Se il potere si fa pubblicità a spese nostre

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Si chiama pubblicità istituzionale ed è quella forma di pubblicità in cui l’istituzione parla di se stessa coi soldi degli altri. La Regione, nel disegno di legge sugli aiuti all’editoria che si discute in questi giorni a Sala d’Ercole, prevede per questo tipo di pubblicità un antipasto di duecentomila euro entro fine anno, nulla rispetto alla tavola imbandita con quindici milioni di fondi europei destinati, in vario modo e a vario titolo, a giornali, tv, periodici e testate online isolani per il 2014.
Certo, le cifre fanno impressione. Ma per una volta mettiamole da parte e concentriamoci su un aspetto considerato, spesso e a torto, secondario in quest’ambito. Non è infatti della liceità dell’aiutino alla testata amica o della furberia del requisito magico che fa scattare il rimborso a un giornale senza lettori, che vogliamo discutere. No, qui cerchiamo di capire perché un ente, tipo la Regione, deve pagare per farsi pubblicità. Continua a leggere Se il potere si fa pubblicità a spese nostre

Le notizie che piacciono

C’è un aspetto molto interessante, e poco approfondito, nell’ormai certo passaggio dalla carta al web di alcuni giornali. Riguarda il termometro delle notizie.
Chi ha lavorato o lavora nei giornali sa bene quanto eterea sia stata nei decenni la misurazione del gradimento degli argomenti. A me capitava di sentire dire a un direttore: “Questo piace… questo invece no”. “E chi lo dice?”, chiedevo. “Me lo dicono le persone che incontro al bar”, era la risposta (con alcune varianti: “Che incontro per strada, all’edicola, dal mio amico gommista, al ristorante…”).
Erano chiaramente dati privi di qualunque fondamento statistico in un periodo in cui era esclusivamente la cronaca, soprattutto la nera e la giudiziaria, a spostare copie: un omicidio valeva un tot, una sentenza o una retata un altro tot, e così via. Questa era la sola certezza, il resto erano balle.
Le notizie oggetto di misterioso e presunto gradimento assomigliavano a scommesse o, peggio, a esercizi di sterile presunzione. I direttori dell’epoca si muovevano prevalentemente nel campo delle sensazioni, non tutti con la consapevolezza di camminare su un terreno minato. Infatti sappiamo com’è andata a finire: chi tra loro ha saputo innamorarsi meno delle proprie convinzioni ha raggiunto risultati migliori degli altri.
Con il passaggio al web, e la conseguente dismissione della carta, il sentimento delle notizie non varrà più nulla. E’ questa la rivoluzione per le redazioni. I dati di lettura, di tempo di permanenza su un testo danno – e non da oggi –  precise indicazioni su ciò che piace e ciò che non piace: qualunque blogger, anche il penultimo arrivato, lo sa bene. Le edizioni dei giornali online, al di là degli aspetti di praticità di cui abbiamo più volte parlato, contribuiranno alla caduta di molti alibi: se le scelte di impaginazione, di titolazione, di scrittura saranno quelle giuste lo si capirà subito. Senza attendere che il direttore torni dal bar o da una visita all’amico gommista.

Ok, poi non ne parliamo più

Il Foglio vola via dalla Sicilia e dalla Sardegna

Dal primo febbraio il Foglio di Giuliano Ferrara non sarà più in edicola in Sicilia e Sardegna. Un brutto effetto della crisi dell’editoria, ma anche uno stimolo ad affidarsi al web: il giornale sarà infatti disponibile via internet.

La salvezza dei giornali di carta

Pur tenendo una rubrica sui numeri per Leiweb, non sono tra quelli che impazziscono per le statistiche. Le trovo un po’ noiose. Però ogni tanto forniscono spunti interessanti, ad esempio quando l’incrocio tra i dati è pressoché intuitivo.
Nell’ultimo annuario Istat, ad esempio, ci sono un paio di riferimenti che non possono passare inosservati a chi si occupa di comunicazione e anche a chi svolge il cruciale ruolo di lettore (di romanzi, di quotidiani, eccetera). Continua a leggere La salvezza dei giornali di carta

Suicidio di massa

E’ assodato che ogni volta che viene pubblicato un romanzo di Fabio Volo un volume si uccide gettandosi giù dagli scaffali della libreria. Ma quando esce il libro di Barbara D’Urso come scongiurare un suicidio di massa?

“Leggo” rilancia, anzi dimezza

di Tony Gaudesi

Una notizia può essere servita in molti modi, tagliata in svariate maniere, inquadrata dal suo profilo più accattivante. Spacciare una retromarcia per un prodigioso balzo in avanti, vestire  Caporetto da Vittorio Veneto è però tutt’altra cosa: roba da discepoli di Harry Potter più che da giornalisti seri. E’ successo nei giorni scorsi  con l’annuncio del restyling di Leggo, il pioniere della free press italiana, distribuito gratuitamente da Bari in su, che – hanno sottolineato con enfasi qualche quotidiano e  telegiornale – “si rifà il trucco e raddoppia  pagine e contenuti, a partire dal web”. Bello, bellissimo. Peccato che lo strombazzato rilancio passi sul cadavere di 13 edizioni locali (Napoli, Firenze. Bologna, Napoli, Venezia, solo per citarne alcune), tagli migliaia e migliaia di copie e spalanchi il tunnel della cassa integrazione per dodici giornalisti. Fatti, questi,  appena accennati – e non da tutti – tra una sviolinata e l’altra per casa Caltagirone (l’editore del giornale). Continua a leggere “Leggo” rilancia, anzi dimezza

La crociata

La settimana scorsa, scrivendo su questo blog, mi è tornata in mente una vecchia storia.
Qualche anno fa al Giornale di Sicilia il direttore lanciò una crociata contro le parole straniere, soprattutto quelle contenute nei titoli. L’idea di base era condivisibile: spesso per motivi di spazio (i titoli hanno un numero di battute predefinite) si tende a scegliere termini che non tutti capiscono. Solo che, come accade con le crociate, la ragione trovò ben presto il suo sonno nella ricerca ossessiva di un risultato immediato. Tutte le parole straniere dovevano essere eliminate in un batter d’occhio, pena cazziatone da sincope.
Fu così che un dirigente, che non aveva troppa confidenza con l’italiano, stabilì che anche le parole tronche facevano parte dei termini proibiti. In un’epica serata un collega coraggioso riuscì a far passare bar in un titolo, ma dovette capitolare davanti a camion. Il termine indicato dal regolamento era autocarro.

Carta canta

Spero di sbagliarmi, ma il fatto che Lady Gaga sarà per un giorno direttore del giornale Metro  (il 17 maggio) non mi sembra una felice scelta editoriale.

Hoc per hoc

Gianfranco Micciché se la prende coi giornalisti che scrivono fesserie. E chiede ai direttori dei giornali di rendere pubbliche le liste dei buoni e dei cattivi.
Per le pene corporali si farà una legge ad hoc.