Uno legge un giornale e affonda una nazione

Non c’è solo l’Italia forgiata, rappresentata e stipendiata da Silvio Berlusconi a dare scandalo davanti agli occhi increduli del mondo. C’è anche quella millantata dal premier a lasciare attoniti innanzitutto i cittadini liberi, cioè quelli non foraggiati dal premier. Continua a leggere Uno legge un giornale e affonda una nazione

Un paese di merda (per sua stessa ammissione)

Vado via da questo paese di merda.

Silvio Berlusconi al telefono con Valter Lavitola,
editore e direttore de L’Avanti! (inseguito da un’ordinanza
di custodia cautelare con l’accusa di estorsione al premier).

Allora qualcosa di umanamente fallace c’è in un personaggio che si reputa infallibile, incontestabile, onnipotente, un gradino sotto Dio. Sì, lo sfogo captato dalle intercettazioni ordinate dai magistrati ci consegna finalmente un leader più debole, biologicamente sincero, cioè scazzato e demoralizzato come qualunque altro essere umano soggetto alle leggi dell’uomo e della natura.
Tenendo alta la speranza che tramonti presto l’era dell’impunità, ancor prima di quella del berlusconismo, può essere incoraggiante sottolineare che lo sfogo del premier costituisce una svolta epocale.
Il paese che lui doveva salvare, lucidare, rendere più ricco e addirittura salubre (ricordate quando promise di debellare il cancro?) è in fondo, per usare parole sue, un paese di merda. E la fallacità ritrovata sta nel tacere e nel tacersi l’influenza nefasta del passaggio che questo stesso Paese ha subito nell’intestino del centrodestra. Diciotto anni di questa peristalsi politico-amministrativa hanno annullato ogni ragione oggettiva, ogni interesse pubblico e hanno fatto del tornaconto di pochissimi l’obiettivo di ogni azione.
Negli ultimi due decenni l’Italia è cambiata nei costumi, nei gusti, nella sensibilità. Si è resa impermeabile alla vergogna. Ha chiuso i confini nazionali del senso dello Stato. Ci ha fatto sentire sì unici e diversi, ma peggiori.
L’elenco delle fandonie che Berlusconi ha sciorinato, sin dal primo giorno della sua discesa in campo, ha portato la maggioranza degli italiani a dar credito a una politica del piffero: anzi del pifferaio. E oggi tutti quelli che lo hanno votato, difeso, sostenuto anche quando non c’era una sola ragione logica per farlo, a parte le illuminazioni della fede (e siamo al gradino sotto Dio), dovrebbero ammettere di aver consegnato a questo signore un Paese, e di averne ricavato – per sua stessa ammissione – un paese di merda.

Le tasche degli italiani

Torna in auge la possibilità di rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi. C’è un precedente illustre, quando nel 2008 il ministro Fisco Visco provò a metterle online. L’iniziativa durò quanto da Natale a Santo Stefano, anzi molto meno: poche ore. Poi furono ritirate tra le urla di Grillo e i balbettii del garante della privacy. Continua a leggere Le tasche degli italiani

Due bracciate, due schiaffoni

Accade che Federica Pellegrini illumini il nostro Paese vincendo tutto ai mondiali di nuoto di Shanghai. L’Italia sul podio, e non solo quello sportivo, è un evento sempre più raro. Perché siamo una nazione che vive esclusivamente del suo passato, e che troppo spesso lo rinnega. Vincere significa raccogliere risultati e per raccogliere risultati bisogna avere il senso del futuro, saper puntare sugli uomini, agire in prospettiva.
Federica Pellegrini è una vera solista, per disciplina sportiva e per questione anagrafica. Nascere e vivere in Italia infatti è a tutt’oggi un handicap nel mondo del lavoro come in quello dello sport (a parte alcune eccezioni come il calcio, ma lì parliamo di economia e criminalità organizzata).
Per anni abbiamo scherzato sulle nostre leggerezze, sulla tipicità del menefreghista italico, sul nostro doppiogiochismo politico-internazionale. E probabilmente continueremo a farlo, ridacchiando delle barzellette raccontate ai summit internazionali e alzando le spalle quando nelle centrali mondiali del potere veniamo lasciati in sala d’aspetto. Siamo così, noi del paese del chissenefrega.
Poi arriva una Pellegrini che ci ricorda da quanto tempo non vinciamo, non siamo ammirati, non suscitiamo sguardi di invidia.
Se con quella forza meravigliosa e aggraziata questa ragazza ci desse anche due schiaffoni forse riusciremmo persino a svegliarci.

Grazie alla Contessa.

Un Brunetta piccolo piccolo

L’insulto ai precari da parte del ministro Brunetta è la cartina di tornasole dell’arroganza di una certa politica. Ho avuto modo di sperimentare personalmente la protervia del signore in questione quando, un paio d’anni fa, mi occupai dello spam che il tizio aveva fatto per pubblicizzare un suo libro. In un colloquio di cui conservo ancora la registrazione (e che prima o poi renderò pubblico, quando i tempi saranno maturi e il de cuius sarà depotenziato, che ci volete fare tengo famigghia), Brunetta si esibì in una serie di salti mortali imperfetti, come quelli del circense che fa finta di non avere rete di salvataggio ma che in realtà sta volteggiando nel tinello.
Mi colpì la spocchia di un piccolo uomo che sa di aver torto – e in quel caso aveva torto, come poi i fatti dimostrarono – ma che deve azzannare in virtù di una mandibola e, peggio ancora, di una dentiera non sue. Il rango di ministro per uno come Brunetta è un’occasione imperdibile: lasciarsi logorare dal potere è il vizio ideale per chi non sa ammettere i propri errori. Solo che – unica perfezione del destino – il potere passa, gli errori rimangono.

Date a Cesare quel che è di Battisti

Da anni cerco qualcuno o qualcosa che mi convinca del fatto che, in fondo, è giusto liberare un assassino.
Al momento però fin quando  non mi verrà puntata una pistola alla schiena – vivendo in Italia e non in Brasile – nessuno riuscirà a estorcermi una folle intenzione: resto dell’idea che un delitto è un delitto a qualunque latitudine. Insomma, tra gli ideologi di una sinistra complottista e i parenti delle vittime scelgo quest’ultimi.

Fai la cosa giusta

L’America può apparire puritana all’Europa, ma rispetta l’insegnamento di Thomas Jefferson, uno dei suoi padri fondatori: un uomo pubblico deve rispondere agli elettori anche della sua condotta privata. Se Strauss Khan ha fatto quello di cui è accusato, pagherà di persona.

Così ha scritto nei giorni scorsi Ennio Caretto sul Corriere della Sera, ricordandoci in fondo quello che sapevamo bene e cioé che gli Usa hanno fondato i loro pochi secoli di storia sul perfetto funzionamento del rapporto tra causa ed effetto.
Nel bene e nel male gli Stati Uniti sono il paese delle decisioni. La loro frase simbolica è: “Fai la cosa giusta”. La nostra è: “A frà, che te serve?”. Lì potere è duro, spesso crudele, e gode per sua essenza di una vastissima base di consenso, qui è in bilico tra mille compromessi e spesso, come disse un tale, logora chi non ce l’ha.
Negli Usa, soprattutto, nessun esponente politico si sogna di modificare una legge a suo vantaggio perché esiste ancora (e non solo in America, penso al Giappone ad esempio) una forte sensibilità alla vergogna. Che in Italia invece è stata abolita per decreto.

 

L’esultanza che non mi scandalizza

Non riesco a scandalizzarmi per l’esultanza degli americani dopo la morte di Osama bin Laden. E non ho bisogno di inerpicarmi sui sentieri della religione, dell’etica o della storia per trovare una giustificazione al mio atteggiamento.
La morte più o meno metaforica del nemico è da sempre il chiodo fisso di chi ha veri nemici. Gli americani hanno la più forte identità nazionale del pianeta che, per di più, ha subito il maggiore oltraggio possibile.
Per giudicarli bisognerebbe scavare innanzitutto nelle nostre lacune patriottiche. Poi sarebbe necessario passare al filtro della pietà certe nostre insane tendenze giustificazioniste che lasciano la pena incompiuta, che riabilitano figure da dimenticare, che creano vittime precarie come se da un dramma si uscisse automaticamente dopo un tempo stabilito.
Mi dispiace, non riesco proprio a scandalizzarmi per quelle grida di gioia e quelle bandiere.

Ottimismo

Dice Gheddafi, minacciando guerra all’Italia: “Il mio amico Berlusconi ha commesso un crimine”.
Uno solo?

Non ci sopravvalutiamo

Sentire parlare di missili intelligenti in Libia delle forze militari italiane fa un certo effetto. Diciamo missili e basta.