La politica del carciofo

La vignetta è di Gianni Allegra
La vignetta è di Gianni Allegra

Dice il ministro Tremonti che il 2009 sarà un anno terribile per la nostra economia, nonostante il premier tenti di minimizzare da mesi la portata della crisi. Ora, se persino un fedele scudiero smentisce il verbo del padrone, c’è davvero da preoccuparsi. E non solo per il nostro conto in banca, ma per gli irritanti sofismi che chi ci governa sciorina a mo’ di filastrocca. Ci rimbambiscono avvertendoci che bisogna evitare la “stretta creditizia”, che ci sono “100 miliardi bloccati dall’eccesso di burocrazia”, che sui “bond non bisogna ragionare in termini di indebitamento”,  che il Pil è in calo. Nessuno però ha il coraggio di dire che la macchina burocratica, ancorché farraginosa, è vergognosamente costosa. Che i ministeri costano troppo e producono poco. Che i privilegi economici dei parlamentari andrebbero dimezzati. Che i prezzi al dettaglio dei beni primari dovrebbero essere tutelati per legge. Che il moltiplicarsi delle tasse genera il moltiplicarsi degli evasori. Che gli aiuti di Stato alle imprese sono un bicchiere d’acqua nella sabbia del Sahara.
Credo, ma posso sbagliare, che alle famiglie non si dia una mano promettendo “di potenziare gli strumenti per aiutarle nel pagamento delle rate dei mutui per la casa, l’acquisto di automobili e di altri beni”, ma impedendo che un carciofo costi un euro a Cerda (la patria del carciofo), che una famiglia media debba spendere quattro euro al giorno (ottomila lire) per comprare il pane, che una pizza margherita costi otto euro (sedicimila lire), che una birra nazionale al bar costi quattro euro, che una bottiglia d’acqua siciliana costi in un supermercato siciliano cinquanta centesimi (mille lire). Il “potenziamento di strumenti” di cui non si capisce un’acca insomma dovrebbe lasciar spazio al potenziamento della buona creanza. Che però come ogni cosa gratuita è difficile da reperire.

OT
A causa di un problema tecnico il blog non è stato raggiungibile per qualche ora. Mi scuso. Del resto, cose del genere succedono anche nelle migliori famiglie.

Crisi e mignotte

Un pensiero mi ha preso, mentre mi riconnettevo col mondo dopo una breve e felice vacanza. Leggevo articoli arretrati, guardavo un tg, scorrevo qualche sito internet. Se c’è una parola che può racchiudere un panorama che parta dall’anno vecchio e arrivi all’anno nuovo, quella parola è – scusate la poca originalità – crisi.
Il pensiero che mi ha preso è stato questo: riuscirò a far quadrare i conti (almeno) nei prossimi dodici mesi? Il conforto di una consapevolezza globale dello stato di emergenza economica che da oriente a occidente allarma governi, aziende, condomini e minuscoli cittadini come il sottoscritto, non serve a nulla. Quando il male è comune, il mezzo gaudio è degli stolti: dovrebbero insegnarlo a scuola.
Serve invece una reale cultura premiale, con appendice rivoluzionaria. Traduco. Chi vale e chi ha meriti deve avere la possibilità (almeno la possibilità) di essere messo alla prova. Chi vale meno o chi gode di privilegi che non merita deve subire gli effetti di una classifica. Il caso più eclatante è quello dei parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana che brillano per improduttività e che, in controtendenza con il pianeta che li ospita, continuano a elargirsi nuovi privilegi: recentemente si sono raddoppiati il sostegno per l’acquisto della casa (che può essere adibita anche a segreteria politica) e si sono dati un bonus di cinquemila euro per il loro futuribile funerale.
Reale cultura premiale significa, in questo caso, distinguere il consenso elettorale dai meriti oggettivi. L’esperienza ci insegna che accumulare voti non è una garanzia universale di maestria (non parliamo di onestà). Se, in tempi di crisi, i suddetti parlamentari si togliessero dalle tasche almeno cinquemila euro di benefit, a fronte di svariate migliaia mensilmente percepiti, compirebbero un atto politico di una dirompenza inimmaginabile (infatti loro non riescono nemmeno a immaginarlo).
Appendice rivoluzionaria. E se qualcuno provasse a toglierglielo, quel surplus di soldi immeritati, come reagirebbero questi squallidi figuri? Avrebbero l’ardire di scendere in piazza e di sfilare in corteo con il codazzo di auto blu, portaborse, addetti stampa e mignottone esentasse?

Natale in bianco

Nella vignetta, il Natale visto da Gianni Allegra

Sono un appassionato del Natale. E’ l’unica festa dell’anno che mi piace, probabilmente perché ha la giusta gradazione di malinconia, quel tanto che basta a far riflettere senza intristire.  Ricordo la maggior parte dei “natali” della mia esistenza: il clima che si rinfresca, i regali sotto l’albero, le serate con pochi ma buoni parenti, il tacchino ripieno di mia madre, l’avvicinarsi delle vacanze sulla neve (sono un patito di sci).  Mi piace il Natale soprattutto perché è una specie di resa dei conti con se stessi: parente del Capodanno, impone con levità bilanci e proponimenti.
Quello di quest’anno però è un Natale che mi spiazza. I requisiti per una felice festività li ho ritrovati tutti, ho persino sorvolato su alcune voci di bilancio e abbondato coi proponimenti. Tuttavia vedo in giro una tristezza che non lascia spazio all’illusione. Negozi semideserti, città buia, cinghie strette e braccia larghe. Un lamento sommesso che non raggiunge la dignità di urlo di protesta, un annuncio di privata disperazione che non prelude ad alcun gesto liberatorio. So quanto contino le congiunture internazionali, nel campo della macroeconomia, e quelle domestiche, nel campo dell’economia reale fatta di conti, bollette e liste della spesa. Questo Natale, almeno nelle mie lande, respiro una rassegnazione che non conoscevo.
Così è.
Speriamo che passi.