondo e ricurvo sui pensieri che le andavo illustrando.
Tra le altre cose, le dicevo che quando ero ragazzo lavoravo anche quindici ore al giorno e non volevo mai fermarmi, tiravo dritto a ogni incrocio della vita e me ne fregavo se a letto crollavo senza spegnere la luce.
Ora invece è diverso. C’è più gusto ad andar piano, perché sennò sfuggono molti dettagli. C’è il fisico che reclama la sua dose di prudenza. E soprattutto c’è lei, mia moglie, che merita il meglio. Quest’ultima frase non gliel’ho detta perché nel pacchetto che mi comprende (una specie di offerta speciale) c’è pure una dose esagerata di timidezza mista a coglionaggine.
Ne approfitto per dirglielo adesso e per esortarvi a rallentare, voi tutti, se avete qualcuno da amare.

Aperti per ferie

Una breve comunicazione di servizio e un consiglio ai giovani.

La prima è che, come al solito, questo blog non chiude ad agosto. Ci sarà magari una lieve rarefazione dei post, ma rimarremo in trincea.

Il consiglio è in qualche modo collegato alla comunicazione di cui sopra. L’estate è un momento strategicamente importante per chi vuole entrare col piede giusto nel mondo del lavoro.
Nei giornali – è l’ambiente che conosco io – si entra in estate, quando tutti sono in ferie. Lo spirito di sacrificio risalta con il caldo, il sudore non soltanto lucida i muscoli ma fa luccicare le intelligenze.
Ragazzi, se davvero volete fare un mestiere di cui siete appassionati, spostate le vostre ferie a ottobre.

Uno o lavora o guarda la tv

Saranno quelli ai quali il suo capo ha trovato un lavoro.

Lo sbadiglio e la democrazia

Ieri sera ad Anno Zero è andato in onda il dramma della disoccupazione in un Paese governato dal partito del milione di posti di lavoro. Realtà contro promesse: antica contrapposizione che non sarebbe scandalosa (la politica è fatta anche di promesse) se non si urlasse al complotto ogni volta che a un annuncio non si è stati in grado di far seguire i fatti.
La crisi internazionale usata come alibi, la distrazione di un consiglio dei ministri che si occupa al 99,9 per cento di come risolvere per via extragiudiziaria i problemi giudiziari del capo, un’indolenza tattica della classe politica che parla di lavoro solo in termini generici per evitare di affrontare le singole spine dei singoli casi: lo scenario è questo, desolante e noto.
La sensazione è – correggetemi se sbaglio – quella di essere amministrati da gente che abita e lavora in un altro pianeta. Mentre in Parlamento si dibatte di processo breve e di lodi vari, ai confini dell’impero c’è chi fa la fame con moglie e tre figli. Mentre in Parlamento gli stipendi restano quelli che sono, altissimi, altrove si campa con meno della metà di quel che si guadagnava prima.
Lo so, il rischio di cadere nella banalità, nel già visto e già sentito è altissimo.
Però ogni tanto dovremmo ricordarci che la democrazia si spegne quando per egoismo uno spunto di indignazione si trasforma in uno sbadiglio.