Europee, l’importante è stupire

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Un estratto dall’articolo di oggi su La Repubblica.

Quello che mediaticamente ha la strada in discesa è Giovanni La Via del Nuovo Centrodestra. Con un cognome che è quasi un calembour perpetuo, “la via per l’Europa” è facile da indicare, almeno a giudicare dalla sua pubblicità elettorale. Quello che dovrà faticare di più è invece Antonio Mazzeo di Bronte, candidato alle Europee per la Lega Nord, semisconosciuto al web e per di più oscurato per presenza mediatica da un suo omonimo, Antonio Mazzeo di Messina, ecopacifista in corsa con la lista Tsipras.
Manifesti (pochi), siti internet (qualcuno), account Facebook (moltissimi): in Sicilia la campagna elettorale per le prossime Europee sonnecchia tra citazioni maccheroniche, videoclip grotteschi e piccoli incidenti diplomatici. Continua a leggere Europee, l’importante è stupire

I proprietari della Rai senza maglietta e senza tessere

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Un estratto dall’articolo di oggi su La Repubblica.

L’altro giorno al comizio di Matteo Renzi a Palermo, tra i contestatori c’erano per la prima volta dei giornalisti, giornalisti della Rai. Protestavano per il piano di tagli annunciato dal premier che vuole contenere gli sprechi nell’azienda radiotelevisiva pubblica italiana. “La Rai siamo noi” c’era scritto sulle magliette dei contestatori e mai senso di appartenenza fu più opportuno: perché quando la situazione è difficile, la chiarezza è come l’acqua santa sulla fronte dell’indemoniato, brucia ma serve.
Chiarezza quindi. E’ vero, molti giornalisti della Rai (…) hanno fatto anni e anni di gavetta e si battono per un’informazione equilibrata e non equilibrista. E’ vero, quando un governo mette mano a ristrutturazioni di aziende c’è sempre il rischio che nella foga ci vadano di mezzo i poveri lavoratori.
(…)
Ma è anche vero che, proprio quando si parla di informazione, non si può raffigurare una realtà piatta, bidimensionale. Negli anni passati alla Rai siciliana ci fu una memorabile tornata di assunzioni di giornalisti. Si entrava per segnalazione politica e non era un segreto. C’erano le quote: tot al liberali, tot ai repubblicani, tot alla Dc, tot al Pds, eccetera. Il primo degli sprechi è quello che incide sulla credibilità: per anni l’unico tesserino che alcuni colleghi hanno portato in tasca non è stato quello professionale ma quello di partito, e ciò ha finito per danneggiare il prodotto. Un prodotto che ha un involucro immenso e probabilmente sovradimensionato. Un prodotto fatto in un’Isola che stringe la cinghia e che non ne può più di disparità. “La Rai siamo noi” è quindi un ottimo slogan. Perché la Rai è di tutti, anche di quelli che non hanno quella maglietta.

Poco innocenti evasioni

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L’articolo di oggi su la Repubblica.

Sarà che le coincidenze sono le cicatrici del destino. Sarà che coincidenze e destino sono spesso una scusa per non leggere la realtà nella sua crudezza. Sarà probabilmente per tutto questo che la storia dell’evasione dell’assassino albanese Valentin Frrokaj dal carcere dei Pagliarelli di Palermo dovrebbe procurare indignazione collettiva e invece, come una barzelletta sussurrata durante un funerale, può suscitare una risata malcelata di cui vergognarsi.
Perché un ergastolano che fugge è un caso. Un ergastolano che fugge di nuovo è un casino. Ma non basta: nella nostra oziosa lettura dei fatti, abituati come siamo a guardare lontano e a diffidare di ciò che è immediato, ci siamo dimenticati di mettere a fuoco quel che sta sotto i nostri occhi. E cioè una fuga in pieno giorno, da un carcere nuovo, con uno dei due agenti di custodia che se ne va al cesso, e tre ostacoli (un muro di tre metri e mezzo, un cancello, un muro di cinta di oltre sette metri) che questo Valentin ha saltato a mani nude con l’aiuto di una fune di lenzuoli.
Da ex freeclimber sarei tentato di rimanere stupito per l’atto ginnico dell’evaso, ma la ragione mi impone di concentrarmi sull’atto fisiologico del secondino. Perché al netto di tutte le analisi e dei tecnicismi investigativi, la realtà ci dice che nell’anno 2014, al Pagliarelli, una pipì mette in crisi un intero sistema di sicurezza. I sindacati (naturalmente) tuonano “siamo troppo pochi”, chiamano in causa il ministro, il Dap e “le politiche sbagliate degli ultimi anni”. Inutile sperare che ci scappi una lettura smaliziata delle conseguenze di quel destino fatto di lenzuola arrotolate. Il cesso è probabilmente l’alibi perfetto.

Se la Sicilia decide di battere moneta

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Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

L’idea è di quelle talmente geniali da annichilire. C’è la crisi, i siciliani sono in difficoltà economiche, il tessuto produttivo è in necrosi. Servono soldi e siccome soldi non ce ne sono, il deputato pd all’Ars Giuseppe Laccoto ha avuto un’idea, anzi ha avuto l’idea di prendere a prestito un’idea altrui: battere moneta. Il ddl è già stato depositato e ha riscosso l’entusiastico consenso dell’Mpa, che quando si tratta di soldi ha il sesto senso del mentalista Tesei e la visione strategica di Diabolik.
Se il progetto andasse in porto, presto la Sicilia potrebbe quindi avere la sua alternativa all’euro, che si chiamerebbe Grano come la moneta del Regno delle due Sicilie di cui, presi da altre grane, ci si era colpevolmente dimenticati.
Il copyright di tutta questa storia non è però del singolo Laccoto, ma di un’associazione chiamata Progetto Sicilia che propone “un programma di crescita e di sviluppo” da attuare sotto la benedizione della Santa Autonomia, quella che fa miracoli a gentile richiesta.
Fedeli alla visione Poundiana secondo la quale “chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia”, questi innovatori del pensiero siculo hanno mescolato matematica, cronaca, futurismo e, probabilmente, un pizzico di scaramanzia per dar vita a un piano che prevede, proprio grazie al Grano, la creazione di 250 mila posti di lavoro: insomma un po’ Berlusconi nella fase pre-condanna, un po’ Alfonso Luigi Marra nella fase pre-Tommasi. (…) Strategicamente si parla di “uno strumento per fronteggiare la crisi di liquidità”. Capito? Quando ci sono pochi soldi in giro, basta stamparne di nuovi. Geniale e annichilente.

Sorpresa, l’immondizia non ha le ali

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Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

E’ una questione di coscienza. Cioè di quel campanellino che suona in noi quando, pur essendo soli, agiamo come se qualcuno ci stesse sorvegliando.
L’immondizia non ha né i piedi né le ali quindi se la si abbandona in un parco, il cassonetto non se lo va a cercare da sola. Eppure, per assoluta ed endemica mancanza di coscienza, molti palermitani sono convinti del contrario.
Prendete quel che è accaduto in questi giorni alla Favorita, giorni di festa, di abbuffate e di pic-nic. Il parco che in molti vorrebbero restituito alla città, è stato preso in ostaggio dalla solita orda di barbari che nessuna amministrazione comunale, nessuna truppa di polizia urbana, nessuna campagna di stampa è mai riuscita a scalfire.
Gli Unni della Conca d’Oro si confondono tra i gitanti perbene e, come loro, calano alle prime ore del giorno armati di piatti di plastica e carbonella. Ma la loro missione di conquista, al contrario di quel che si potrebbe immaginare, non è rivolta alle zone più belle del parco, quelle più nascoste, più panoramiche. No, costoro mirano ai ritagli di verde vicini alla strada, alle aiuole dei pochi parcheggi, ai fazzoletti di terra a tiro di scappamento. Perché il loro vero obiettivo è la scampagnata in compagnia dell’auto. Continua a leggere Sorpresa, l’immondizia non ha le ali

Di che umore è la rivoluzione?

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Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Gli ultimatum sono come certi segreti, mantengono fascino solo se rinnovati. Lo sa bene il governatore di Sicilia Rosario Crocetta che di ultimatum vive e sorride.
(…)
L’ultimatum è strategicamente più importante, quindi più difficile da imbastire: è un annuncio armato, o così o niente, baby.
Crocetta ci ha costruito su una rivoluzione, la sua rivoluzione, nonviolenta eppure spietata. Non c’è amico di cui possa fidarsi, almeno in politica, e infatti per non sbagliare li ha fatti fuori tutti. Adesso persino la sua creatura, il Megafono, dopo soli due anni di vita è in pericolo: altro che crisi, un infanticidio. I suoi compagni di squadra non gli perdonano di gestire la stagione del rinnovamento con Lino Leanza e Salvatore Cardinale, cioè di voler fare la festa di primavera con i crisantemi. Ma lui non si scompone, alza le spalle, e ravana voti nelle sacche dell’opposizione. Perché la vera forza di questo governatore sta nella capacità ipnotica di provocare risse tra le truppe del nemico.
Totò Cuffaro spartiva. Raffaele Lombardo tramava. Rosario Crocetta ubriaca.
Solitamente per giudicare l’azione di un governo servono raffinatezza politica e una discreta conoscenza del codice penale. Con Crocetta è più affidabile la lettura dei fondi di caffè, poiché cresce il sospetto che sia l’umore della giornata a influenzare la road map presidenziale.
Gran shakeratore di alleanze e vero stakanovista della lotta al malaffare, Crocetta non è uomo che miri al risultato poiché crede che sia il risultato che debba presentarsi spontaneamente nel suo ufficio. Non si spiegherebbe altrimenti la sistematica decostruzione di ogni logica consecutio: un alleato va coltivato? No, bisogna farselo nemico. Una nomina pubblica va fatta per merito? No,vale solo il numero di denunce presentate dal candidato all’autorità giudiziaria. Beppe Lumia esiste davvero? No, è un clone crocettiano allevato in un “baccello” tipo Matrix per confondere le schiere di Cracolici.
Qualunque cosa accada, la sua giunta non si tocca perché “il presidente non è stato eletto dai partiti ma dalla gente”. E la gente mormora, ma non lo contraddice. Che magari poi lui si arrabbia e perde sonno. E se dorme male sono guai.

Dell’Utri, Cuntrera e una cronista invidiosetta

Senza titolo

Questa storia mi è tornata alla mente oggi, mentre mi documentavo sul caso del latitante Marcello Dell’Utri.
Ormai diversi anni fa, nel maggio 1998, il boss Pasquale Cuntrera fuggì dall’Italia alla vigilia di una cruciale sentenza. Il Giornale di Sicilia, dove ancora lavoravo, diede la notizia prima degli altri facendo un scoop mondiale che fece traballare il governo Prodi. Qualche giorno dopo una cronista su la Repubblica scrisse una brutta frase, fingendo stupore per una notizia che lei non aveva, ma qualcun altro sì. In casi del genere tra colleghi ci si complimenta, lei invece rosicò e tradì un’invidia che per fortuna è ancora ben visibile, a futura memoria, negli archivi telematici del giornale. Della serie: ecco come non si fa.

La rivoluzione dei portafogli pieni

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

La frase chiave è questa: “Nell’interesse superiore dell’Autonomia siciliana”. E’ con sacro furore che ieri l’Assemblea regionale ha approvato una risoluzione che dà mandato al presidente Ardizzone di mobilitarsi, lui e tutte le truppe cammellate della “deputazione siciliana al Parlamento nazionale”, affinché venga sventato il grave attentato ai danni della Sicilia organizzato dal governo Renzi. La bomba sarebbe nascosta nel comma 13 dell’articolo 33 del ddl di riforma del Senato, laddove si stabilisce che le Regioni a statuto speciale dovrebbero perdere le competenze esclusive.
Deflagrando, l’ordigno annienterebbe il monumento simbolo della specificità isolana e raderebbe al suolo il totem dell’autodeterminazione.
(…)
Insomma anni e anni di “interesse superiore” calpestati dai tacchi centralisti di un governo che va contro la storia e la geografia. Il sospetto, però, è che il vero problema sia la matematica.
Il Senato rappresenta infatti un sempiterno termine di paragone quando si parla di indennità nella Regione sommamente autonoma, cioè quando si tratta di stipendi di personale e deputati. Non a caso nel 1948 la prima, mirabile, applicazione concreta del concetto di autonomia fu una delibera in cui l’Assemblea si attribuì, senza pensarci su, un trattamento economico privilegiato in linea con le tabelle del Senato. E da quel giorno quando qualcuno mette in dubbio la storica equiparazione con Palazzo Madama, all’Ars i pugni fendono l’aria, ma soprattutto stringono i portafogli.

La guerra tra cocchieri, tassisti e ape-taxi

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Ci sono i cocchieri che chiedono nuove stalle e nuovi stalli e giurano di aver tirato su i pannoloni ai loro cavalli per non sporcare le strade. Ci sono i tassisti che in rappresentanza al Comune si prendono a pugni nella stanza dell’assessore. Ci sono i titolari degli Ape–taxi che per il rilascio di nuove autorizzazioni vorrebbero far valere una graduatoria in cui quasi nessuno è in regola.
In mezzo c’è Palermo che, grazie a una bizzarra statistica sulle presenze straniere, si scopre città strabordante di turisti. Ventuno per cento di presenze in più nell’ultimo anno, recita una delibera consiliare: pensate, meglio di Londra che si ferma al venti per cento. E dire che la capitale inglese ha avuto le Olimpiadi come traino, mentre la nostra capacità organizzativa si ferma al torneo di bocce in spiaggia. Ma va così, evidentemente siamo premiati per l’arte dell’improvvisare, mica per la noiosa meticolosità dell’organizzare. Continua a leggere La guerra tra cocchieri, tassisti e ape-taxi

Le nuove frontiere dell’arte di arrangiarsi

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Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Prima scena. All’aeroporto Falcone Borsellino, un ragazzotto avvicina per strada i passeggeri appena sbarcati. Espone i palmi delle mani come per rassicurare che non ha brutte intenzioni e, cercando di eliminare ogni inflessione dialettale, chiede: “Scusate, dovete andare a Palermo?”. Poi offre la sua alternativa: “Con sette euro a testa, quasi quanto il biglietto del pullman, vi porto a casa col mio taxi”. In realtà il taxi non è suo, ma dello zio che gli ha ceduto in affitto la licenza. E la partenza avviene solo quando si riesce formare un gruppo di cinque persone, anche se talvolta il ragazzotto riesce a stiparne sei nella sua auto. E i bagagli? “Nessun problema”, tranquillizza. “Sono un campione di Tetris”. Continua a leggere Le nuove frontiere dell’arte di arrangiarsi