La farsa

Gheddafi sbarca in Italia e viene acclamato come uno statista, lui che sconosce i diritti civili.
Anziché esibirsi davanti a un pubblico pagante, lo fa davanti a un pubblico pagato.
Per strada dà l’elemosina a un immigrato nordafricano travestendosi da turista di lusso.
Incontra Berlusconi dopo aver parlato delle donne del suo paese: il premier italiano ovviamente lo accoglie con l’acquolina in bocca.
Risate.
Sipario.

Le hostess di Allah

Non deve destare scandalo che un vecchio dittatore abbia ancora qualche insana pulsione sessuale e si pavoneggi in modo patetico davanti a centinaia di hostess pagate per far finta di essere interessate al corano (e magari pure di essere intelligenti). Quel che dovrebbe fare imbufalire la razza ormai estinta che un tempo faceva capo all’“italiano medio” è che tutto l’establishment governativo italiano, col coro adorante di gran parte della stampa, ha avallato la pantomima con malcelato compiacimento.
La differenza tra un vecchio bavoso che brancola per i giardinetti e il leader libico Gheddafi è che il giardinetto di quest’ultimo misura 1.760.000 km quadrati e rappresenta incidentalmente il quarto Paese dell’Africa.
Per il resto credo che sia il caso di tacere e di cominciare a pensare a come smaltire questa overdose di vergogna.

Siamo l’unico Paese

“Siamo l’unico Paese in cui si intercetta il premier”, dice Berlusconi.
Probabilmente è vero.

Ma siamo anche l’unico Paese in cui il premier:
si fa le leggi su misura;
sceglie le parlamentari di persona;
ha più di un problema giudiziario;
frequenta escort come se fossero ambasciatori;
viene bocciato pubblicamente dalla moglie;
chiude le trasmissioni televisive che non gli piacciono;
esercita pressioni su qualunque funzionario gli capiti a tiro di cellulare;
grida al complotto anche quando lo sorprendono con le mani nella marmellata;
definisce i giudici matti, comunisti e talebani;
celebra Gheddafi come uno statista;
promette invano un milione di posti di lavoro;
devasta la scuola e l’università;
oltraggia la verità giorno dopo giorno.

After hour da Gheddafi

ghed

Dove vanno queste signorine agghindate come per una festa e con le cosce moderatamente in vista? Ma a seguire le lezioni sul Corano, naturalmente.

Anche i repubblichini nel loro piccolo…

tremaglia-repubblicada Repubblica.it

Invidia

big-lobo83

Giuseppe Lo Bocchiaro è uno bravo.

(Per i lettori non siciliani: La Favorita è il presunto parco di Palermo)

Da Rosalio.

Domande (di moda)

domande

Grazie a “la Repubblica” le domande sono tornate di moda. Ed è un segno di decadenza morale che si debba inquadrare come trend qualcosa che dovrebbe essere naturale.
Chiedere è umano, non farlo è umanamente preoccupante.
Comunque, ecco le mie domande. Fatene quel che volete.

  1. Com’è possibile che un dittatore venga in Italia a dare lezioni di storia e di democrazia?
  2. Su quali basi una facoltà universitaria ha proposto per quel dittatore una laurea honoris causa in giurisprudenza?
  3. Perché a Niccolò Ghedini devo pagare lo stipendio di parlamentare quando ha già quello che gli versa il presidente del Consiglio (che a sua volta è pagato da me)?
  4. Perché il logo per promuovere l’Italia nel mondo non è scritto in italiano?
  5. Quale mente insana può ritenere che una legge che imbavaglia i giornali sia fatta nel nome del popolo?
  6. Quali sono, se ci sono, le ragioni intelligibili del senatore Enzo Galioto sulle ruberie dell’Amia di Palermo?
  7. Come si fa a spiegare a un amministratore pubblico/esponente politico che quando un privato cittadino gli rivolge una domanda, lui è tenuto a rispondere per il semplice fatto che chi gli sta parlando è il suo datore di lavoro?

Gheddafi, l’uomo dei record

Gheddafi Berlusconi

Uno dei casi più eclatanti di amnesia istituzionale è quello che riguarda Muammar Gheddafi, uno che è a capo di una Nazione, la Libia, senza alcuna investitura ufficiale.
Il leader libico o il colonnello, come lo si chiama in mancanza di altra attribuzione ufficiale, arriva oggi a Roma come un qualunque uomo di stato. Per l’occasione il ruolo di guastafeste viene affibbiato a uno sparuto gruppo di intellettuali (che per i giornalisti italiani sembrano esistere solo quando non si sa come riempire le ultime quattro righe del pezzo da consegnare al capocronista) e a nessun altro.
Muammar Gheddafi è l’uomo dei record.
Vanta ben 37 modi diversi di pronunciare o scrivere il suo nome. E’ l’unico potente dell’emisfero boreale ad aver sostenuto, anche se per un breve periodo, un galantuomo come Bokassa. Nel 1986 lanciò due missili contro la Sicilia e la scorsa estate Berlusconi gli ha pure chiesto scusa. Ha definito la Corte penale internazionale un’organizzazione terroristica e per tutta risposta il preside di giurisprudenza della Facoltà di Sassari ha chiesto di conferirgli una laurea honoris causa, in giurisprudenza naturalmente. Nel 2002 ha fatto saltare il vertice della Lega Araba che aveva in agenda l’offerta di esilio a Saddam Hussein, esilio che avrebbe reso possibile un’ alternativa alla guerra in Iraq, e miracolosamente ha visto la sua Libia scomparire dall’elenco Usa degli Stati canaglia. E’ stato coinvolto nel più sanguinoso attentato prima dell’11 settembre, quello di Lockerbie, eppure nessuno gli ha mai dichiarato guerra.  Non ammette, a casa propria, il bipartitismo e, quel che è peggio, legge “Chi”.

Una semplice vendetta

Dietro il primo caso della storia moderna in cui un primo ministro stila un programma politico in base alle sue diatribe familiari, c’è probabilmente meno strategia di quanto si possa pensare.
Silvio Berlusconi ha accusato la moglie Veronica Lario di essersi lasciata ubriacare dalla stampa di sinistra. Molti commentatori hanno letto nelle dichiarazioni della signora un’insofferente stanchezza per le gesta napoleoniche di un consorte umanamente piccolo piccolo.
A voler volare rasoterra invece c’è solo una parola che racchiude tutto: vendetta.
Vendetta per un’unione consacrata solo alle sempre più rare foto ufficiali, magari da mostrare a Gheddafi su carta patinata con marchio Mondadori.
Vendetta per l’impossibilità razionale di sperare in un divorzio che non pregiudichi la serenità (?) della guida di una nazione.
Vendetta per una condotta – quella del consorte – che travalica in modo grottesco i limiti dell’età biologica.
Vendetta per quello che i giornali chiamano gossip, ma che invece, fatta la tara di caste e ruoli, è rubricabile come tipico naufragio sentimentale tra persone ormai mature.
Vendetta per salvare il salvabile dal tritacarne mediatico: figli, porzioni di famiglia, onorabilità, faccia.
Non credo a chi intravede un disegno strategico (magari orchestrato dallo stesso marito-condottiero-higlander) dietro le sortite di Veronica Lario.
Il suo è un archetipo di genuina, radicale, dolorosa opposizione domestica non addomesticata.