Moglie destabilizzante

Secondo Vittorio Feltri, donna Veronica è pericolosa per il Paese. Quale paese? Quello dove dovrebbe essere mandato lui.

L’interesse comune

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Tutti noi seguiamo con ansia il dramma dei terremotati abruzzesi. La Sicilia è zona ad alto rischio sismico quindi, per parte nostra, non è difficile identificarsi con chi vive sull’orlo del baratro. Però la sensazione della perdita improvvisa, senza apparenti colpevoli, è tragicamente unica. Solo chi sopravvive può sobbarcarsi un simile fardello. E noi ora non siamo sopravvissuti, ma semplici testimoni.
Verrà la ricostruzione, che è mera consolazione materiale ma indispensabile appiglio per cercare di riemergere. Il governo italiano è davanti a una prova cruciale di efficienza e civiltà. Non conta la mano che mette un mattone sopra l’altro, conta che quei mattoni diventino muro, casa, città.
Se fossi un amministratore qualunque di un’amministrazione qualunque scriverei una frase davanti alla mia porta: ricordate, l’interesse comune non è la somma degli interessi privati.

I valori e gli intellettuali

Illustrazione di Gianni Allegra
Illustrazione di Gianni Allegra

Ci sono due frasi che mi ronzano nella testa. “Crisi dei valori” ovvero frase A. E “ruolo degli intellettuali” ovvero frase B.
Non chiedetemi dove le ho lette: dopo 46 anni di vita sarebbe più semplice testimoniare dove non le ho lette. Ogni volta che c’è da lamentarsi di qualcuno/qualcosa – e sappiamo che è uno sport in voga – si invoca la frase A. Quando invece è il momento di trovare una scusa per sottrarsi a un impegno civile si ricorre alla frase B. I valori e gli intellettuali, coi rispettivi crisi e ruolo, sono insomma il parafulmine di ogni sventura. Mai che a qualcuno venga in mente di mescolare gli addendi per arrivare, in barba alla matematica, a un risultato diverso, più vicino alla realtà. Il ruolo dei valori (cioè 1/2 di B + 1/2 di A) e la crisi degli intellettuali (cioè 1/2 di A + 1/2 di B) potrebbero essere infatti temi più aderenti alla realtà.
Riuscire a capire a che punto in classifica siano le doti morali e quanto sia allarmante la carestia di portatori di cultura nel nostro Paese sarebbe già un bel traguardo. Quando il frigo è vuoto si censisce quel che non c’è, mica il tubetto floscio di maionese che s’affaccia dallo sportellino sopra il porta-uova.
Gli intellettuali non fanno la politica, i valori possono influenzarla. Gli intellettuali non sono pifferai, i valori sono cuffie contro insani pifferi. Gli intellettuali possono sbagliare, i valori possono essere rimedio.
Mi piacerebbe che un giorno, entro la mia scadenza biologica, qualcuno si chiedesse cosa manca nel grande frigo dell’Italia, piuttosto che additare, promettere, scontare, condonare.

Professione precario

Illustrazione di Gianni Allegra
Illustrazione di Gianni Allegra

Sono tempi difficili. Migliaia di lavoratori, per colpe di chiunque tranne che proprie, hanno perso il lavoro. Il precariato è diventato il mestiere ufficiale. E nel segno di una crisi che tutto avvolge e molto nasconde, ci si piange addosso rimanendo immobili.
Ancora una volta – del resto questo è un blog, mica un servizio pubblico – devo citare un’esperienza personale.
L’altro giorno mi ha chiamato un’amica, direttore di un mensile che fa capo al più importante gruppo editoriale italiano. Lei mi ha esposto i suoi dubbi sul futuro dell’editoria. Abbiamo parlato dei nostri rispettivi progetti (i suoi molti più rilevanti dei miei), poi mi ha fatto una domanda: “Conosci persone che sappiano scrivere e che abbiano voglia di lavorare?”.
La sua domanda è stata la conferma a un convincimento che ho segretamente coltivato, in questi ultimi anni: una buona porzione di questa crisi di occupazione è figlia della mancanza di professionalità.
Il discorso vale ovviamente per i mestieri in cui la specializzazione ha un valore pari alla duttilità del lavoratore (che, per essere chiari, può decidere di mettere a disposizione la propria esperienza in cambio di un compenso riveduto al ribasso per evidenti fattori congiunturali).
Quasi un anno fa ho firmato la lettera di dimissioni da un’azienda per la quale ho lavorato ininterrottamente dal 1984. Non avevo un altro lavoro che mi attendeva, mi ero semplicemente rotto le scatole di un sistema che ritenevo scriteriato. Sono della linea di pensiero che tende a derubricare le scelte a semplici scommesse. Sono stato fortunato: oggi lavoro col massimo della libertà, guadagno il giusto (anche un po’ meno) e continuo a preoccuparmi per il futuro esattamente come facevo vent’anni fa.
Un parte, solo una parte, dei disoccupati di questo Paese sono figli (e purtroppo anche seguaci) dell’assistenzialismo che governo e opposizione tendono ad alimentare nel segno di un populismo che poco ha a che fare con la soluzione del problema. Gli aiuti una tantum, le elargizioni su larga scala che sulla porta di casa si traducono in spiccioli non portano a niente di utile.
Probabilmente già domani saremo costretti a cambiare ottica: lavori a progetto, massimo rendimento, sperando in una coltura intensiva dei talenti e nella responsabilizzazione al cento per cento. E’ una missione che riguarda ognuno di noi, senza colori politici né pregiudizi.
Non so quanto il nostro Paese sia pronto.

Cercasi Obama

La vignetta è di Gianni Allegra
La vignetta è di Gianni Allegra
L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Dario Fo, invitato a dire la sua sulla recente e attuale situazione italiana (ovvero sui massimi sistemi), su come sono gli altri e come dovremmo essere noi, dichiara sul Corriere online: “A poche ore dall’investitura, Obama ha già messo a segno precise direttive: promozione di energie alternative, apertura al mondo musulmano, salvaguardia dei diritti umani. Pagherei per vedere arrivare uno come lui. Ma meglio di no. Litigiosi e autodistruttivi come siamo saremmo in grado di affondarlo”. Non ho mai considerato oro colato le parole e gli spettacoli di Fo (se a un uomo di teatro italiano doveva andare il premio Nobel, io lo avrei consegnato, postumo, a Eduardo De Filippo) ma lo ringrazio per il mistero buffo che mi ha scatenato nella testa stamattina.
Premessa: originali come siamo diventati, prima o poi anche noi vorremo il nostro Obama. Ossia l’uomo della sterzata. Il puro, il dinamico, il colto, l’elegante, il sensato. Il presidente con le palle, insomma. Diamo per scontato che non sarà Veltroni: ci ha provato, vorrebbe tanto, ma è ormai chiaro pure ai sassi che sarebbe solo una pallida (mi si passi la berlusconata) versione del neo presidente americano. Diamo per scontato (ma senza troppe certezze) che non sarà Berlusconi: il suo narcisismo gli può anche consentire di camminare sulle acque, ma di trasformarsi in afroitaliano colto e impeccabile, questo mai. C’è un limite anche ai miracoli italiani. Diamo per superscontato (me lo auguro) che non sarà la Brambilla  e, ovviamente, neppure la Carfagna (insomma, l’ala “giovane”, in verità vecchissima, del vivaio liberista del presidente operaio).
Chi ci resta? Da dove cavare l’eventuale e presto agognato Obama tricolore? Ci si spingerà al referendum, con tanto di schede facebook consegnate dallo scrutatore, insieme alla matita indelebile? Si richiederà la consulenza di Santoro? Di Lucherini e Spinola? Metteremo al lavoro la segreteria di “Chi l’ha visto”? Congetture a parte, e tanto per giocare: vi chiedo di fare i nomi. Di ipotizzare il vostro/nostro possibile Barack Obama. Io non ne ho idea, ahimé. Spero solo che, con tutta la simpatia del mondo, non salti fuori Vladimir Luxuria.